3. Sulle tracce di una cultura locale della convivenza in comunità

3.2. Esigenze politico-sociali e schemi notarili: un condizionamento reciproco

3.2.1. Il richiamo delle pratiche

Da approfondire è il rapporto fra strumenti tecnici del lavoro dei notai, come la lista o la graffa, o criteri d’ordine, come la precedenza, e le immagini delle comunità che essi hanno consentito di disegnare. Da quanto si è detto (§ 3.1) è evidente che tali strumenti e principi non sono coni mentali originari o introdotti e diffusi dall’alto, che hanno indotto i notai a rappresentare ogni comunità come divisa in ceti, in parentele e in contrade, o graduata dal membro più reputato al più infimo.

In primo luogo, infatti, il modello in sé appare inerte fino a quando chi vi ricorre non incontra esigenze specifiche che lo arricchiscano di contenuti. Ad esempio, la lista è uno schema concettuale analitico che certamente gli uomini del Quattrocento apprezzavano sotto questo profilo: anche il vescovo di Como nel 1468 ritenne che, per comunicare al principe la condizione sociale dei residenti in una parrocchia urbana il più «distinctamente» possibile, occorresse farvi ricorso [58]. Bisogna però considerare che usare la lista ai fini di questo o quell’obiettivo particolare, interpretare in modo forte o debole le sue potenzialità ordinative erano tutte scelte contrattate dal notaio e dalla comunità, non indirizzate a priori dalle caratteristiche dello strumento tecnico.

Impiegata nello stesso modo in cui era stata valorizzata dai governi urbani che, nel corso del XIII secolo, l’avevano introdotta, la lista nominale compare in Valtellina come un dispositivo per l’intensificazione del controllo sociale. Nelle città servì a rilevare i patrimoni personali, schedare le opinioni politiche, sancendo inclusioni ed esclusioni dalla vita civile, oppure, come si vedrà nelle carte di Romeriolo Castelli d’Argegno, per produrre censimenti a fini militari. In Valtellina fu usata dapprima al fine di ordinare le cose piuttosto che le persone: da Lanfranco Ghezzi per i debiti di una sposa, nel 1333, da Alamanno Mandelli per i beni mobili oggetto di un sequestro, nel 1360. In entrambi i casi si trattò di soluzioni grafiche tutt’altro che povere: nel primo caso una linea univa la singola voce (posta a sinistra) alla stima del suo valore (a destra); nel secondo, l’elenco era disposto su due colonne e in quella di sinistra la designazione di ogni singola «res» era preceduta da un segno di paragrafo [59]. In quegli anni, però, questi ed altri notai, lo stesso Romeriolo per Bema (ASSo, AN, 5, f. 46r., 1345.02.24), designavano i presenti nelle assemblee di vicinanza ricorrendo all’elenco continuo sulla riga. Nel 1368, invece, la lista esordì anche come mezzo di inquadramento degli uomini: il Castelli registrò i «nomina soldatorum» designati da Bema in esecuzione del precetto emesso dal vicario di Morbegno di nomina viscontea, e che, dati i livelli demografici di quella piccola realtà, dovevano quasi coincidere con tutti gli abili alle armi, in forma di elenco disposto su due colonne (ASSo, AN, 6, f. 212r., 1368.04.26).

Negli anni successivi la natura della lista mutò intimamente, da meccanismo di controllo a schema tassonomico: se infatti i vicini e i consiglieri erano obbligati a intervenire nelle riunioni cui erano convocati, l’elaborazione delle forme della registrazione documentaria dei loro nomi andava evidentemente al di là della mera esigenza di riscontrare le presenze e multare gli assenti, indirizzandosi principalmente alla costruzione di complesse immagini della comunità. È però significativo come alcune delle più antiche liste di membri dei comuni rurali che compaiono fra le carte dei notai valtellinesi, rimangano sotto–impiegate dal punto di vista delle loro astratte potenzialità: Baldassarre Mandelli, che ne stese una molto curata dei vicini di Cosio nel 1415, dunque alla vigilia della spaccatura del comune nelle parentele e nelle contrade che lo costituivano, non vi radunò le menzioni di chi portava lo stesso cognome, né la articolò in base alla residenza dei convenuti (ASSo, AN, 75, f. 251r., 1415.03.30; ivi, ff. 251v.–252r.), come egli per primo farà invece un quindicennio dopo (ASSo, AN, 77, f. 111r., 1431.05.21; ivi, ff. 111v.–112r.).

Già negli anni Venti del Quattrocento, invece, come si è visto, i notai affidarono alle loro liste nuove e più ricche informazioni circa comunità in cui venivano emergendo forme istituzionali e legami interpersonali peculiari. Laddove, però, questi contenuti non furono suggeriti come urgenti dai locali processi sociali e politici, la lista non fu introdotta o lo fu molto tardivamente, restando per di più sotto–utilizzata, come nei centri valtellinesi e comaschi in cui la parità e l’indistinzione dei ranghi rimasero la cifra della convivenza comunitaria. Per raccogliere elementi che si sono già forniti, Donato Ruffoni organizzò in forma di lista lo stesso elenco dei vicini di Bema sia nel protocollo, sia nel quaderno, ritenendo imprescindibile visualizzare i rapporti di parentela che li avvincevano; quello degli abitanti di Gerola solo nel quaderno, segno che probabilmente riteneva in questo modo di accrescere l’eleganza della pagina dove occorreva, piuttosto che di apportare un irrinunciabile contributo chiarificatore (§ 3.1.3). A Tresivio Monte e a Borgo di Tresivio la lista fu abbandonata nel corso del Quattrocento, prova che si trattava di un quadro mentale utile, ma di cui, cessatane l’efficacia descrittiva, era possibile liberarsi (§ 2.6.3). A Grosio il suo uso assai raro sembra un’opzione particolarmente meditata, da parte dei notai al servizio di una comunità dove il linguaggio ufficiale (di natura cerimoniale, testuale e propriamente grafica) enfatizzò la coesione a discapito dell’articolazione interna (§ 2.6.2).

