3. Sulle tracce di una cultura locale della convivenza in comunità

3.2. Esigenze politico-sociali e schemi notarili: un condizionamento reciproco

3.2.5. Documenti per organizzare la comunità

La documentazione in esame serviva pure a modellare l’organizzazione della comunità, chiarendone le peculiarità allo stesso notaio, legittimandola agli occhi di chi la avallava o persuadendo gli incerti della sua giustezza. I meccanismi istituzionali delle federazioni, dei comuni rurali e delle contrade, infatti, erano calibrati sulle rispettive articolazioni interne. Gli accorgimenti grafici degli atti esaminati e le accurate tassonomie che ne risultavano, allora, avevano lo scopo di rendere visibili la cerchia delle figure eminenti della politica locale, le parentele o le contrade che pretendevano spazi determinati negli uffici e che, d’altra parte, assolvevano agli obblighi fiscali o assumevano responsabilità giudiziarie in solido.

Talvolta i segnali introdotti dal notaio fornivano un’informazione preziosa e tutt’altro che pleonastica rispetto al testo. Ho già detto che nel 1475 Beltramo Guarinoni, nel verbale di un’assemblea di Rasura, inserì i gruppi parentali in riquadri nitidamente intelligibili (ASSo, AN, 345, f. 133v., 1475.01.29). Essi identificavano le cinque squadre aventi ciascuna il diritto di eleggere uno dei cinque sindaci che, rinnovati di anno in anno, governavano il comune. Le squadre non erano però rigidamente mono–parentali: anche gli uomini di origine forestiera, per partecipare alla vita politica, dovevano aggregarsi ad una delle agnazioni maggiori. La squadra dei de Zoardis, ad esempio, comprendeva anche i de la Domo e i Foppa; in questo caso il cognome da solo sarebbe stato un distintivo molto incerto per contornare la squadra, e solo l’idea avuta dal notaio di racchiuderne tutti i membri entro uno spazio comune e delimitato sulla carta rendeva trasparente la loro appartenenza ad un’unica formazione (ivi – particolare).

La stessa circolazione dei modelli grafici, dai verbali delle assemblee agli atti relativi agli impegni fiscali e giudiziari, intendeva affermare che i funzionamenti delle comunità riproducevano come calchi l’articolazione di queste ultime in unità sociali e istituzionali minori. Come ho già detto, il primo documento che rese visibile la divisione fra le parentele di Rasura registrava i patti che i loro membri avevano stabilito in merito alla corresponsione del carico fiscale: il notaio riprodusse lo stesso modulo ordinativo nel recto della carta, dove erano menzionati i sindaci che agivano a nome dei lignaggi (ASSo, AN, 71, f. 388r., 1417.01.02), e nel verso, dove erano riportati gli impegni assunti da ciascun gruppo (ivi, f. 388v.), istituendo un chiaro parallelismo fra modalità di elezione della commissione e criteri di suddivisione degli oneri. Al livello delle federazioni, in Valtellina come in Valcamonica, i documenti che riguardavano le elezioni degli incaricati della valutazione delle capacità contributive dei vari soggetti territoriali che le costituivano, ne enfatizzavano il concorso calibrato ad un’operazione così delicata e foriera di tensioni (SAG, A Sp III/11a III B 1, p. 733, s.d.; Archivio storico civico di Brescia, Codice diplomatico, 18.27, f. 99r., 1476.02.05; RP, cart. 77, fasc. 1, f. 1r., 1492.11.22; ivi, f. 1v.). A cose fatte, un prospetto relativo alla divisione di una singola taglia si sarebbe strutturato ancora come una lista di comuni fiscalmente responsabili, in tutto analoga a quelle che ricorrevano nei verbali dei consigli dell’università (SAG, A Sp III/11a III B 1, p. 345, 1538.12). Anche i precetti rivolti alle federazioni – come quello che gli ufficiali ducali potevano emettere per imporre la raccolta della somma necessaria alla realizzazione di un ponte – includevano liste di comuni concepite nello stesso modo (ASSo, AN, 517, f. 119r., 1490.02.24).

