2. La forma della comunità: culture locali nel mutamento

2.5. I diversi esiti di un incontro: gerarchia e segmentazione territoriale

2.5.3. La gerarchia delle comunità

Infine il territorio del singolo comune o della federazione poteva essere ripensato a sua volta entro una griglia gerarchica, che disponeva per gradi non più gli individui, ma i centri abitati.

A Morbegno la contrada del Monte accrebbe, tra XV e XVI secolo non solo la propria articolazione interna, ma pure la propria separatezza nel comune, mentre la sua popolazione subiva anche un crescente svantaggio economico, sociale e politico nei confronti dell’élite del capoluogo. Il notaio Artuichino Castelli di San Nazaro, appartenente ad un’antica parentela di cittadini e poi di nobili della terra principale, volle immettere la raffigurazione analitica del territorio del comune all’interno di quella gerarchica. La sua rappresentazione piramidale della società morbegnese, mentre dissolveva le barriere tra i ceti, accolse quindi le nuove discontinuità territoriali che stavano diventando i veri criteri della segregazione. Nei suoi documenti, come in quelli già del XV secolo, i nomi degli abitanti nei villaggi del Monte erano collocati nell’ultima delle sezioni che, pure approssimativamente, egli e i suoi colleghi delimitavano, dopo i nobili e i vicini del capoluogo (ASSo, AN, 76, f. 348r., 1427.01.26; ivi, f. 348v.). Anche il titolo di ser, che pure alcuni vicini portavano, non consentì loro di scalare l’elenco degli uomini del comune, ma al massimo li collocò fra i primi degli abitanti del Monte, più limitato riconoscimento di cui godettero ad esempio Maffeo de Artio, Pietro de Nivolis e Martino de Camplano nel 1519 (ASSo, AN, 668, f. 10r., 1519.01.02; ivi, f. 10v.). Nel verbale del Consiglio generale del 1523, poi, i confini tra i diversi nuclei residenziali e chi li abitava cessarono di essere un tetto di vetro, operante ma invisibile, e furono effettivamente rappresentati sulla carta. Artuichino Castelli raccolse i nomi degli uomini residenti nel capoluogo in due colonne. Destinò grosso modo a quella sinistra i nomi migliori (l’elenco si apre con quattro domini, seguiti da sei persone che portavano il titolo di ser, un altro dominus e un magister), a quella destra le menzioni degli uomini di condizione più modesta. Verso il margine inferiore della pagina, in uno spazio nettamente separato (da una riga lasciata bianca a sinistra, da una più ampia superficie libera a destra), radunò coloro che evidentemente pensava occupassero gli ultimi gradini della società locale, i vicini delle contrade alte, distinti ulteriormente secondo il criterio del villaggio di residenza. Otto nomi, raccolti da una parentesi di chiusura, erano specificati «omnes de Artio». Ancora più in basso erano due piccole colonne, delimitate da una linea verticale, con gli abitanti di Valle a sinistra, quelli di Campo Erbolo a destra (ASSo, AN, 669, f. 340r., 1523.11.29).

Anche nel caso di Bormio, comune costituito da un borgo, in posizione egemone, e da quattro valli, tre delle quali organizzate in unità dette Vallate o «Montes», gli elenchi, opera di cancellieri perlopiù membri della stessa élite della terra maggiore, espressero la discontinuità sociale anche in quanto discontinuità territoriale. Nel 1445, nella testimonianza più antica utile per la nostra analisi, in modo molto essenziale, si elencavano i consiglieri in due colonne stilate sulla coperta pergamenacea del registro, quella a sinistra destinata ai borghigiani e aperta da tre ser, quella a destra, separata da una riga verticale, riservata ai rappresentanti dei Monti (ASCB, Quaterni consiliorum, 1445.06.16–10.15). In seguito la stessa soluzione fu portata ad un livello di elaborazione grafica più avanzato. Nel 1495 i consiglieri erano elencati tutti nella colonna a sinistra della coperta del registro, in quella destra venivano designati i deputati alle sentenze. La prima era aperta dal nome del magnificus miles dominus Nicola Alberti, seguito da quattro ser, cui succedevano i non titolati; la seconda iniziava con i nomi di sette ser, che precedevano i non titolati. La colonna di sinistra, in più, relegava in un’ultima sezione, esplicitamente intitolata «in Montibus», i membri del Consiglio che rappresentavano le Vallate (inutile invece nella colonna a destra, poiché i villaggi minori non esprimevano nessuno dei deputati). Nelle coperte dei registri di questi anni le posizioni dei consiglieri dell’una e dell’altra Vallata non sono fisse, ma fra loro in rapporto di precedenza mutevole; invariata, invece, è la collocazione dei nomi degli abitanti dei Monti nel loro complesso compattamente a seguito di quelli dei borghigiani. Come per rimarcare che questa era la discontinuità sociale più netta, nel 1495 il titolo «in Montibus» era preceduto da un richiamo del motivo che ornava la lettera «Q», iniziale di «Quaternus», che domina la pagina (ivi, 1495.06.16–10.15) [42].

