Il principe, le magistrature centrali e periferiche, i feudatari non si limitavano a proporre degli ideali e nemmeno a rileggere le pratiche politiche locali alla luce dei loro pregiudizi sociali e della polemica ideologica contro le procedure delle istituzioni periferiche. Erano evidentemente nella posizione di intervenire in modo condizionante sulle consuetudini delle comunità, disponendo ad esempio di significativi anche se non illimitati margini di scelta degli interlocutori. La ricerca di collaborazione in periferia, di conseguenza, appare come un costante sforzo di distinguere dei principali o dei «migliori» all’interno delle realtà urbane e rurali, facendo dello stesso governo del «paese» una leva sociale in grado di riplasmare i rapporti di potere e le gerarchie interne ai territori. Certo, anche gli Sforza e i loro agenti si rivolgevano ai consigli e agli ufficiali locali, potevano ravvisare nel designato dalla comunità non un uomo dotato di singolare reputazione, ma un semplice «deputato» degli uomini, chiedere l’invio di «duy de li vostri» anonimi [163]. Sovente, però, si orientarono in senso diverso: arrivarono ad eludere, nel caso, il ruolo di magistrati, procuratori e ambasciatori o invece imposero che tali incarichi formali fossero assegnati alle figure dotate di maggiore spicco individuale, trattando poi con queste ultime non in considerazione delle mansioni loro attribuite dal basso, ma della loro qualità personale.
Ufficiali e principi potevano chiedere esplicitamente alle comunità urbane e rurali, ai loro consigli, di conferire una determinata mansione ai «migliori» o di inviare a colloquio i principali. Già negli anni Sessanta del Trecento Rodolfo Visconti incaricò il podestà e i Deputati alle entrate e alle uscite della città di Bergamo di decidere di una spesa del comune con «centum homines de melioribus civitatis Pergami» [164]. Nel Quattrocento era normale che il podestà locale esercitasse pressioni sui lavori assembleari e intervenisse nella selezione degli ambasciatori o di deputati ad hoc a favore delle figure che godevano della sua stima: «duy de li principali» o «duy de loro più sufficienti et de li boni» [165].
Una circostanza già diversa, per l’arbitrio che le autorità si riservano, era la convocazione, a fianco dei procuratori e dei magistrati comunitari, di principali designati e responsabilizzati dall’alto. Nel 1392 il vicario del Terziere Inferiore chiamò i comuni della giurisdizione al Consiglio di Valtellina di Tresivio, rivolgendo il proprio precetto ai «conscilliares Terzerii [...] et totidem ex melioribus et prudentioribus dicti Terzierii» [166].
In altre occasioni ancora, si aggirarono del tutto gli organi comunitari e il duca, il podestà o il feudatario selezionarono direttamente le figure locali di maggiore rilievo per risolvere problemi fiscali o di pace pubblica. Ludovico Sforza, dopo un «excesso» commesso da un uomo di Val San Giacomo contro un cavaliere del re dei Romani, ordinò al feudatario Antonio Balbiani di catturare il malfattore e, quando non fosse possibile, di «comandare ad quatro di principali de la valle andasseno da s.S.» [167]. Un ufficiale incaricato di raccogliere il denaro per finanziare un’impresa militare da condurre sulla sponda orientale del Lario, cercò il contatto con «questi lacuali di meliori» [168]. Per lo stesso impegno all’obbedienza verso lo stato, il capitano del lago di Como nel 1462 pretese il giuramento di fedeltà «per tuti li principali homeni et etiam per li altri di questo lago» [169]. Nelle istruzioni inviate al luogotenente del capitano di Valtellina, a seguito di una manifestazione collettiva degli abitanti dei comuni di Tresivio Piano e Tresivio Monte che aveva disturbato il principe e il suo ufficiale, Francesco Sforza affermò esplicitamente il modello non solo di un’interlocuzione riservata a pochi esponenti degli uomini, ma pure, rispetto alla stessa prospettiva del magistrato periferico, che si era rivolto ai loro «sindici», di una selezione dall’alto dei loro portavoce. Virardo de Calabria, infatti, avrebbe dovuto accertare la genesi di quell’episodio e, allo scopo, gli si diceva, «debiate fare comandamento ad quatro o cinque delli principali de quelli comuni che venero ad comparire tra duecento denanti ad vuy» [170].
