Per una storia del “Fondo Pergamene” dell’Archivio notarile di Sondrio

2. Storia e descrizione di un versamento

2.2. «Si rende indispensabile la conservazione»: l’acquisizione da parte dell’Archivio notarile di Sondrio

Il vice conservatore Corvi in data 30 maggio aveva annotato, nel verso della missiva inviatagli dal Volpi il 23 maggio: «Tosto che pervengano in Archivio le dirotate casse e scritture, il signor cancelliere Broggi disporrà per la loro regolare riordinazione e collocazione nelle rispettive sedi». Il medesimo cancelliere avrebbe inoltre dovuto dare «notizia all’eccelso Appello dell’ottenuta concentrazione di tali abbreviature ed atti» [44].
Tuttavia ben presto il Broggi, in un rapporto del 10 giugno all’indirizzo del Corvi [45], avrebbe fatto notare l’anomalia dell’acquisizione. Questo scritto fa emergere in modo pregnante le idee, diffuse all’epoca ma certo non scontate nella loro puntuale e consapevole applicazione, che guidavano gli incaricati dell’Archivio notarile di Sondrio nell’approccio alle scritture e che in parte sono state anticipate nella § Premessa di questo lavoro.
Se infatti l’acquisizione delle imbreviature rientrava nella prassi dell’ufficio [46], non altrettanto si poteva dire nei confronti delle estrazioni in pubblica forma. Scrive infatti il cancelliere che «la suddetta imperiale regia Pretura ha pure contemporaneamente trasmesso numero 1920 estratti diversi dei quali, giusta la pratica, non ho creduto di disporre per la loro classificazione in Archivio, ossia dell’articolo 130 del Regolamento notarile che parla di soli atti originali <le imbreviature, ndr.>».
La questione posta a tappeto non era facilmente liquidabile; infatti «vero è che fra la moltitudine di questi estratti ve ne potrebbero essere di quelli di cui matrici non esistono in Archivio, e che tanto più ritornerebbe interessante la loro conservazione o consegna alle parti cui riguardano» [47].

Inoltre il Broggi metteva in luce un insieme di difficoltà pratiche, non trascurabili in relazione a un simile impegno; infatti nel contesto professionale dell’Archivio notarile la disponibilità di forze era appena sufficiente per il disbrigo dell’ordinario [48]: «Non ometto per altro di far osservare che un siffatto confronto sarebbe di un lavoro sensibile ed incompatibile coi scarsi bracci dei quali si può disporre in giornata in officio, avuto riguardo alle periodiche operazioni pel suo andamento» [49].

Le estrazioni in pubblica forma, avvertita la loro ‘distanza’ dalle imbreviature, non furono poste tra le matrici seguendo il consueto ordine alfabetico; ma «questi estratti intanto si sono posti in un separato armadio, in pendenza di quelle misure che in proposito verranno compartite o per ritornarli alla imperiale regia Pretura onde siano passati alle famiglie che riguardano, o come meglio» [50].

Nella pratica, le riflessioni sulla funzione dell’Archivio notarile nel contesto locale che in quegli anni davano vita a meditati scambi di opinione, se non condussero a compiute teorizzazioni, innescarono tuttavia la solerzia nella ricognizione delle scritture e attivarono modalità operative per il loro recupero: preservarono così dalla dispersione numerose carte [51]. Emergeva infatti una ‘cultura del documento’ la quale, pur nella difficoltà di decodificare i contenuti espressi con antichi caratteri leggibili solo da pochi periti, era tuttavia pienamente ‘alfabetizzata’ sul valore politico, amministrativo e – direi – anche etico tramandato dalle scritture, da tutte le scritture: quelle del presente e quelle del passato, prossimo o remoto. Ed entro questa prospettiva, l’archivio assumeva la dignità e il ruolo di strumento indispensabile per il ‘buon governo’, per una amministrazione finalizzata all’efficiente funzionamento dello Stato. Furono tali pensieri a suggerire già le accurate modalità di adattamento nella predisposizione degli ambienti di custodia, poi a sostenere la fedeltà di applicazione – nel contesto documentario locale – dei criteri d’ordine previsti dal Regolamento del notariato. Da queste attenzioni scaturì anche il condizionamento materiale delle scritture, quando in concreto si trattò di collocarle nello spazio dell’oratorio del Suffragio di Sondrio, sede prescelta per l’Archivio notarile dipartimentale di Sondrio [52].

