3. Sulle tracce di una cultura locale della convivenza in comunità

3.1. L’interprete: il notaio di fronte alle comunità rurali

3.1.1. La definizione istituzionale del rapporto e l’ingaggio

Se gli atti esaminati sono il prodotto di uno sforzo volto a comprendere la composizione e progettare la vita istituzionale delle comunità rurali, è necessario in primo luogo considerare la posizione dell’interprete e la sua attività, su cui dovrò tornare più volte nelle pagine che seguono. Con poche eccezioni, si tratta di notai, responsabili dell’estensione e dell’autenticazione dei documenti considerati, quasi sempre conservati fra le loro imbreviature. Molto raramente, infatti, lo scrittore è una figura di estrazione non notarile, legata da un rapporto funzionariale con le comunità: gli statuti di Grosio del 1545 sono sottoscritti da uno scriptor del comune non notaio; fino all’ultimo decennio del Quattrocento i registri delle provvisioni di Valcamonica furono stesi dai massimi magistrati di valle, i sindaci generali, fossero essi o meno notai, poi però sostituiti dai cancellieri. Spesso, invece, l’autore del documento era un notaio che non alienava per nulla la sua autonomia professionale e non riconosceva alcuna dipendenza dall’istituzione per cui lavorava. Altrettanto spesso si trattava di notai ingaggiati dalla comunità, di cui si qualificano scribi o cancellieri, ricevendone un salario; era però una posizione ambigua e che sacrificava poco della libertà del professionista, il quale perlopiù restava il responsabile della produzione, dell’autenticazione e della conservazione dei documenti.

Per di più il notariato era inquadrato istituzionalmente non dai singoli comuni del contado (con l’eccezione di quei soggetti che avevano lo status di terre separate, con giurisdizione autonoma, come Bormio), bensì dal comune urbano, nella tarda età comunale in modo esclusivo, tra XIV e XVI secolo con il concorso sempre più ampio delle federazioni rurali: era a questi livelli di organizzazione politica che si determinavano i criteri di validità della documentazione, dell’accesso alla professione e così via. Di fatto, poi, un numero considerevole di individui esercitò la professione eludendo le procedure codificate e sganciandosi così dal controllo che le istituzioni politiche e quelle corporative potevano esercitare sulla scrittura autentica. Inoltre, forti dei loro saperi, ma al di là del loro campo di lavoro specialistico, molti notai percorsero carriere politiche fortunate all’interno delle istituzioni locali: furono consoli delle comunità, consiglieri delle federazioni, procuratori delle fazioni e via dicendo [53]. Tutti questi fattori inducono a escludere recisamente che il notaio si trovasse in una posizione di subalternità non negoziabile di fronte a clienti singolari quali le istituzioni comunitarie e dunque che i documenti e gli schemi considerati fin qui nascessero entro un rapporto con le autorità locali di unilaterale committenza.

Accanto alla posizione istituzionale dei notai, poi, si deve contemplare pure la profonda trasformazione della loro cultura fra XIV e XV secolo. Come si vedrà (§ 3.2.1, § 3.2.2), il vocabolario grafico di cui si servivano si arricchì notevolmente nel corso dei decenni: rispetto alle soluzioni stereotipate del primo Trecento, in seguito i vari professionisti operarono entro spazi di opzionalità e di sperimentalismo documentario più estesi, che fanno emergere con maggiore nitidezza le personalità individuali. Fra i casi che si sono proposti o si proporranno, si riconosce, infatti, chi restava legato alla tradizione dell’elenco continuo sulla riga in controtendenza rispetto a tutti i colleghi (ASSo, AN, 639, f. 52r., 1507.01.01; ivi, f. 52v.), chi ricercava con maggiore attenzione la trasparenza delle proprie soluzioni ordinative (ASSo, AN, 812, ff. 190v.–191r., 1520.11.30) e chi, invece, di norma, mostrava di lavorare in modo più affrettato (ASSo, AN, 670, ff. 192v.–193r., 1525.10.01). C’era anche chi, come Giovanni Mazzi, sembra preferire in ogni caso l’enfasi sull’unità collettiva anche lavorando per quelli che i colleghi rappresentavano quali comuni di parentele, è il caso di Bema (ASSo, AN, 118, f. 324r., 1429.06.19), o di contrade e parentele, come Cosio (ASSo, AN, 122, f. 185r., 1449.01.01; ivi, f. 185v.). Ancora una volta, dunque, i notai non si saranno posti al comando delle comunità dimentichi di tutta la loro individuale perizia scrittoria o delle preferenze soggettive per determinati modelli.