Nella diramazione ed esecuzione degli ordini che dal centro raggiungeva la periferia a volte è particolarmente evidente lo scarto che elude i soggetti collettivi o li riduce ai principali che operano per essi. Nel 1469 il capitano di Val Lugano Gian Battista Castiglioni ricevette una lettera di Galeazzo Maria Sforza diretta, scriveva nella replica, «a me et al comune et hominy de Morcho’» perché questi ultimi consegnassero una somma di denaro. Al momento, tuttavia, diceva di non sapere come intimare quell’ordine ai suoi destinatari «perché [...] li megliori de quella [terra] sono apsenti» a causa dell’epidemia in corso [171]. Pier Paolo Vimercati nel 1499 scrisse a Bartolomeo Calco: «Questi giorni passati v.M. me comisse dovesse parlare con li homini quali hano a contribuire a la reparatione de la strata [...] et per observatione de dicta comissione ne ho parlato con alchuni de li megliori de le terre hano a fare tale opera» [172].
Potevano così essere risolti alcuni dei problemi che, secondo le autorità statali, ponevano le istituzioni comunitarie. Contatti preliminari con i maggiorenti sembravano evitare il rischio di contestazioni per le imposizioni più sgradite e onerose. Una lettera di Giovanni e Gabriele Balbiani, nel 1465 alla ricerca di aiuti militari per la Valchiavenna, riferisce come immediato e quasi naturale il passaggio dall’ordine rivolto alla comunità, alla ricerca di interlocutori individuali e influenti; inoltre scandisce chiaramente le precedenze che un feudatario del dominio osservava nella selezione dei suoi contatti politici. Si trattava, nella circostanza di «solicitare che presto se exequisca quanto gli ha scripto il [...] d. Sagramoro [Visconti] al capitaneo et comunitate et homini de Valletelina per nostro socorso». Eppure, per raggiungere lo scopo, il 6 gennaio il conte Giovanni si riprometteva «andarò domatina in Valetelina da d. Antonio di Becharia e dagli altri principali», dimenticando la rappresentanza consiliare delle comunità. Il 9 gennaio poteva già informare il duca della disponibilità venuta da Marchesino Filipponi, Giacometto Fontana e soprattutto da Maffeolo Quadrio di Ponte e Antonio Beccaria. Solo l’11, si direbbe a cose fatte, si riunì il Consiglio di valle per provvedere all’invio dei fanti [173].
Eludere la rappresentanza costituita formalmente dai corpi, per cercare più direttamente il dialogo con gli uomini di maggiore spicco nelle realtà periferiche, voleva pure essere un fattore di accelerazione dei tempi della politica. Essi sarebbero poi intervenuti presso gli altri sudditi affinché questi eseguissero «di trata» quanto loro richiesto. Azzo Visconti, incaricato nel 1471 di esigere 4000 ducati dovuti dalla città di Como in seguito ad una condanna, a dicembre riferì al principe dei numerosi consigli che si erano tenuti e della volontà emersa di ripresentare le proprie ragioni al duca, prima di assumere un impegno definitivo: «loro più volte àno fato insieme con molti citadini loro consilii, da po’ me àno dito non volerme per niente fare resposta per fino non mandano una altra volta da v.i.S.». Tre mesi dopo non aveva ancora ottenuto una parola definitiva: «quisti deputati con alcuni altri citadini de li principali de la terra più volti sono stati insiema et finalmente [àno] convocato il Conscilio generale, pur niuna conclusione preseno, et questo perché sono pur molti d’essi che sono molti renitenti a condesendere a pagamento niuno». A questo punto gli parve che la soluzione più efficace per ridurre tali lungaggini e vincere le ostinazioni dei cittadini fosse costringere l’assemblea più larga ad eleggere finalmente dodici uomini eccellenti che affiancassero la Provvisione per deliberare [174].
Rovescio della medaglia per le figure di maggiore reputazione, era sempre ai principali che si riteneva di dover mettere «terrore» nel momento in cui ad esempio gli uomini si mostravano renitenti al pagamento di una tassa [175].
Pure soggetti locali diversi, lignaggi insediati nel territorio, corporazioni, fazioni, erano interessati dallo stesso tipo di selezione. La riconciliazione tra le fazioni della città e del territorio bergamasco nel 1379 doveva essere stipulata fra i sindaci delle comunità e i «notabiles» delle parentele; per pacificare il Luganese, nel 1467, il commissario sforzesco convocò «alcuni de li principali de questi homini de parte gibillina» [176]. Il referendario di Como, dopo che i mercanti di lana della città ebbero levato una «condoglianza», scrisse a Bartolomeo Calco: «ho havuto da mi più merchadanti et asay bon numero et de li megliori» per affrontare la questione [177].
Più raramente, invece, intervenivano criteri discriminanti diversi dalla potenza, la ricchezza e l’estrazione sociale, come l’età: per ricomporre una frattura apertasi all’interno della comunità di Val Blenio attorno alla nomina del console, Galeazzo Maria Sforza non cercò i principali, ma volle si eleggessero «quatro di più antiqui et più valenti de la dicta vicinanza» da parte degli uomini, «secundo le usanze soe», che valutassero l’idoneità dell’eletto [178].
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[163] ASMi, Missive, 38, p. 664, 1458.10.22.