Al livello delle federazioni, la rappresentazione gerarchica nasceva come controproposta politica rispetto a quella che voleva quegli spazi economici, sociali e territoriali costituiti da soggetti dotati di pari dignità, avanzata da quei centri che, fra XIV e XV secolo, avevano imposto la propria preminenza. Come ho detto (§ 2.4.6), le liste dei convenuti ai consigli di Valtellina, di Valcamonica e del Terziere di Mezzo della Valtellina non istituirono gerarchie tra i comuni costituenti e restarono ordinate, almeno fino al pieno Cinquecento, secondo un principio geografico, procedendo dall’alta alla bassa valle. Si tratta però di esperienze peculiari, di giurisdizioni dove nessun centro aveva affermato nel basso medioevo un’egemonia territoriale talmente estesa da spingere ad una rappresentazione esplicita della sua eccellenza, o così unanimemente riconosciuta da imporre l’evidenza del suo primato agli altri comuni. In altre realtà, invece, furono più netti i divari di ricchezza e potere tra le terre che componevano la federazione. In tali situazioni il capoluogo riuscì a presentarsi, rispetto agli altri abitati, come un baricentro territoriale da cui dipendevano varie terre «pertinenti». Questo modello si nutrì pure della stessa retorica dei documenti cittadini, in primo luogo della metafora del capo e delle membra. Nel Terziere Superiore della Valtellina i due schemi – quello dell’allineamento paritario dei comuni e quello radiale – ispiravano la condotta verso il capoluogo dei due segmenti, nord–orientale e sud–occidentale, della federazione, il primo ostile a Tirano, il secondo disposto a riconoscerne la superiorità. Nel 1477, pochi anni dopo la stesura delle suppliche di tenore opposto che ho già esaminato, i comuni della porzione sud–occidentale del Terziere, assumendo una propria iniziativa, pure affermavano «nuy vogliamo seguitare in dicta materia tuto quello fa Terano [Tirano], perché quello fa il cappo de’ seguitare li membri» [43].

Anche questa possibilità non venne trascurata dalle soluzioni grafiche dei documenti notarili. La polarità territoriale poteva essere il frutto di un’antica, pure mai incontestata, preminenza, come quella che il borgo di Chiavenna – primo comune costituitosi nell’area centro–alpina, luogo fortificato, sede di mercato e di pieve, in età viscontea e sforzesca residenza del giusdicente di nomina statale o feudale, nonché degli stessi feudatari della valle – aveva imposto alla Valchiavenna. Nel 1424 Antonio Fontana, stendendo il verbale del consiglio dei delegati dei comuni che costituivano la federazione, invece che riprodurvi un’immagine geografica della valle, fece precedere la menzione dei deputati di Chiavenna, seguiti da quello del comune di Piuro, il centro che nei secoli sostenne la più dura competizione con il borgo e che, almeno in questa circostanza, si vide collocato in una posizione di seconda fila; seguivano poi le designazioni degli agenti per le piccole «ville» del territorio (ASSo, AN, 108, f. 99r., 1424.06.15). Analogo è il caso di Domodossola, ancora antico luogo fortificato, sede di mercato e di pieve, che alla fine del medioevo mantenne e rinnovò il proprio primato territoriale, conseguendo, fra gli altri riconoscimenti, la prima menzione negli elenchi dei comuni dell’Ossola Superiore, infranto ogni possibile ordine geografico del documento, con il suo titolo di dignità territoriale, quello di borgo (ASMi, Comuni, 34, Domodossola, 1475.05.21).