Una tale ‘cultura dell’archivio’, caratterizzata da consapevolezza dell’alto profilo morale e della responsabilità politica circa l’impegno conservativo delle scritture, emerge soprattutto nelle parole del vice conservatore Corvi. Il 10 giugno, sulla missiva inviatagli dal Broggi, così annotava la propria risposta: «Potendo tra la moltitudine di estratti esistervene fra vecchi appartenenti a matrici di notai non esistenti in Archivio, per cui si rende indispensabile la conservazione onde assicurare l’interesse dei privati, cosicché potrebbero essere poste in ordine e ritenersi in luogo delle matrici».

Tuttavia, trattandosi di una questione tanto spinosa, fu ritenuto necessario riferirsi direttamente alla Corte d’appello di Milano per ricevere specifiche indicazioni in merito («lo scrivente giudica di farne un detagliato rapporto all’eccelso Appello per una decisione di massima»). Pertanto, il 12 di giugno, il Corvi espose alla Corte d’appello di Milano tutte le problematiche emerse «onde sentire il di lui oracolo che potrebbe servire di massima in ogni consimile caso di concentrazione d’istrumenti» [53].

Il 3 agosto arrivò dall’imperiale regio tribunale di appello di Milano la risposta del funzionario Mazzetti. In quella comunicazione era contenuta conferma che, «oltre le altre matrici pervenute all’Archivio e di cui si ritornano le note, furono pure compresi nel trasporto n. 1920 estratti de’ rogiti i quali, essendo di pertinenza del privato, non cadono sotto la disposizione dell’articolo 150 del Regolamento notarile (…). Così si eccita la conosciuta attività del vice conservatore a farne seguire in duplo la distinta numerica, onde ritornarli alla Pretura di Bormio per la restituzione a chi spetta contro ricevuta» [54]. Tuttavia – proseguiva il Mazzetti – «ciò che non esclude quelle previe verificazioni ed annotazioni che potessero servire di lume e di controllo per l’Archivio ed anche di prender copia di alcuno dei detti estratti di cui apparisse chiaramente il bisogno a corredo dell’Archivio stesso, nel defetto delle relative matrici ed attesa la importanza dell’oggetto».

Di conseguenza, quando il 30 agosto 1833 vennero richiesti dalla Pretura di Bormio 619 documenti «che si potrebbero richiamare dalli eredi come di loro spettanza», dall’Archivio notarile il 3 settembre viene risposto che l’ufficio, in base al rescritto della Corte d’appello di Milano, «sta ora occupandosi della disamina degl’atti in discorso, onde riconoscerne quelli che possono determinarne alla loro conservazione nel caso questo deposito manchi delle relative matrici a norma dell’importanza loro».

A seguito della sollecitazione della Corte d’appello fu così prodotto l’«Elenco degli estratti istromentari rimessi dall’imperiale regia Pretura di Bormio con accompagnatoria 23 maggio 1833 n. 639, compilato in duplo giusta l’ordinanza dell’eccelso Appello generale in Milano 3 successivo agosto n. 7465=187 pel ritorno degli atti stessi alla sudetta Pretura, onde sieno restituiti a chi spettano e da cui risultano quelli dai quali fu giudicato tenerne copia in questo imperiale regio Archivio generale notarile provinciale a mente della surriferita appellatione ordinata».

Intestazione

Fig. 2: Intestazione dell’«Elenco degli estratti istromentarii rimessi dall’imperiale regia Pretura di Bormio» predisposto nel 1833 presso l’Archivio notarile di Sondrio su sollecitazione della Corte d’appello di Milano (ASSo, AN, Amministrazione dell'Archivio, s. n.).

