2. La forma della comunità: culture locali nel mutamento

2.6. Un’alternativa sempre percorribile: parità e indistinzione

2.6.3. Tresivio: una parabola in controtendenza

Il caso di Tresivio mostra che la rappresentazione della comunità come un insieme indistinto non era un semplice fattore di inerzia, in località dove le pratiche e le forme della convivenza comunitaria non avevano conosciuto innovazioni, o uno stadio di approssimazione grafica e ordinativa destinato ad essere superato dall’introduzione delle liste; era invece un’opzione deliberata che poteva anche costituire un ripensamento rispetto a modelli scrittori che dunque solo astrattamente potrebbero essere definiti più evoluti. Negli anni in cui Tresivio Monte ospitava una vera e propria nobiltà, Gallolo Galli ne verbalizzò le assemblee di vicinanza in due documenti curati e attenti all’ordine gerarchico. Nelle limpide liste del 1429 l’appartenenza cetuale era espressa chiaramente: «omnes nobiles predicti communis de Trissivio; et penes eos affuerunt infrascripti vicini, videlicet», scrisse il notaio dopo aver elencato tutti i membri del primo ordine e prima di passare alla designazione di quelli del secondo. Inoltre i nobili precedevano compattamente i vicini. Anche al loro interno, i nomi dei nobili erano disposti ordinatamente: la precedenza spettava al dominus Giovanni Beccaria, seguito da ser Giovanni de Imblavadis e poi dai non titolati. Nel documento steso nel gennaio di quell’anno, con un’ulteriore e insolita sottigliezza, i nobili non titolati erano a loro volta disposti gerarchicamente, facendo precedere colui al cui padre era attribuito il rango di dominus ai figli dei ser, a loro volta seguiti dai figli degli uomini cui non era riconosciuto alcun distintivo di dignità. Per contro nessuno dei vicini o dei loro padri portava titoli di dignità. Il diverso rilievo degli uomini era affidato pure alla superficie della pagina occupata materialmente dai loro nomi: Gallolo Galli dispose sempre le sue liste su due colonne; nella prima facciata di entrambi i documenti le righe della colonna di sinistra, dove erano designate le figure di maggiore credito, si dilatavano ben oltre la metà del foglio, finendo col comprimere sensibilmente la colonna di destra, che enumerava i vicini o i nobili non titolati. Nelle facciate seguenti la lista, venendo a menzionare i vicini, procedeva senza più incontrare sensibili differenze di rango, e poté pertanto essere disposta su colonne che si ripartivano lo spazio in modo più equilibrato (ASSo, AN, 124, f. 197v., 1429.01.23; ivi, f. 198r.; ivi, f. 207r., 1429.02.13; ivi, ff. 207v.–208r.).

Nei decenni successivi, il trasferimento definitivo della parentela più importante – i Beccaria – , l’estinzione o il declino di quelle che le facevano corona depressero nettamente il livello sociale della comunità. Il commissario ducale Nicodemo Tranchedini descrisse in modo eloquente il Borgo di Tresivio, nel 1481, come «la più vile villa de Italia», dove «non sono doctori de lege, né medici, né spetiali, né veruna arte» [49]. Insomma, la comunità aveva perso gli interpreti tradizionali della cultura nobiliare della distinzione, ed era priva pure di quei professionisti e artigiani di alto livello che altrove, si è visto il caso di Morbegno (§ 2.3.1), venivano sollecitando l’adozione di criteri gerarchici di classificazione sociale. Anche la rappresentazione documentaria della comunità – divisasi nel frattempo nei due comuni del Borgo di Tresivio e di Tresivio Monte propriamente detto – mutò profondamente. I verbali relativi al primo (ASSo, AN, 224, f. 74v., 1459.03.31) e al secondo (ASSo, AN, 226, f. 370r., 1470.05.02; ivi, f. 370v.) contenevano elenchi informi, che ne rappresentavano gli abitanti, nessuno dei quali portava distintivi di prestigio, come una compagine non ordinabile secondo un principio gerarchico (ma nemmeno residenziale, come sarebbe potuto avvenire nell’esteso comune policentrico di Tresivio Monte). I notai abbandonarono pure la forma della lista o invece continuarono a impiegarla, ma depotenziata dalla rinuncia a tutte le attenzioni gerarchizzanti di Gallolo Galli.


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note

[49] ASMi, Sforzesco, 784, 1481.08.12.