3. Sulle tracce di una cultura locale della convivenza in comunità

3.3. Mutamento, dissenso, comunicazione

3.3.5. Il dibattito politico

Le scelte dei Castelli d’Argegno non furono sempre condivise da tutti gli altri abitanti di Morbegno, rivelando così la non neutralità della loro interpretazione, frutto invece di un orientamento politico ben preciso. Altri notai, infatti, sperimentarono una gerarchia invertita, che anteponeva i vicini ai nobili.

Domenico de Carate nel 1421, redigendo il verbale di un consiglio di vicinanza, pose ai primi 23 posti solo vicini, e agli ultimi quattro nobili e cittadini (ASSo, AN, 70, f. 440r., 1421.10.24; ivi, f. 440v.). Avrebbe potuto trattarsi comunque di un segno di distinzione, usato dai notai pure meno frequentemente della precedenza, se la dispersione dei ser, in questa e in un’altra occasione, non lasciasse supporre una certa trascuratezza del rango individuale da parte di Domenico, più incline, semmai, a enfatizzare i nomi di coloro che ricoprivano cariche d’ufficio, un’opinione opposta a quella, già illustrata, di Guidosio Castelli d’Argegno (ASSo, AN, 68, f. 154r., 1415.01.06; ivi, f. 154v.) (§ 2.3.1).

Donato Ruffoni si attenne, senza assoluto rigore, allo stesso principio di precedenza rovesciata nel 1426, in un documento tuttavia meno limpido, perché non usava il modello della lista (ASSo, AN, 127, f. 249r., 1426.11.10). I verbali di assemblee dei soli vicini che egli stese nel 1425 e nel 1426 confermano inoltre come quello della gerarchia fosse un linguaggio cui proprio questo ceto era poco sensibile: Donato non impiegava la lista, dispensava rarissimi titoli di ser, oscillando peraltro nelle attribuzioni alle stesse persone a distanza di pochi mesi, e non riconosceva la precedenza a chi li portava (nemmeno quando si trattava del proprio padre), al contrario di quanto avveniva nel contemporaneo elenco di nobili stilato da Giacomo Castelli d’Argegno (ivi, f. 238r., 1425.01.07) [101].

Ancora nel 1463 Pietro Foppa stilò un documento elegante sotto il profilo grafico, dunque certamente né affrettato né trascurato, ma che incorporava quella che pare una polemica lista anti–gerarchica. Sparpagliò infatti nobili e vicini, concentrando però i secondi all’inizio e i primi alla fine della sequenza; disseminò anche coloro che portavano il titolo di ser, ancora una volta addensandoli verso la fine (ASSo, AN, 208, f. 310v., 1463.01.02; ivi, f. 311r.).

Dei tre notai che resistettero a lungo ai valori della graduatoria del prestigio o li respinsero anche dopo la solenne proposta di Guidosio del 1456 (§ 3.3.4), Domenico de Carate e Donato Ruffoni erano membri dell’ordine dei vicini: il primo, si accennava, ne fu una delle guide politiche negli anni del conflitto con i nobili, il secondo operò come loro notaio di fiducia; inoltre i due professionisti erano legati tra loro da strette relazioni personali. Pietro Foppa era un uomo di origine forestiera, che lavorava a Morbegno come notaio e causidico, ma restava poco partecipe alla vita pubblica del comune. Se, dunque, nel lungo periodo, i criteri di distinzione sociale fondati sui titoli di dignità si prestarono a riconoscere l’eccellenza anche di vicini di successo, privi però di illustri tradizioni familiari alle spalle, al momento della loro prima introduzione apparvero soprattutto come un aggiornamento delle ambizioni nobiliari di distinzione, e furono respinti proprio dai vicini.

Anche in questo caso, allora, le forme dei documenti non possono essere ricondotte esclusivamente all’ispirazione dei loro estensori (cfr. § 3.1): esse, nel loro disaccordo, nacquero comunque dal rapporto tra il professionista e una più vasta opinione comunitaria di cui egli partecipava o con cui dialogava; a Morbegno, però, tale opinione non era unanime e i notai contribuirono a illustrare le alternative disponibili.


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note

[101] Cfr. ASSo, AN, 127, ff. 240r.–241r., 1426.01.01.