Attualmente uno di questi elenchi si trova conservato (purtroppo mutilo nella parte finale) tra le scritture amministrative dell’Archivio notarile [55]. Vi sono elencate 1237 estrazioni in pubblica forma. Per ciascun documento è indicato nella colonna più a sinistra il numero assegnato all’unità documentaria (numero progressivo) e poi, nelle successive colonne procedendo verso destra, la natura del negozio giuridico (qualità dell’atto), la data cronica (epoca), il nome del notaio rogatario (notaio rogatario) e il nome degli attori del negozio giuridico (indicazione dei contraenti o disponenti). Si trovano in chiusura, all’estremità destra, una colonna destinata alla menzione [56] speciale delle copie fattesi da tenersi in Archivio e una colonna destinata alle osservazioni (cfr. l’esempio proposto nella fig. 6).
Va rilevato che per nessuno dei documenti acquisiti dalla Pretura di Bormio viene registrata la redazione di una copia da trattenere in Archivio (invero furono trattenuti gli originali stessi); invece – per quanto riguarda le osservazioni – si riscontra la frequente segnalazione di documenti giudicati privi di validità per la mancanza di elementi necessari. Tra i numerosissimi esempi citabili, qui si fa cenno a tre casi almeno: alla stima del 21 aprile 1608 che è «senza legalizzazione» (doc. n. 24), o all’arbitramentum contrassegnato con il n. 137 descritto come «informe per essere senza data e senza legalizzazione» e, per concludere, la stima del 4 aprile 1651 (n. 168) che è «senza tabellionato».
È pure da rilevare il fatto che non viene mai segnalata la differenziazione tra una estrazione in pubblica forma su supporto membranaceo ed estrazioni su supporto cartaceo. Si valutava un documento soltanto in base alla sua validità giuridica: prevaleva – come accennato – un atteggiamento ‘pragmatico’, attento alla salvaguardia del Diritto e alle esigenze dell’amministrazione.
All’interno dell’Elenco non si ravvisa alcun criterio d’ordine specifico: davvero esso si presenta come avente carattere ricognitivo, a modo di strumento di lavoro. Possiamo così immaginare il Balestra, coadiuvato dall’ottuagenario Giuseppe Antonio Zanatti e da Francesco Facetti, scrittore e interprete presso l’Archivio notarile [57], intenti ad analizzare – una alla volta – le estrazioni in pubblica forma rassegnate dalla Pretura di Bormio: sul verso della membrana veniva apposto un numero progressivo, in inchiostro nero e con carattere minuto (un esempio è alla fig. 3), mentre nell’Elenco richiesto dalla Corte d’appello annotavano i dati pocanzi descritti [58]. Tale strumento sarebbe stato funzionale ad una successiva cernita delle scritture: quelle da mantenere in archivio, quelle da rendere agli aventi diritto.

Esempio di segnatura

Fig. 3: Esempio di segnatura («1484») apposta su di un documento contestualmente alla redazione dell’Elenco del 1833
(ASSo, AN, Pergamene, n. 192).



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note

[44] Comunicazione 30 maggio, n. 118: ASSo, AN, b. Concentrazioni, IX, fasc. 1833.

[45] Comunicazione 10 giugno 1833 di Broggi a Corvi: ASSo, AN, Ivi.

[46] «Dietro quindi la debita ricognizione, <le imbreviature> si sono organizzate ed a giorni verranno collocate regolarmente in Archivio, essendosi così aumentate le opere di molti notai già esistenti in questo pubblico deposito»: rapporto del 10 giugno 1833 di Broggi a Corvi: ASSo, AN, b. Concentrazioni, IX, fasc. 1833.

[47] Rapporto 10 giugno 1833 di Broggi a Corvi: ASSo, AN, Ivi.

[48] Era vacante in quegli anni la carica di conservatore; e dal 1836 sarebbe stata vacante pure quella di viceconservatore a seguito della morte del Corvi. Giuseppe Broggi, assunto nel 1807 come scrittore, dal 1824 ricopriva la carica di cancelliere e cassiere. In un organigramma del 1836 è detto di Sondrio, dell’età di 48 anni; viene descritto come «esatto nel disimpegno delle proprie incombenze che attende con distinto zelo ed onore, dimostra abilità e giustamente si può dire buon impiegato». Al Broggi era stato affiancato uno scrittore e interprete, Francesco Facetti di Sondrio, di 34 anni, detto come «poco attivo, però fornito di molta abilità specialmente nell’intelligenza dei caratteri antichi, e copia con esattezza». Era inoltre ancora operante uno dei protagonisti degli anni dell’istituzione dell’Archivio notarile: Giuseppe Antonio Zanatti, di Sondrio, al momento di ben 84 anni, il quale «nonostante la sua avanzata età è sufficientemente attivo ed esatto nel copiare». Infine, il giovane Antonio Sassi di Como, di 21 anni, rivestiva l’incarico di portiere, al quale ufficio «attende con subordinazione e diligenza». ASSo, AN, b. Normali Archivio e Camera, XIV, fasc. 1836.