In particolare, interessa che alcuni dei documenti che intervenivano in questi campi, come si è accennato, godessero di una visibilità superiore rispetto alle imbreviature notarili, acquisendo dunque ulteriori valenze (§ 3.2.3). Le soluzioni ordinative e grafiche dell’elenco che apre il codice degli statuti di Masera comunicano in modo più diretto lo stesso modello di convivenza che il testo delle norme intendeva costruire: le prime enfatizzavano la trama dei singoli nuclei insediativi soggiacenti all’unità istituzionale del comune, il secondo arrivava a prescrivere che l’obbligo dei vicini alla denuncia dei malefici di cui erano a conoscenza e la responsabilità in solido per i malefici stessi non avvincessero gli abitanti dell’intero comune, ma quelli della singola contrada o del solo «casalis» in cui fosse avvenuto il fatto (BERTAMINI, Masera e i suoi Statuti, p. 99; ivi, p. 100) [83]. Coloro che avessero scorso l’estimo di Crevola del 1458 vi avrebbero trovato rappresentata ripetutamente la struttura per quartieri del comune, le quattro circoscrizioni in base alle quali erano stati eletti gli incaricati dell’accertamento fiscale e raccolte, nel registro stesso, le partite dei singoli vicini (Archivio della Silva, Estimi, 2, f. 70r., 1458).

In un caso fortunato la documentazione svela il modo in cui i tentativi per contornare gli ambiti della responsabilità in solido, nella circostanza allo scopo di punire l’eventuale infrazione alle norme statali circa il contrabbando, coinvolgessero le forme del documento e come quindi queste venissero finalizzate alle esigenze di definizione giuridica e istituzionale della comunità. Nel 1452 il podestà di Morbegno, obbedendo alle lettere ducali a lui indirizzate, fece giurare ai rappresentanti di vari comuni della Valle del Bitto l’assicurazione di non vendere derrate alimentari ai sudditi della repubblica di Venezia, cioè agli abitanti delle confinanti valli bergamasche. Tratteggiare le cornici entro le quali i sudditi erano chiamati ad impegnarsi risultò particolarmente problematico in quelle terre in cui, come si è visto, la parentela era una protagonista della vita pubblica (§ 2.2.3). Ancora una volta non si può dire se decisiva sia stata la contrattazione tra il magistrato sforzesco e i rappresentanti della comunità, l’insoddisfazione del primo o dei secondi, un ripensamento del notaio; in ogni caso della promissio degli uomini di Gerola è rimasto un documento in due redazioni di concezione radicalmente diversa, pur essendo uscite dalla penna della medesima persona lo stesso giorno. La prima stesura riporta la promissio che sette uomini prestarono ognuno esclusivamente a nome della propria parentela e in un caso pure per conto di un’altra agnazione, cui si aggiunse un individuo che agì soltanto per sé. Il notaio però, scritto un altro nome cui non fece seguire nessuna formula, lasciò interrotto il documento e lo cassò, barrandolo con una linea obliqua. Lo riprese nella carta seguente, ma ripensandolo profondamente: scrisse nuovamente i nomi dei nove uomini che aveva menzionato nel primo abbozzo e ne aggiunse altri sei, eliminò le loro promissiones prestate a nome delle rispettive parentele, e fece seguire l’elenco da un unico impegno giurato collettivo e soprattutto in solido, che dunque avvinceva tutti ad una responsabilità sovra–individuale situata non più al livello del lignaggio, ma del comune. Mentre modificava il tenore dell’atto, ne mutava anche i caratteri grafici, come aiutandosi con questi ultimi a concepire lo stesso gruppo di persone in modo nuovo: nella stesura che enfatizzava l’impegno delle parentele ogni singolo nucleo di corresponsabilità a base consanguinea veniva isolato sulla carta grazie al particolare allineamento dei nomi dei giuranti, incipit di ogni capoverso, e alle righe lasciate bianche fra una formula e l’altra (ASSo, AN, 181, f. 410v., 1452.06.20). Nella versione definitiva la realtà di Gerola veniva ricomposta in primo luogo graficamente: tutti quegli elementi che segnavano gli stacchi interni al primo elenco furono abbandonati, a favore di una lista continua che, su un’unica colonna, vedeva seguire a distanze regolari i nomi di coloro che prestavano la loro promissio collettiva (ivi, f. 411r.).


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note

[83] Cfr. BERTAMINI, Masera e i suoi Statuti, in particolare pp. 60–61, capp. VIII, VIIII.