Per nos hodie consecrata

Morbegno nei secoli XIV–XVI: trasformazioni sociali e identità comunitaria.

Nell’alta Lombardia si verificarono, nel basso medioevo, significativi processi di crescita demografica, economica e sociale di borghi e grossi centri abitati, di taglia intermedia fra le città e i villaggi di rustici. In questo contesto si situa la vicenda di Morbegno, che si segnala in particolare per il suo dinamismo.

Il comune non poteva vantare una lunga tradizione di centralità territoriale: non era sede di pieve e dunque non occupava una posizione eminente nei ranghi della distrettuazione ecclesiastica; non aveva il titolo di «borgo», riferito ai maggiori centri extra–urbani (come Bormio o Chiavenna). Solo nel corso del XIV secolo divenne il capoluogo giurisdizionale della bassa Valtellina, in quanto sede del vicario visconteo, poi podestà, posizione che mantenne in età sforzesca (quando tuttavia si rese indipendente la circoscrizione facente capo a Traona e comprendente le terre del versante retico). Si sviluppò, inoltre, come piazza commerciale (almeno dal 1447 è attestato il mercato settimanale) e creditizia. I suoi operatori agivano su larga scala: attivi sulla piazza di Como, acquistavano lana e rame da altri mercanti lombardi e da quelli tedeschi; facevano condurre verso la pianura ingenti quantità di legname; attraverso il passo del Tonale raggiungevano il Trentino, dove commerciavano ferro; a livello locale, vendevano e compravano ancora tessuti, prodotti alimentari, ferro e così via. Nel XV secolo Morbegno era il centro di smistamento delle derrate condotte di contrabbando dallo stato di Milano nelle terre bergamasche, soggette a Venezia, nonché la tappa di sosta preferita da coloro che transitavano dalla Valtellina per affari o altre ragioni. Un’élite di buon livello culturale assicurò le funzioni di mediazione politica e giudiziaria fra la popolazione locale e le autorità centrali. I villaggi della Valle del Bitto e del versante orobico della Valtellina vennero a dipendere sempre di più dai servizi economici e politici assicurati da Morbegno, fino a costituirne una sorta di hinterland. Per tutte queste ragioni, nel 1463 il podestà sforzesco potè definire Morbegno «la principal terra di questa valle».

Lo sviluppo economico concorse a profilare una specifica fisionomia della popolazione della terra di Morbegno, dedita in larga parte ad attività extra–agricole. Vi si trasferirono, infatti, notai e causidici, prestatori di denaro e commercianti, molti artigiani (impegnati soprattutto nel comparto alimentare, nella lavorazione del ferro, delle pelli e dei tessuti), nonché medici e maestri di scuola. Allettati dalle opportunità che Morbegno offriva erano gli originari delle località vicine, ma anche del Lario e delle valli bergamasche, della pianura comasca e milanese (è il caso dei facoltosi Ninguarda), che portavano con sé capitali, preziosi saperi e abilità tecniche. Di conseguenza gli abitanti crebbero sensibilmente di numero, in modo certo non continuo (pesanti furono soprattutto le conseguenze della crisi demografica degli ultimi decenni del Trecento e dell’inizio del Quattrocento); nel 1589, comunque, si contavano 528 fuochi nel comune, più di 400 dei quali residenti nel solo capoluogo (corrispondenti a 2500 anime). Un fattore che senz’altro concorse a convogliare i flussi della mobilità fu la politica verso l’immigrazione promossa a Morbegno, più aperta di quella di altri comuni rurali. Mentre altrove i forestieri furono discriminati ed esclusi dalle cariche e dal godimento degli introiti collettivi per decenni, quando non per secoli, a vantaggio delle famiglie che potevano vantare una più lontana origine locale, qui le autorità disposero periodicamente il loro accoglimento a pieno titolo nella comunità, anche in numeri significativi. Tale orientamento mutò il profilo del vertice politico, dove, accanto alle famiglie tradizionalmente eminenti, si collocarono anche causidici, operatori economici e notai di ascendenza non nobiliare, provenienti dalle località vicine, come Cosio o Rasura.

In un quadro così dinamico, anche i contenuti dell’appartenenza condivisa alla comunità dovettero essere aggiornati. Nel primo periodo della storia morbegnese documentato con continuità, grazie alle fonti notarili conservate presso l’Archivio di Stato di Sondrio (gli anni Venti del XIV secolo), il nucleo dell’identità locale, dell’organizzazione sociale e istituzionale non era il comune. La vita comunitaria di Morbegno si svolgeva infatti nella separatezza fra i tre ordini o ceti dei cittadini, dei nobili e dei vicini. I cittadini erano coloro che abitavano in loco, ma godevano della cittadinanza comasca e dei connessi privilegi fiscali e giurisdizionali; i nobili erano costituiti dalle famiglie locali di proprietari terrieri, notai ed altre figure dotate di un superiore prestigio sociale; i vicini erano tutti gli altri. I tre ordini tenevano assemblee distinte, in occasione delle quali prendevano decisioni separate e designavano propri procuratori e amministratori, condividendo solo al loro interno responsabilità fiscali e giudiziarie.
Ora, questa divisione si mostrò presto troppo rigida di fronte alla popolazione che affluiva massicciamente nella terra, diversificava le sue attività, incrementava le sue ricchezze. Si sperimentarono, per contro, criteri di riconoscimento del prestigio sociale più flessibili, per gratificare ambizioni cresciute nel tempo, distinguere le posizioni degli individui che avevano conosciuto parabole di affermazione o declino rispetto alle parentele o ai ceti di appartenenza. I tre ordini tesero allora ad una lenta fusione. Dapprima si integrò il vertice della società morbegnese: tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento il gruppo separato dei cittadini si sciolse e confluì in quello dei nobili. L’osmosi tra nobili e vicini si realizzò con maggiore difficoltà e a costo di più aspri conflitti; in ogni caso dopo la metà del Quattrocento non vi furono più episodi di contrapposizione fra i due ceti, unificati nella gestione delle risorse collettive e nel governo del comune.

