2. La forma della comunità: culture locali nel mutamento

2.2. L’emergere delle singolarità e la divaricazione delle esperienze locali in Valtellina nella prima metà del XV secolo

2.2.4. L’identità residenziale

Nel versante della bassa Valtellina opposto a quello in cui si apre la Valle del Bitto, il settore retico, è possibile ripercorrere, nell’arco di un secolo, il mutamento della rappresentazione delle comunità di Ardenno e Civo. Nel XIV secolo, si è detto, i notai concepivano la prima (ASSo, AN, 2, f. 342v., 1343.10.18) e la seconda (ASSo, AN, 5, f. 82r., 1346.04.17) compatte come quelle vicine (§ 2.1). Nel corso dei decenni, però, l’unità sub–comunale della contrada (il singolo villaggio o il piccolo gruppo di insediamenti che assumeva una propria fisionomia all’interno del comune) acquisì una particolare rilevanza: vi furono innanzitutto esperienze di autonomia ampia e precoce in campo fiscale. Inoltre, nel definire l’identità della singola persona, il riferimento alla discendenza rimase subordinato a quello della residenza o comunque il primo fu assimilato dal secondo; così, mentre in Valle del Bitto alcune contrade derivarono il proprio nome dal cognome dell’agnazione che vi era insediata, al contrario a Civo e Ardenno furono coloro che abitavano in una determinata località a mutuare il proprio cognome dal relativo toponimo.

Anche in questo caso nel Quattrocento i notai interruppero una tradizione decennale e organizzarono le liste dei convenuti nelle assemblee di vicinanza di Ardenno e Civo ricorrendo a soluzioni non lontane da quelle che si sono viste adottate a Morbegno (§ 2.2.2) e in Valle del Bitto (§ 2.2.3), ma con lo scopo di enfatizzare l’appartenenza micro–residenziale dei capifamiglia. Nei verbali stilati a Civo nel 1451 e ad Ardenno nel 1476 i nomi di tutti coloro che vivevano nella stessa contrada erano avvicinati, e alla fine della loro serie il notaio precisava «omnes de Caspano et ibi habitantes», «omnes de Plazalonga», «omnes de Buyolo» e così via. L’elenco era disposto su colonne in entrambi i casi; la scansione acquistava ancora poca visibilità nel 1451, quando il notaio Gian Pietro Zuccani ricorreva semplicemente a un rientro per la specificazione omnes de... (ASSo, AN, 237, f. 19v., 1451.01.10). Maggiore era l’evidenza grafica dell’unità abitativa nel 1476, quando il notaio Bernardino Parravicini, terminata la sequenza inerente alla singola vicinanza, tracciava una linea obliqua che percorreva la colonna, seguita dall’indicazione omnes de..., lasciava poi una o più righe bianche, prima di passare ai nomi dei residenti nella contrada successiva. Se la riga bianca interviene come un esplicito stacco fra le contrade e i rispettivi residenti, il segno più visibile sulla pagina è la linea obliqua. Non è detto, a ben vedere, che tale segno volesse intenzionalmente enfatizzare la discontinuità fra una sezione e l’altra dell’elenco; spesso, infatti, i notai barravano la superficie non utilizzata di quegli spazi lasciati bianchi in una prima fase della stesura del documento, che magari si erano riservati di compilare in un secondo momento e che poi si erano rivelati inutili. Si tratta, però, di un’eventualità non meno significativa, dal momento che testimonierebbe come il Parravicini, nel suo lavoro, scandisse dapprima la pagina con i toponimi e solo in un secondo momento riempisse le colonne di nomi, come se fossero i luoghi ad ospitare gli uomini piuttosto che gli uomini a produrre i luoghi (ASSo, AN, 421, f. 54r., 1476.05.06; ivi, f. 54v.).

Cosio era un comune di fondovalle della bassa Valtellina, il cui territorio si estendeva però ad un settore della Valle del Bitto. Nel Trecento, si è detto (§ 2.1), vi era riconosciuta la stessa compattezza che caratterizzava tutte le altre situazioni valtellinesi (ASSo, AN, 2, f. 22r., 1322.10.27). Nel XV secolo, invece, vi furono valorizzate, come matrici della vita associata, sia la parentela, sia l’appartenenza micro–locale (la residenza nei singoli villaggi e, ad un livello intermedio, nei due segmenti del territorio comunale, il Monte e il Piano, in cui gli stessi villaggi si componevano). Nel 1416, il notaio Giacomo Castelli d’Argegno rogò un documento di sindicatus in cui intervenivano la «parentella de Zunionibus», la «parentella de Boninis», la «parentella de Bergamo», la «squadra de Filiponibus», nonché, formazioni a schietta base territoriale, la «squadra de Cosio» e la «squadra de Rovoledo». Egli pur senza ricercare soluzioni eleganti, interrompendo la scrittura sulla riga alla fine dell’elenco di ogni nucleo di consanguinei o di co–residenti, cui faceva seguire una o più righe bianche, rese in qualche modo leggibili sulla carta le unità minori in cui il comune si era frammentato (ASSo, AN, 71, f. 348r., 1416.03.25).

Nel 1431 Baldassarre Mandelli elaborò una più studiata rappresentazione, che mostra la rilevanza delle parentele, ma anche la loro subordinazione al principio della residenza. Pur non essendo impeccabile, l’elenco accorpava in sequenze ordinate alcuni cognomi (Bonini, Filipponi, Zugnoni e altri quattro), tutti di parentele del Monte, precisandone la reciproca attinenza con una parentesi quadra, a destra della quale era l’indicazione «omnes de Boninis», «omnes de Filliponibus» e così via. L’uso della lista, organizzata in due colonne per pagina, e le righe lasciate bianche tra una sequenza e l’altra rendevano immediatamente intelligibili i blocchi parentali. Eppure l’andamento dell’elenco, che designava prima gli abitanti del Monte, in una sezione ordinata per cognomi, poi quelli del Piano, in una sezione che rinunciava a quel principio, anche per l’evidente polverizzazione dei nuclei agnatizi che si verificava nella seconda realtà, anteponeva il criterio della residenza a quello della parentela. Infatti, i nomi di quei membri dei grandi gruppi di discendenza che si fossero trasferiti dai villaggi del Monte di cui erano originari a quelli del Piano, venivano allontanati, nell’ordine dell’elenco, da quelli dei loro consanguinei, espunti quindi dai blocchi che enfatizzavano la coesione di questi ultimi, per essere mischiati con quelli dei loro nuovi vicini. Infine, negando ai presenti, senza eccezioni, alcun titolo, il notaio scartava in partenza l’ipotesi di un ordine gerarchico dei nomi (ASSo, AN, 77, f. 111r., 1431.05.21; ivi, ff. 111v.–112r.).


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