Gli affreschi nella sacristia maggiore di San Giovanni in Morbegno

«Res, quam tractaturi estis». [1]

Restano pochi accenni completivi relativi all’affrescatura che, sotto il cornicione della volta, circonda le quattro pareti della sacristia, quale fascia prevalentemente ornamentale. Si tratta di una specie di mensola architettonicamente ideata, che fa da supporto ad un ricco corredo di insegne proprie delle persone del clero durante i sacri riti e ad una nutrita selezione di oggetti ad uso dell’altare [2].
Le grandi figurazioni delle scene esaminate hanno messo in rilievo ‘contenuti’ da interiorizzare da parte di tutti e che devono abitare negli animi di ogni ministro. Si trattava dei messaggi determinati circa la natura e la spiritualità del sacerdozio ordinato. Ma la celebrazione della messa è l’atto che accomuna tutti, al di sopra delle ‘insegne’, perché viene celebrata in persona Christi. Si aggiunge pertanto la presentazione di elementi funzionali o simbolici, che sono attinenti alla pratica rituale. La fenomenologia del celebrare comporta forme dell’apparire e dell’agire, tutte importanti sia nel denotare la gerarchia delle ministerialità, sia nell’assicurare la funzionalità e l’estetica delle azioni liturgiche.
L’articolazione degli uffici e delle dignitates legati allo stato clericale è significata pertanto da insegne: esse richiamano la natura gerarchica del sacerdozio cattolico in ogni suo ordine e grado; sono emblema di onori e di oneri. La ministerialità va da quella suprema della autorità pontificia evocata dalla tiara (triregno e croce con triplo braccio), a quella della pienezza dell’ordine posseduto dai patriarchi e dai vescovi, cui spettano la mitria e un proprio ‘pastorale’; poi alle altre dignitates arcipresbiterali, canonicali, o ai semplici presbiteri si addicono particolari berrette, cappamagne, ferule. Il tutto evidenzia un Ordo significante, che al di là degli spessori sacramentali, possiede un ordinamento unitario, armonico, con distribuzione di responsabilità e di uffici.
Quali strumenti per la celebrazione si possono notare: messali, cartegloria, brocca e bacile, ampolline, turibulo, aspersorio, tovaglie… Si tratta di un insieme di res sacrae. Per varie di esse, come per gli indumenti, il Rituale Romanum richiedeva una benedizione episcopale o delegabile dal vescovo, previa al loro impiego [3].

San Marco

Res sacrae: suppellettili, vesti e insegne episcopali.

San Marco

Il fatto di rappresentare questi utensili è pure un invito a trascendere quel senso di banalizzazione che potrebbe derivare dalla abitudinarietà per un uso iterato e semplicemente strumentale: ciascun segno deve conservare eloquenza, rimandare al suo significato peculiare, declinato entro la totale significazione sacrale e offertoriale della liturgia.
Tutto –per richiamare quanto ricordato all’inizio e per un rimando sintetico all’affresco della volta– deve entrare in gioco con il fascino e il profumo dell’incenso, offerto da mani angeliche alla gloria di Dio.

Queste sono le voci della sacristia: spazio del silentium nei confronti degli eventi della ferialità e della prurigine delle orecchie: ma spazio animatissimo di irradiazione e irrigazione di messaggi, incanalati da occhi non distratti. Per dischiudere una sapienza sempre antica e nuova, capace di penetrare gli spazi dell’animo e di animare i palpiti del cuore.


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note

[1] «Tutto ciò di cui sarete responsabili»: l’espressione del MR (1570), n. 131, si riferisce direttamente alla celebrazione della messa, definita «satis periculosa», in una monizione agli ordinati che ovviamente mira ad una prospettiva di correttezza rituale. Per questo motivo può servire anche da titolo ad un passaggio che parla di oggetti e di insegne in campo, tutte res sacrae ai fini di una decorosa celebrazione in atto.

[2] Circa la qualità estetica di questo apporto completivo, intuita dal restauratore Marco Illini, vale la pena di citare il suo giudizio espresso nel fascicolo citato (cfr. nota 1): «Al di là delle precise simbologie che giustificano e connotano ciascun gruppo di oggetti raffigurati, la cornice si configura (almeno ai nostri occhi di contemporanei) come un esempio notevole di ‘natura morta’, interessante e preziosa sotto diversi aspetti, tra i quali la minuziosità nella descrizione dei dettagli costruttivi, o l’abilità tecnica nella resa dei molteplici materiali (stoffe, metalli, ceramiche, ecc.) che si intuiscono al di sotto del deposito di sporco presente sulla superficie».

[3] Rituale romanum, Editio princeps (1614), a cura di M. Sodi – J. L. Flores d’Arcais, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2004. Cfr. nn. 661 e successivi: Benedictiones ab habentibus facultatem ab Episcopo faciendae.