L’identificabilità di un gruppo di cittadini e uno di nobili definiti giuridicamente e separati dai rustici si era via via complicata per vari motivi. La città di Como dal XIV secolo perse il controllo di gran parte del contado e divenne un riferimento politico e identitario troppo debole perché potesse mantenere aggregato, in zone così lontane, un gruppo che individuava se stesso nel solo riferimento al centro urbano. La qualifica nobiliare fu erosa, nel suo valore e nel suo significato, da un fenomeno ambivalente. Da un lato, a fronte del veloce rinnovarsi delle fortune in un centro dalla vita economica e sociale tanto vivace, il gruppo dei nobili di Morbegno continuava a dilatarsi, per accogliere i nuovi venuti di maggiore spicco (negli anni 1445–1447 è possibile stimare in oltre 80 i suoi membri politicamente attivi), inflazionando quindi lo stesso riconoscimento di distinzione che offriva. Dall’altro lato ne restavano tuttora esclusi uomini di grande prestigio, notai di più o meno recente immigrazione, affiliati all’ordine dei vicini, che assunsero spesso la guida del comune.

L’appartenenza locale, dunque, fu ripensata nel corso del XV secolo nel senso di una maggiore enfasi sul profilo unitario della comunità dei residenti, ma senza che si affermasse per questo un’immagine egualitaria della popolazione. Rendere pubblicamente riconoscibile l’eccellenza sociale rimase fondamentale. A questo scopo, però, non serviva più la rigida tripartizione degli ordini; sempre più rilevante divenne, invece che il ceto di cui si era tradizionalmente membri, il prestigio individuale, espresso dal titolo di dignità riferito al singolo soggetto (miles, dominus, ser), dalla posizione d’apertura assegnata, come segno di deferenza, al suo nome negli elenchi dei consiglieri di Morbegno nei verbali delle assemblee e via dicendo. Gli uomini cui fu riconosciuta questa superiore reputazione erano per l’appunto i membri di quell’élite composita e porosa (costituita da nobili e vicini, nativi e immigrati, redditieri, notai e artigiani) che tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo assunse la direzione degli affari politici del comune.

Nella specifica circostanza di questa raccolta di studi, può essere utile concludere il breve esame dei fenomeni che interessarono la società morbegnese riflettendo sul ruolo delle confraternite. Tali associazioni, infatti, oltre che per l’impegno devozionale e caritatevole, si segnalavano anche come sedi cruciali per promuovere l’integrazione sociale, costruire un’identità condivisa, assimilare i forestieri nel contesto locale; inoltre offrivano agli individui la possibilità di affermare una posizione eminente nella comunità, anche prima o in contemporanea con i successi ottenuti nella vita pubblica. Si può dire, insomma, che nel peculiare caso di Morbegno, abbiano costituito uno dei laboratori di quel sentimento della comunità che le spinte dinamiche provenienti dalla massiccia immigrazione, dallo sviluppo economico, dal rinnovarsi delle fortune e delle posizioni sociali di individui e gruppi, costrinsero a riprogettare più volte. Per ricordare solo due figure, Alessio Schenardi, un calderaio i cui avi provenivano da Averara (nelle valli bergamasche), conseguì nella vita devozionale della comunità le stesse gratificazioni e il medesimo riconoscimento di una piena integrazione con l’élite morbegnese che realizzò sulla scena politica. Negli anni 1508–1527 fu infatti colui che cumulò il più elevato numero di mandati annuali nella commissione dei quattro sindaci che reggevano il comune e al contempo fu membro del consorzio dei disciplini ovvero di San Lorenzo di Morbegno, poi reintitolatosi a Santa Maria, ricoprendovi cariche di vertice. Martino Filipponi, invece, originario di Regoledo (Cosio), trovò l’occasione di assumere responsabilità pubbliche, prima che nelle istituzioni locali, nell’associazionismo devoto, che dunque nella circostanza si rivelò un’esperienza partecipativa più aperta: membro della confraternita di San Pietro martire, nel 1483 fu uno dei procuratori del sodalizio. Solo in seguito, nel 1491, venne accolto nel comune come vicino a pieno titolo, e solo dal 1493 ebbe inizio la sua brillante carriera politica.



Massimo Della Misericordia



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Note bibliografiche