Il notaio però non era nemmeno un libero produttore di immagini documentarie più o meno versatile, e un più o meno acuto osservatore privo di vincoli dell’oggetto sociale e istituzionale che aveva davanti, anzi appare profondamente condizionato dal modo in cui quell’oggetto gli si presentava. Gli ufficiali della comunità che lo impiegavano come scriba o, a maggior ragione, che lo ingaggiavano nella singola circostanza, gli fornivano, presumibilmente, i nomi dei capifamiglia, che egli non necessariamente conosceva, soprattutto quando era impegnato in un centro diverso da quello di residenza, lo aiutavano nell’identificazione dei presenti e degli eletti agli incarichi speciali. Nel 1435, ad esempio, Giovanni Mazzi, originario di Gerola, residente a Morbegno, convocato a Delebio per la stesura di una notifica alla popolazione da parte di un sacerdote, fu spiazzato dalle circostanze, in cui non si verificò il passaggio di informazioni che le procedure della riunione di vicinanza avevano codificato. Ammise pertanto di saper riconoscere solo sette persone (di cui gli erano noti o aveva fatto in tempo a chiedere nome, cognome, paternità, residenza o origine), tutti gli altri presenti gli risultavano sconosciuti («multi allii de Adallebio, quorum nomina ignoro») [54]. Ora, insieme alle informazioni di carattere anagrafico e relative allo status personale, le autorità comunali che convocavano le riunioni dovevano comunicare al notaio anche delle implicite o esplicite rappresentazioni della realtà locale, che in qualche modo si aspettavano venissero accolte nell’atto che egli stendeva, ponendosi dunque di fronte al professionista come clienti assai esigenti. A volte nella documentazione è sopravvissuta traccia delle fasi di preparazione del verbale, che doveva avvenire in stretta interazione con i presenti, come testimonia il lavoro condotto su un elenco precostituito, su cui il notaio depennò gli assenti e pose segni di riscontro a margine di altri nomi (ASSo, AN, 295, f. 112r., 1460.01.31).


precedente precedente | torna sutorna su | successivo successivo

note

[53] DELLA MISERICORDIA, Divenire comunità, pp. 692–694 (a proposito del notariato, con rinvii alla bibliografia disponibile) e passim (per le carriere politiche dei notai); ID., Dividersi per governarsi: fazioni, famiglie aristocratiche e comuni in Valtellina in età viscontea (1335–1447), «Società e storia», XXII (1999), pp. 715–766, pp. 731–732; ID., Mappe di carte. Le scritture e gli archivi delle comunità rurali della montagna lombarda nel basso medioevo, in Archivi e comunità tra Medioevo ed Età Moderna, a cura di A. BARTOLI LANGELI, A. GIORGI, S. MOSCADELLI, Trento (in corso di stampa), anticipato in una versione provvisoria in «Reti medievali»; MANGINI, «Infrascripta sunt necessaria...»; EAD., «Membra disiecta» del collegio notarile di Como. Notai e forme di organizzazione della professione notarile in Valtellina e nel Bormiese (secc. XV ex – XVI in), «Bollettino della Società storica valtellinese», 58 (2005), pp. 149–194; EAD., Il notariato a Como. Più in generale, v. sotto, n. [57].

[54] DELLA MISERICORDIA, Decidere e agire in comunità, p. 366, n. 261.