2. La forma della comunità: culture locali nel mutamento

2.4. Un esito parallelo: l’articolazione interna delle comunità (contrade, comuni rurali, federazioni) e la rappresentazione analitica e non gerarchica dell’ordine territoriale

2.4.3. Le federazioni rurali nella montagna lombarda: l’integrazione e la rappresentanza politica del territorio

Oltre che comunità sub–comunali, operavano anche comunità sovra–comunali. I comuni rurali, infatti, si coordinavano in federazioni, attive a diversi livelli: vi erano le comunità di valle, i soggetti più comprensivi e, su un piano intermedio, le pievi, le squadre e i terzieri (in Valtellina), ancora i pievati (in Valcamonica), che raggruppavano i comuni di meno estesi spazi territoriali. Anch’esse avevano una vita deliberativa e assembleare (tenevano consigli in cui si riunivano i rappresentanti dei comuni costituenti), e i relativi verbali proposero a loro volta una rappresentazione di tali istituzioni, che esaminerò con riferimento soprattutto alla Valtellina e alla Valcamonica.

L’immagine documentaria delle università di valle e delle altre organizzazioni federali servì, tra l’altro, ad affrontare i problemi di legittimità che esse sollevavano. In primo luogo si trattava di chiarire le forme stesse della loro aggregazione, vale a dire i rapporti fra le comunità federali e le unità socio–istituzionali che le componevano. Una seconda spinosa questione concerneva i rapporti di forza fra i loro membri, cioè fra i soggetti che pretendevano di costituire politicamente il «territorio» o «paese» e di rappresentarlo a buon diritto di fronte alle autorità centrali. In particolare, in Valtellina (§ 2.4.4) e in Valcamonica (§ 2.4.5) si discusse la compatibilità fra i comuni rurali e le parentele più potenti dell’aristocrazia, cercata nella pratica politica e al contempo rappresentata negli elenchi dei consigli delle università. Strettamente agganciato a tali dibattiti era il discorso sulla mediazione politica che i documenti svolgevano: era, infatti, controverso il fondamento della capacità decisionale di coloro che erano allo stesso tempo consiglieri della federazione e delegati di un comune o membri di una parentela o, in alcuni casi, uomini di singolare potenza.

Il primo aspetto – il rapporto tra la sintesi federale e le unità socio–istituzionali costituenti – può essere affrontato proprio a partire dall’analisi di uno specifico elemento grafico, quello della lista. Il suo uso appare sistematico, infatti, al posto dell’elenco continuo sulla riga, nei verbali dei consigli delle università e negli altri documenti che vi si riferissero: lo si verifica in Valtellina, in Valcamonica, come si vedrà analiticamente, in Valchiavenna (ASSo, AN, 108, f. 99r., 1424.06.15), in Ossola Superiore (ASMi, Comuni, 34, Domodossola, 1475.05.21), in Val Sesia, pure documentata per un’epoca successiva (Consilium generale Vallis Sicidae. Verbali. 1624–1654, a cura di G. GARAVAGLIA, Milano 2002, p. 15). All’interno degli organi delle unità maggiori (ad esempio il Consiglio di Valtellina), si tendeva a mantenere la visibilità non solo dei comuni, ma anche delle federazioni intermedie come i terzieri e le squadre, fossero essere rappresentate unitariamente o meno, con graffe, pause nell’elenco introdotte da righe lasciate bianche fra i nomi dei comuni membri di aggregazioni intermedie ed esplicite indicazioni (ASSo, AN, 517, f. 1r., 1428.12.11; ivi, f. 1v.).

Certamente, poi, almeno in Valtellina, le precoci sperimentazioni dei cancellieri anticiparono di più decenni la diffusione dello stesso modulo negli analoghi documenti riguardanti i comuni (§ 3.2.1, § 3.2.2). Alla fine del XIV, Abbondio Gaifassi, che percorse una brillante carriera al servizio delle istituzioni locali [35], introdusse forse per primo la forma della lista per gli elenchi dei partecipanti alle assemblee (ASSo, AN, 52, f. 183r., 1393.10.31; ivi, f. 183v.). I nomi dei convenuti potevano essere così collegati in modo evidente al comune, alla squadra, al terziere, al ceto o alla singola famiglia nobile che rappresentavano, tramite graffe (quando più procuratori agivano per un singolo soggetto istituzionale o quando un solo procuratore agiva per più soggetti istituzionali), con il ricorso alla specificazione pro communi de... o pro nobilibus de..., corroborata dall’identità della riga, che suggeriva immediatamente la reciproca attinenza, oppure grazie al nesso istituito da una linea tratteggiata. Una riga o un più ampio spazio lasciati bianchi avevano il compito di separare le diverse delegazioni tra loro. Così, in seguito, lavorarono anche Domenico de Carate (ASSo, AN, 68, f. 235r., 1415.09.28; ivi, f. 235v.) e molti altri colleghi.

Un’adesione quasi unanime ad un modello, su larga scala, e uno scarto cronologico così sensibile, nell’unico caso in cui mi è possibile seguire questi fenomeni nel lungo periodo, fra le soluzioni grafiche adottate negli atti relativi ai comuni e in quelli inerenti alle università federali richiedono di essere spiegati. A mio modo di vedere il motivo determinante è la competizione che le federazioni dovettero affrontare ovunque con il comune rurale, come matrice per organizzare il territorio, ambito per assumere decisioni, fulcro dell’identità locale. Nei primi anni della loro costituzione nel dominio di Milano, sembra che autorità viscontee e protagonisti della politica locale abbiano tentato di fare delle comunità federali una sorta di super–comune, dotato di un forte profilo unitario. Questo esperimento fallì presto. In particolare in Valtellina le federazioni nacquero più tardi dei comuni rurali, solo nel corso del XIV secolo, e, concepite perlopiù come raccordi di questi ultimi, rimasero degli insiemi problematici, scarsamente in grado di ridurre ad unità le loro componenti, nonché centri decisionali esitanti e richiami di lealtà incerti rispetto alle formazioni istituzionali più antiche. Pure i consigli federali non erano autonome sedi decisionali, ma assemblee di delegati, istituiti con mandato imperativo dai comuni, che dunque non trasferivano a quelle istanze significative facoltà deliberative. Anche laddove si raggiunsero esiti di maggiore unitarietà, però, la rappresentazione documentaria di queste formazioni e della loro attività dovette aiutare a concepire l’inclusione di più soggetti istituzionali e cetuali, che esprimevano un’aspirazione di coordinamento, ma non erano disposti a sciogliersi in un’aggregazione di taglia maggiore. La lista offrì allora risorse decisive in questo senso: ancora poco impiegata per tutto il Trecento al fine di produrre un’immagine del comune rurale, una formazione fino ad allora più coesa, almeno in Valtellina, che non richiedeva di enfatizzare le distinzioni e le articolazioni interne, parve ideale per comunicare la natura di una formazione territoriale di livello superiore in cui i comuni si componevano senza dissolvere la propria identità. Nei testi dei verbali delle riunioni valtellinesi ricorre una formula che riporta precise responsabilità e decisioni ai comuni particolari che le hanno assunte e condivise: «singula singulis referendo». Ora, le liste ben scandite che i notai e i cancellieri vi includevano sembrano quanto mai idonee a favorire l’occhio appunto nell’individuazione di quei singoli soggetti locali cui gli atti dell’università dovevano essere riferiti.


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note

[35] M. L. MANGINI, «Infrascripta sunt necessaria sciri pro gramaticha ad artem notarie». Un formulario notarile valtellinese della fine del secolo XIV, «Archivio storico lombardo», CXXX (2004), pp. 305–350.