La lista, inoltre, essendo eccezionalmente flessibile allo scopo di manifestare le più diverse coscienze sociali (da quella gerarchica a quella che percepiva il territorio come una configurazione modulare), conferma che decisivo, nella genesi delle nostre scritture, non era il modello in sé, ma l’incontro tra un modello concettuale e la concreta esperienza sociale che suggeriva i contenuti da affidargli.

Analogo è il caso della graffa (o, impiegata nello stesso senso, della parentesi di chiusura), il segno del legame sociale o istituzionale fra gli individui [60]. Poteva segnalare un gruppo di fratelli (ASSo, AN, 77, f. 67r., 1430.01.15), oppure, in modo politicamente più forte, sottolineare particolari rapporti di attinenza reciproca che operavano a livello sub–comunale (come la consanguineità o il vicinato) o di lealtà territoriale che segmentavano le estese università federali (legando i rappresentanti di una medesima entità istituzionale). Rendeva esplicita la condivisione da parte di più persone delle responsabilità di una magistratura, contribuendo a costruire la dimensione astratta e unitaria della carica collegiale. Il suo impiego appare strettamente funzionale agli scopi che ho illustrato: ebbe singolare fortuna nei verbali consiliari dei «comuni di parentele» della Valle del Bitto nel pieno Quattrocento (ad esempio ASSo, AN, 127, f. 275v., 1428.12.02; ivi, f. 276r.) o delle federazioni, spesso, come dicevo, rappresentate come mosaici di tasselli comunitari e territoriali (i comuni, le squadre) che conferivano agli uomini e ai politici locali un’identità che non era riassorbita e sciolta nei coordinamenti di taglia superiore (la valle) (ASSo, AN, 517, f. 279v., 1492.02.16). Fu usata per mostrare il profilo sovra–personale (se non impersonale) del consiglio a Grosio, una realtà caratterizzata dalla capacità del comune di regolare effettivamente la vita collettiva, piuttosto che dalla forza dei settori socialmente eminenti di affermarsi strumentalizzando le istituzioni (ASSo, AN, 776, f. 260r., 1532.04.25; ASSo, AN, 777, f. 341r., 1536.05.07). Per contro essa non compare nei documenti comunali del XIV secolo, quando i vicini erano concepiti come membri di una collettività non ulteriormente articolata al suo interno da identità genealogiche e residenziali (§ 2.1), ma, più tardi, nemmeno nelle realtà in cui tali appartenenze avessero mancato – o, fatto ancora più significativo, avessero cessato – di delimitare gruppi corporati (§ 2.3.2).


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note

[58] DELLA MISERICORDIA, Decidere e agire in comunità, p. 369, n. 269.

[59] ASSo, AN, 8, f. 46r.–v., 1333.08.18; 21, f. 273v., 1360.11.12. Hanno analizzato documenti organizzati in liste G. MILANI, Il governo delle liste nel Comune di Bologna. Premesse e genesi di un libro di proscrizione duecentesco, «Rivista storica italiana», CVIII (1996), pp. 149–229; ID., L’esclusione dal comune. Conflitti e bandi politici a Bologna e in altre città italiane tra XII e XIV secolo, Roma 2003; I. LAZZARINI, La nomination des officiers dans les états italiens du bas moyen âge. Pour une histoire documentaire des institutions, «Bibliothèque de l’École des chartes», 159 (2001), pp. 389–412, distribuito anche da «Reti medievali»; EAD., Transformations documentaires et analyses narratives au XVe siècle. Les principautés de la plaine du Pô sub specie scripturarum, «Mélanges de l’École française de Rome. Moyen âge», 113 (2001), pp. 699–721; Ch. KLAPISCH–ZUBER, Retour à la cité. Les magnats de Florence. 1340–1440, Paris 2006, cap. 1. V. anche, per l’area padana, M. F. BARONI, La registrazione negli uffici del Comune di Milano nel sec. XIII, «Studi di storia medioevale e di diplomatica», 1 (1976), pp. 51–67, pp. 56, 61–62; F. LEVEROTTI, Gli officiali del ducato sforzesco, «Annali della Scuola normale superiore di Pisa. Quaderni», serie IV, 1 (1997), pp. 17–77, pp. 59–60; L. BAIETTO, Scrittura e politica. Il sistema documentario dei comuni piemontesi nella prima metà del XIII secolo, «Bollettino storico–bibliografico subalpino», XCVIII (2000), pp. 105–165 e 473–528, distribuito anche da «Reti medievali», pp. 158 e sgg., 506–510; EAD., Elaborazione di sistemi documentari e trasformazioni politiche nei comuni piemontesi (secolo XIII): una relazione di circolarità, «Società e storia», XXV (2002), pp. 645–679, distribuito anche da «Reti medievali», pp. 658–659, 667–668; GENTILE, Fazioni al governo, pp. 64 e sgg.; M. N. COVINI, «La balanza drita». Pratiche di governo, leggi e ordinamenti nel ducato sforzesco, Milano 2007, p. 51.

[60] A. BARTOLI LANGELI, Scrittura e parentela. Autografia collettiva, scritture personali, rapporti familiari in una fonte italiana quattro–cinquecentesca, Brescia 1989, pp. 8, 15–16.