Gli affreschi nella sacristia maggiore di San Giovanni in Morbegno

«Sacerdotem etenim oportet offerre». [1]

Il primo episodio che conviene considerare si presenta come monocromo di tinta sanguigna centrato sopra il cornicione della parete nord. La scena raffigurata non è di facile lettura, se si considerano tutti i suoi particolari. La decodificazione più credibile sembra quella che rimanda alla investitura sacerdotale di Aronne e dei figli, avvenuta per opera di Mosè su ordine di Dio. Di ciò tratta il libro dell’Esodo, al capitolo 29, che inizia con le parole: «Osserverai questo rito per consacrarli al mio sacerdozio».
Il rituale descritto è di una complessità straordinaria e deve ripetersi per sette giorni. Ma tra i molteplici gesti sacrificali descritti i più importanti sono gli olocausti. Del primo di essi si dice: «È un olocausto in onore del Signore, un profumo gradito, un’offerta consumata dal fuoco in onore del Signore» (Es 29, 16); dell’ultimo, ancora: «profumo gradito, offerta consumata dal fuoco in onore del Signore. Questo è l’olocausto perenne di generazione in generazione» (Es 29, 41-42).

Aronne

Aronne e i suoi figli in rito sacrificale.

La scena del Bianchi sembra riproporre questo ‘tipo’ veterotestamentario, riportando alle fonti della istituzione del sacerdozio levitico. IHWH –cristianizzato come Dio Padre– si compiace dal cielo dell’offerta tributatagli da Aronne e dalla sua prole. Fiamme vivacemente avvampanti bruciano sull’altare la vittima il cui profumo s’impasta con la preghiera e la grata meraviglia dei circostanti. Il testo biblico ricorda anche altri tipi di sacrificio, come quello per il peccato, o quello di comunione. Tuttavia qui la memoria è attirata globalmente e propriamente sull’istituzione del ministero levitico e sul suo primario compito di offerre, per onorare l’Altissimo e riceverne grazie e benedizioni. Siamo certo nel campo delle ‘figure’. La realtà definitiva sarà il Cristo «venuto come sommo sacerdote dei beni futuri» che, col suo sangue, ottiene una redenzione eterna (cfr. Eb 9, 11). Il rimando ultimo della scena va al Mistero e al ministero del Nuovo Testamento. Dio ha meravigliosamente rinnovato il patto dell’Alleanza, donando suo Figlio come vittima di riscatto. Annullando col dono di se stesso i riti sacrificali compiuti durante il tempo della preparazione da parte del sacerdozio levitico, il memoriale del sacrificio del Calvario è stato istituito profeticamente da Gesù nel rito della Cena, e si perpetua nella messa affidata ai presbiteri.
Il traguardo della formazione all’Ordo clericale è ancora oggi linguisticamente formulato, dalla gente semplice, come l’arrivare a ‘dir messa’. Questo supremo atto di glorificazione di Dio e di mediazione (incontro di grazia riversata sul mondo e di culto che sale, con una particolare sottolineatura della valenza sacrificale propiziatoria per i vivi e per i morti) da sempre –e rettamente– è percepito come il compito più proprio e come l’onore più grande del prete. Quanto alla importanza sacrificale data al sangue della Vittima santa, veniva sottolineata dallo stesso rito di ordinazione dei presbiteri della nuova Alleanza. Il Pontificale romano continuava a mettere sulla bocca del Vescovo, rivolto ai nuovi leviti, queste parole: «Sitis benedicti in ordine sacerdotali et offeratis placabiles Hostias pro peccatis atque offensionibus populi omnipotenti Deo» [2].

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note

[1] «L’offrire è compito del sacerdote»: Pontificale Romano: rito di ordinazione del presbitero. Si cita il Pontificale Romanum, Editio princeps (1595–1596), a cura di M. Sodi – A. M. Triacca, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1997, n. 109. (=PR).

[2] PR, n. 132: «Affinché siate benedetti nell’ordine sacerdotale, e possiate offrire a Dio onnipotente Vittime di riconciliazione per i peccati e per le offese arrecategli dal popolo».