2. La forma della comunità: culture locali nel mutamento

2.2. L’emergere delle singolarità e la divaricazione delle esperienze locali in Valtellina nella prima metà del XV secolo

2.2.3. La parentela

Come ho detto, nel XIII e nel XIV secolo la fisionomia dei comuni dei vicini non recava le tracce dall’appartenenza agnatizia e i notai redattori delle assemblee plenarie trascuravano del tutto il cognome come criterio ordinativo dell’elenco dei capifamiglia. Al massimo, e comunque di rado, erano interessati ad accostare chi apparteneva al nucleo domestico: padri e figli, fratelli, talvolta zii e nipoti erano allora avvicinanti nella sequenza dei nomi; non così, di norma, i membri del più ampio gruppo parentale. In seguito, molto lentamente e senza esiti impeccabili e definitivi, crebbe l’attenzione dei notai ad organizzare, entro gli elenchi, serie continue di uomini che portavano lo stesso cognome, rappresentando così la comunità come sintesi non più di singoli individui, ma di individui appartenenti a delle parentele.

Le soluzioni più audaci maturarono in alcuni comuni della Valle del Bitto, una valle laterale che si apre sul versante orobico della bassa Valtellina, a partire dagli anni Ottanta del XIV secolo. Allora, nella zona, la parentela venne alla ribalta della vita politica e sociale: si costituirono, all’interno dei comuni, «squadre» ognuna composta da una o più agnazioni, che agivano come gruppi corporati. Nei difficili anni dello spopolamento indotto dalla peste e della guerra, l’affermazione di questi nuovi soggetti ebbe un effetto lacerante, capace di infrangere l’involucro comunale e di liberare l’azione quasi del tutto autonoma delle singole parentele o delle squadre in cui queste si erano organizzate. Poi si pervenne ad un assestamento: le agnazioni regolavano la spartizione delle cariche comunitarie, l’assunzione di responsabilità del singolo, la sua rappresentanza nella vicinanza, la gestione dei patrimoni collettivi. Al contempo si riconoscevano come articolazioni interne di un comune e per il tramite del comune stesso venivano rappresentate nei consigli delle federazioni. Tuttavia, la ricerca del punto in cui situare il compromesso restò faticosa e la rappresentazione documentaria delle comunità intese contribuirvi. Così la documentazione relativa a quei centri di cui nel XIV secolo era stato evidenziato il profilo unitario (§ 2.1), come Bema (ASSo, AN, 2, f. 198r., 1333.05.03) e Rasura (ASSo, AN, 4, f. 234r., 1342.12.10), enfatizzò ora la loro formazione composita, come somma di blocchi parentali.

L’istrumento che conferì maggiore visibilità pubblica alle parentele riguarda Bema e risale al 1428. Le unità di discendenza patrilineare, nove, furono allora rappresentate nell’assemblea comunale da un numero di esponenti molto variabile, che agivano, come viene detto con formule identiche nella sostanza, «pro se, suis propriis nominibus et nomine et vice omnium et singularum personarum dicte parentele». Il notaio Donato Ruffoni radunò con cura tutti i nomi dei convenuti per parentele, separate le une dalle altre con una riga lasciata bianca. Avvinse coloro che condividevano lo stesso cognome gli uni agli altri tramite una grossa graffa a destra dell’elenco nominale; a destra della graffa pose la formula di rappresentanza che li faceva agire per conto di tutta l’agnazione. All’interno della parentela definì l’ordine dei nomi in base ad altri due criteri: quello gerarchico e quello del gruppo familiare ristretto. In modo rigoroso due volte, con l’eccezione proprio del primo dei nominati un’altra volta, menzionò gli uomini insigniti del titolo di ser o di magister all’apertura degli elenchi delle rispettive parentele. Sempre all’interno di ciascun blocco agnatizio, inoltre, avvicinò i nomi dei fratelli. Il comune, dunque, almeno quale il notaio si sforzò di comprenderlo, era solo un labile raccordo dei gruppi agnatizi che lo costituivano; a differenza di quanto avveniva a Morbegno (§ 2.2.2), solo all’interno di questi corpi compatti il prestigio poteva determinare la precedenza individuale; infine il nucleo di consanguineità più stretto era concepito come una sotto–articolazione, meno rilevante, dell’agnazione nel suo complesso (ASSo, AN, 127, f. 275v., 1428.12.02; ivi, f. 276r.).