In altri casi un originario modello orizzontale fu reso obsoleto dal mutamento tardo–medievale: potenti processi di polarizzazione videro emergere, nel contado, alcune terre che attrassero popolazione, concentrarono le élites e le attività produttive, le funzioni di mediazione scrittoria e politica, riducendo i vicini insediamenti rurali a loro bacini di dipendenza. Morbegno costituisce appunto il caso di un centro divenuto il fulcro di una più ampia circoscrizione (il Terziere Inferiore e in particolare la squadra di Morbegno che ne era membro), che pretese una rappresentazione documentaria della sua preminenza. Nel XIV secolo i nomi dei consiglieri intervenuti nelle assemblee delle diverse comunità federali che organizzavano la bassa Valtellina, anche negli atti stesi da notai morbegnesi, non erano ordinati a seconda del rango dei comuni che rappresentavano, ma in modo più libero, che poteva anteporre, talvolta, anche gli insediamenti minimi (ASSo, AN, 7, f. 157r., 1363.12.09). L’opzione risultò ancora più evidente da quando il notaio fece ricorso alla lista. Abbondio Gaifassi di Morbegno, infatti, disponeva le sue sequenze di nomi e di luoghi seguendo criteri circoscrizionali (l’antica ripartizione fra le pievi di Olonio e Ardenno che si dividevano l’area del Terziere Inferiore e la più recente divisione in quattro quadre) e geografici. Ne poté risultare, fra gli altri, il documento dell’ottobre del 1391, che enumerava i centri sulla destra orografica della valle in un percorso che idealmente scendeva verso il lago, quindi, come risalendo il fiume Adda nella direzione opposta, quelli sulla sinistra orografica; la menzione di Morbegno era conseguentemente situata dopo quella dei comuni della Valle del Bitto, che si apre a monte dell’abitato, prima di quella di Talamona (ASSo, AN, 52, f. 72r., 1391.10.15; ivi, f. 72v.).

Fin dall’inizio del Quattrocento, invece, i primi nominati divennero di norma gli agenti di Morbegno: individuato questo vertice e segnalatone il primato, i cancellieri elencavano gli altri comuni secondo criteri elastici, tra cui trovava posto, come già nel Trecento, anche la considerazione dell’effettiva dislocazione nello spazio geografico o degli assetti plebani (ASSo, AN, 68, f. 242v., 1415.12.21).

In seguito, invece, crebbe un’attenzione per la gerarchia dei comuni rivolta non più alla semplice segnalazione del vertice morbegnese, ma alla graduazione rigorosa di tutti o quasi i centri che costituivano la federazione. Quale criterio i documenti considerassero, lo rivela l’ordinamento che nel 1548 sanciva l’accoglimento di un principio gerarchico nelle stesse procedure deliberative dell’assemblea. Fu stabilita una scaletta rigida degli interventi, in base alla quale, in ogni materia, avrebbero parlato prima i rappresentanti di Morbegno, dopo tutti gli altri, dalle comunità più ricche a quelle più povere, secondo quanto risultava dall’estimo. La graduatoria della ricchezza però non si estendeva al vertice, poiché Morbegno era la seconda e non la prima comunità estimata della squadra; era il segno che si trattava di una preminenza non più di carattere meccanicamente quantitativo (come quella rivendicata dai comuni del Terziere Superiore della Valtellina ostili a Tirano, che esibivano appunto l’entità della propria ricchezza e della propria popolazione), ma di una superiorità da intendersi in primo luogo sotto il profilo qualitativo. Quella disposizione, infatti, pare intesa a precisare proprio una graduatoria delle dignità territoriali, non un’effettiva preminenza politica, poiché, indipendentemente dal rango, ad ogni comune era riconosciuto, pariteticamente, un voto [44]. I verbali, interpretando gli stessi valori, anticiparono sulla carta, con le precedenze assegnate ai delegati dei comuni, la successione che si sancirà per il loro diritto alla parola: dagli anni precedenti il 1548, infatti, le liste dei convenuti ai consigli scandivano nitidamente il vertice, con la successione rigida dei procuratori di Morbegno e poi, appunto secondo la ricchezza del rispettivo estimo, Cosio, Delebio, Talamona, mentre un’analoga precisione tendeva a perdersi ai livelli inferiori, dove le posizioni risultano più mobili (ASSo, AN, 1196, ff. 57v.–58r., 1538.12.26).




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note

[42] Cfr. M. L. MANGINI, I Quaterni consiliorum trecenteschi di Bormio nel panorama delle fonti di matrice consiliare, «Nuova Rivista Storica», LXXXIX (2005), pp. 465–482.

[43] ASMi, Sforzesco, 783, 1477.09.14. Un unico comune compariva tra i firmatari delle suppliche di opposto tenore, rompendo la mutua esclusività dei due schieramenti, Lovero, che non a caso si trovava in una posizione territoriale intermedia.

[44] DELLA MISERICORDIA, Divenire comunità, p. 740.