[164] I «registri litterarum» di Bergamo, p. 24.
[165] SCARAMELLINI, p. 382, doc. 344; ASMi, CS, 784, 1483.08.05. Ancora: nel 1426 il castellano di Chiavenna, in esecuzione delle lettere ducali destinategli, convocò il Consiglio di Valchiavenna e gli ordinò di inviare ai Maestri delle entrate «quatuor ex mellioribus hominibus comunitatis Clavene» (ASSo, AN, 108, ff. 182v.–183r., 1426.05.07). Un commissario si rivolse ai «dagani et homini» di due comuni valtellinesi, allo scopo, però, che «duodeci de voy de li principali» si impegnassero a nome degli altri a comportarsi come «pacifici subditi» (ASCo, AN, Atti, 74, ff. 88r.–93r., 1465.11.26). Cfr. LAZZARINI, Il linguaggio del territorio, cap. I.2.
[166] ASSo, AN, 52, f. 141v., 1392.11.29. Ludovico Valeri, capitano di Valtellina, si ripropose di risolvere una contesa patrimoniale che agitava il Terziere Superiore della Valtellina e di provvedere al porto abusivo di armi convocando i decani dei comuni della circoscrizione «con quatro de li megliori de chadauna terra» (ASMi, CS, 784, 1482.04.15). Cfr. M. GENTILE, Fazioni al governo. Politica e società a Parma nella seconda metà del Quattrocento (1449–1484), tesi di dottorato di ricerca, Università degli Studi di Trento, 2002, p. 21, n. 40.
[167] ASMi, CS, 1156, 1494.05.24.
[168] ASMi, CS, 718, 1454.03.15. Il podestà di Tirano Gian Luterio Luini scrisse che, per affrontare il peso di un’ingente tassa, «ho fato domandare da mi li principali de essa giurisdictione et agenti nomine de quella» (ASMi, CS, 784, 1481.09.13). V. ancora ASMi, CS, 718, 1452.03.22; 783, 1477.10.22; ASMi, Missive, 25, f. 250r.–v., 1455.11.05; ASMi, Comuni, 87, Valtellina, 1488.06.23. Cfr. R. MUSSO, «El stato nostro de Zenoa». Aspetti istituzionali della prima dominazione sforzesca su Genova (1464–78), in Serta antiqua et mediaevalia, V, Società e istituzioni del Medioevo ligure, Roma, Giorgio Bretschneider, 2001, pp. 199–236, pp. 207–208.
[169] ASMi, CS, 720, 1462.01.03.
[170] ASMi, Missive, 25, f. 15r., 1454.09.04. V. ancora ASMi, CS, 718, 1454.03.15; 784, 1483.09.12.
[171] TD, II/2, pp. 156–157, doc. 999.
[172] ASMi, CS, 1157, 1499.01.22.
[173] ASMi, CS, 720, 1465.01.06, 09 e 14.
[174] ASMi, CS, 782, 1471.12.16, 1472.02.03. Anche il capitano di Valtellina nel 1499 presentò ai comuni della squadra di Morbegno l’alternativa fra prestare «segurtà» o una fideiussione per le spese della fortificazione di Tirano oppure designare «quatro de li più richi» che contraessero l’impegno al loro posto, una scorciatoia individuata dopo che i consiglieri della federazione avevano partecipato in modo inconcludente al Consiglio generale di Valtellina convocato appositamente («questo ve scrivo per esser partiti li conscilieri vostri senza conclusione alchuna») (ASSo, AN, 381, ff. 582r.–583v., 1499.06.25). Una lettera di Galeazzo Maria Sforza relativa alla podesteria di Sorico e Dongo mostra chiaramente come a corte si ritenesse che uno stesso comando di convocazione a Milano potesse essere eseguito dai «principali» entro un giorno dalla comunicazione dell’ordine, dalla comunità in un tempo differito, che doveva contemplare l’intimazione del precetto ducale al procuratore del comune, la congregazione dei consoli delle pievi di Dongo e Sorico o degli uomini per la designazione dei messi da inviare nella capitale e infine la partenza degli eletti. Solo per l’ultimo degli intervalli frapposti tra queste azioni, quello che intercorreva fra l’elezione e la venuta a Milano, era prescritta esplicitamente una durata: tre giorni; i tempi richiesti dal lungo iter precedente non venivano invece nemmeno preventivati (ASMi, CS, 782, 1473.12.26). Cfr. DELLA MISERICORDIA, Decidere e agire in comunità, p. 331.
[175] ASMi, CS, 718, 1453.06.11.
[176] I «registri litterarum» di Bergamo, p. 61; TD, II/1, pp. 241–242, doc. 272, p. 246, doc. 277.
[177] ASMi, CS, 1156, 1495.10.09.
[178] TD, II/3, p. 149, doc. 1963.