[49] Rapporto 10 giugno 1833 di Broggi a Corvi: ASSo, AN, b. Concentrazioni, IX, fasc. 1833.

[50] Rapporto 10 giugno 1833 di Broggi a Corvi: ASSo, AN, Ivi.

[51] Il riferimento va soprattutto allo scambio epistolare tra Giovan Pietro Petrucci, allora conservatore dell’Archivio notarile di Sondrio e Gian Battista Paribelli, protagonista dello scenario politico locale. In particolare, la missiva dell’8 maggio 1817 «evidenzia quale fu la percezione che del nuovo Istituto di conservazione avevano maturato la classe politica locale e una buona parte degli intellettuali valtellinesi. Tale posizione era scaturita da una consapevole riflessione riguardo al passato politico locale e da una sperimentata conoscenza dei meccanismi di trasmissione delle scritture, spesso legata all’esercizio del notariato e/o alla pratica assidua dell’esercizio amministrativo»: PEZZOLA, «Per la bramata unione», nel paragrafo 2.1. Riflessioni politiche di Gian Battista Paribelli. Ivi si veda anche la bibliografia generale citata.

[52] Situazione pressoché antitetica è quella delineata in A. AIRÒ, L’inventario dell’archivio che non c’è più. I privilegi aragonesi come deposito della memoria documentaria dell’università di Taranto, in Archivi e comunità tra Medioevo ed Età Moderna, a cura di A. BARTOLI LANGELI – A. GIORGI – S. MOSCADELLI, Trento, distribuito in formato digitale dalla Direzione Generale per gli Archivi – Ministero per i Beni e le Attività Culturali (www.archivi.beniculturali.it). In particolare si rimanda al paragrafo 2.2: Un’ipotesi di dispersione otto–novecentesca. Vi si delinea un contesto caratterizzato da «incomprensione culturale sempre incombente su un sistema documentario che presentava caratteri di complessità semantica storica, che richiedeva competenze ed un sapere politico ‘organico’ per essere letto e decodificato».
A questo proposito, entro una prospettiva generale, mi piace richiamare le parole di A. Assmann, la quale afferma: «Il confine tra archivio e deposito di rifiuti è in continuo movimento. (…) La trasformazione in rifiuto rappresenta semplicemente una fase di defunzionalizzazione nella quale un oggetto perde il suo valore d’uso» (A. ASSMANN, Erinnerungsräume. Formen und Wandlungen des Kulturellen Gedächtnisses, München, C. H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung, 1999 (Oscar Beck) [qui citata nella trad. it. Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale, Bologna, Il mulino, 2002, p. 24])

[53] Comunicazione del 12 giugno del Corvi alla Corte d’appello di Milano: ASSo, AN, b. Concentrazioni, IX, fasc. 1833.

[54] ASSo, AN, Ivi.

[55] ASSo, AN, b. Concentrazioni, IX, fasc. 1833. Il corposo elenco, di 39 carte, è posto in chiusura del fascicolo.

[56] Non è certo lo scioglimento della abbreviazione M(enzion)e.

[57] Cfr. la nota [48].

[58] In alcuni casi, se al verso della membrana non era presente il regesto del documento, accanto al numero era annotata anche la qualità del negozio giuridico. Così, ad esempio accade nel documento con segnatura nell’Elenco n. 464: accanto a quel numero si legge pure «confesso». E «confesso» si legge anche accanto al numero 705 nel rispettivo documento. «Sentenza» è invece scritto accanto al numero 788, come la natura del documento esigeva. Si segnala infine che sulla membrana con segnatura 1349, che pure al verso ha un regesto ma illeggibile e dilavato dal tempo, viene riscritto «vendita».