Nel 1460, Pietro Foppa organizzò la sequenza dei convenuti nell’assemblea dello stesso comune rigorosamente per cognomi, raccolti spesso da una parentesi di chiusura, a destra della quale erano poste note quali «omnes pro tota parentela de…». Di nuovo, il linguaggio della gerarchia non era ignorato dal notaio, ma era subordinato ad una originaria suddivisione dello spazio sociale per parentele: a coloro che portavano il titolo di ser, infatti, venne riconosciuta la precedenza (con un’unica eccezione), ma solo all’interno della loro agnazione (ASSo, AN, 208, f. 89r., 1460.01.31; ivi, f. 89v.).

In occasione dei «pacta» stabiliti a Rasura per la divisione del carico fiscale, nel 1417, il notaio Giacomo Castelli d’Argegno isolò i cinque agenti nella loro singolare rappresentanza delle squadre, per conto dei cui membri essi intervenivano all’accordo. L’evidenza dei singoli «capitula», grazie alle dimensioni delle lettere iniziali, ai rientri, alla riga lasciata bianca tra un capoverso e l’altro, sembra volta a riprodurre, nella ripartizione della pagina, la divisione dello spazio pubblico della comunità tra le sue parentele (ASSo, AN, 71, f. 388r., 1417.01.02).

Nella seconda metà del secolo, il notaio locale Beltramo Guarinoni, rogando gli strumenti relativi ai consigli di vicinanza del comune o dei parrocchiani di S. Giacomo di Rasura (la cui cura si sovrapponeva largamente al territorio comunale), sviluppò una notevole fantasia grafica allo scopo di interpretare e rappresentare una situazione così peculiare. Fin dall’inizio della sua attività, almeno quale è documentata, appare impegnato nella ricerca delle soluzioni più adeguate. Per quanto riguarda le imbreviature stese sul quaderno, in un primo documento del febbraio 1465 ordinò la sequenza dei convenuti per cognomi; inoltre la organizzò su due colonne: in quella di sinistra, la più curata graficamente, usò un sistema di rientri che evidenziava lo stacco tra una parentela e l’altra (ASSo, AN, 344, f. 3r., 1465.02.03). In un successivo verbale di maggio, introdusse un nuovo espediente: tracciò sulla carta, si direbbe ancora timidamente, delle linee a tagliare le colonne, che concorrevano – insieme alle righe lasciate bianche e all’interruzione della sequenza alla fine della colonna – a separare gli appartenenti alle diverse parentele (ivi, f. 18r., 1465.05.24; ivi, f. 18v.) [24]. Nella prima affrettata registrazione su foglio volante, solo in un secondo momento inserto nel cartulario, di quest’ultimo atto aggiunse un ulteriore segnale, le parentesi di chiusura. Poste a destra dei nomi, esse univano i membri della stessa parentela; alla loro destra era la formula che ribadiva il legame fra i consanguinei nella vita pubblica: «qui omnes supra nominati, suis nominibus propriis et item nominibus et vice omnium suarum parentellarum pro quibus promisserunt de rato habendo etc.» (ivi, f. 173v., 1465.05.24). L’anno dopo il Guarinoni le impiegò anche in una più curata imbreviatura stesa nel cartulario (ivi, f. 39v., 1466.02.01; ivi, f. 40r). Nel periodo successivo, continuò a conferire massima visibilità alla distinzione delle parentele, applicando il canone ordinativo e grafico che aveva messo a punto poco alla volta, in modo ora più ricco (ivi, f. 48r., 1466.04.08), ora più essenziale (ivi, f. 130r., 1468.01.18; ivi, f. 130v.). Nel 1475, addirittura, tracciò dei veri e propri riquadri attorno ai gruppi parentali, isolati gli uni dagli altri da una rete di linee verticali e orizzontali. In tale occasione, egli fece davvero dei tratti di penna che tracciava sulla carta la traduzione simbolica dei confini che percepiva fra i cinque nuclei consanguinei e intendeva istituire in seno alla comunità. I titoli di ser e magister furono, in più di un’occasione, un criterio di definizione delle preminenze, ma solo all’interno della parentela. Come a Bema, coloro che se ne fregiavano vennero collocati in apertura non dell’elenco dei vicini nel suo complesso, ma delle sequenze degli appartenenti alla loro stessa agnazione (ASSo, AN, 345, f. 133v., 1475.01.29).


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note

[24] Gli elementi della data non concordano. Per una soluzione analoga, in una situazione più tarda, ma segnata dallo stesso protagonismo della parentela, v. E. COLOMBO, Il contado di Vigevano e la forza di una comunità. La provincia e Gambolò nel Seicento, Vigevano 2005, p. 99, fig. 2.1, dove è riprodotta la pagina di una electio consiliare del 1596, interpretabile alla luce dell’analisi svolta alle pp. 57–85.