Gli affreschi nella sacristia maggiore di San Giovanni in Morbegno

Sacristia: funzione e forma.

La sacristia (secretarium), parte integrante del tempio perlopiù attigua al presbiterio, è l’aula che ospita i ministri del culto nel momento in cui si dispongano alle celebrazioni. Ivi si completa una preparazione dello spirito mediante la preghiera e il rivestimento rituale del corpo con le opportune vesti liturgiche. Vi si custodiscono pure gli arredi e i libri sacri. Le vicende dello sviluppo delle sacristie –come pure quelle di altre adiacenze ai templi– conoscono varianti epocali e territoriali: molteplici sono i modelli riscontrabili, conformi alla tipologia e/o alla importanza dei luoghi di culto [1]. Operoso promotore della dignità delle sacrestie, in seguito al Concilio di Trento, fu il riformatore san Carlo Borromeo, che ne illustrò la natura funzionale e il ruolo. Volle che ovunque venisse compresa l’utilità e l’importanza dispositiva di questi ambienti in vista di una spiritualità dell’azione liturgica e al fine di una tutela, di una protetta e dignitosa custodia dei vasi e degli arredi sacri. Con la sue esortazioni pastorali e con la frequenza di interventi normativi, il Borromeo fece risaltare la funzione primaria delle sacrestie in ordine alla preparazione dei ministri celebranti; ma parallelamente, per ottenere questo fine, fissò, con la redazione dell’opera Instructio de fabrica [2], dettagliati princìpi e norme concernenti il loro assetto/riassetto strutturale e arredamentale. Piccole o grandi sacrestie sorsero, numerosissime, accanto a tutti i templi delle nostre terre [3]. Tanta indiscussa autorità riformatrice lasciò i segni di un proporzionato adeguamento alle disposizioni borromaiche, quale appare a tutt’oggi evidente, nelle città, nei borghi e nelle chiese di ogni villaggio.
La giustificazione ultima delle norme emanate si deve leggere in scritti (canoni sinodali, omelie…) nei quali di san Carlo trapela lo zelo, a tutto campo, per la dignità di ogni atto del culto divino. La degna celebrazione dei santi Misteri e della sacre Ufficiature, remotamente collegata con la formazione dottrinale del clero, dipende prossimamente dalla sua preparazione spirituale. Ora, la sacristia è necessaria sosta e sacra soglia per immettere alla presenza divina, davanti al popolo cristiano. Serva, come esempio significativo, il seguente passo, tratto da una omelia del cardinale rivolta ai canonici del Tempio maggiore e delle Collegiate di Milano, del 2 gennaio 1584.

«Il Sapiente (Sir 18, 25) ammonisce con molta saggezza: “Prima della preghiera prepara la tua anima, non fare come un uomo che tenta il Signore”. Con questa funzione sono state create le sacristie nelle chiese: là i sacerdoti e i canonici sono soliti riunirsi prima di accedere al coro: pensando a ciò che si recano a fare, disporranno se stessi a salmodiare bene. Se qualcuno fosse in procinto di conferire con un re o con il sommo pontefice, non mediterebbe prima diligentemente su ciò che dovrà dire, per non fare affermazioni sconsiderate di fronte ad una personalità così elevata, non essere costretto ad arrossire ed essere allontanato dalla sua presenza? Se dunque mettiamo in atto tanti accorgimenti quando dobbiamo parlare a delle persone umane e premettiamo una seria considerazione delle cose da dire, non dovremmo forse fare altrettanto, e in anticipo, quando ci accingiamo a parlare con Dio? Purtroppo, invece, noi, con sommo nostro dolore, rovesciamo l’ordine di tutte queste cose: nelle sacristie gli uomini non fanno raccoglimento per prepararsi a pregare, non si dispongono al colloquio con Dio; piuttosto, si intrattengono con discorsi scurrili, frivoli, mondani. Il solo nome “sacristia” dovrebbe generare in noi il massimo rispetto e allontanarci da tutte queste cose. È un luogo sacro, un luogo di preghiera, un luogo di silenzio! E ciononostante viene destinato ad intrecciare chiacchiere per lo più inutili, quando poi non sono in contrasto con esso. Lì ci si dedica più agli affari che alla preghiera, e non vi è altra cosa di cui si sia meno rispettosi che il silenzio: questo luogo di silenzio diventa, di volta in volta, una piazza per le risse, le liti, le contrattazioni di affari secolari. Sulla porta della sacristia, con appositi cartelli, come prescritto dalle costituzioni dei concili e delle visite apostoliche, ovunque è scritto a grandi lettere: “SILENZIO”; purtroppo, lì, il silenzio sembra essere bandito» [4].

Poco dopo il santo ripropone anche un importante passaggio dal libro De officiis di Sant’Ambrogio; si tratta di una lezione propedeutica a quella ars celebrandi che è autenticamente attuabile soltanto a prezzo di una interiorità che si rifletta sul comportamento esterno:

«Si deve osservare verecondia in ogni mossa, in ogni gesto, in ogni passo. Infatti l’indole dell’anima si rivela dall’atteggiamento della persona: da essa si scorge l’uomo celato nel nostro cuore e si deduce se è alquanto leggero, o vanitoso, o eccitato, oppure se è serio, costante, puro assennato; sicché ogni movimento della persona è come una voce dell’animo» [5].


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note

[1] Per le chiese di maggiore importanza sono prescritte due sacristie.

[2] CAROLI BORROMEI, Instructionum Fabricae et supellectilis ecclesiasticae. Libri II (1577), Città del Vaticano, Editrice Vaticana, 2000 (Monumenta Studia Instrumenta Liturgica, 8), cap. XXVIII, nn. 123–135.

[3] I principi e le norme di san Carlo, per la Diocesi di Como, vennero ripresi e ripresentati dal vescovo Bonomi, visitatore apostolico. Si veda la sezione dedicata a questo aspetto in I. F. BONOMI, Decreta Generalia in Visitatione Comensi edita, Comi, Apud Batlhassar e Melch. fratres de Arcionibus Impressores episcopales, MDCXVIII, pp. 53–62.

[4] C. BORROMEO, Omelie sull’Eucaristia e il sacerdozio, Alba (Cn), Edizioni Paoline, 1984, p. 240. E purtroppo la grande scritta «SILENTIUM» è scomparsa da molte sacristie, compresa quella di cui qui si tratta.

[5] AMBROGIO, De officiis, XVIII, 70–72 (cfr. ad esempio l’edizione a cura di G. Banterle, Milano – Roma, Biblioteca Ambrosiana – Citta Nuova Editrice, 1977, pp. 66–68).