2. La forma della comunità: culture locali nel mutamento

2.2. L’emergere delle singolarità e la divaricazione delle esperienze locali in Valtellina nella prima metà del XV secolo

2.2.1. Il quadro sociale

Tra il XIV e il XV secolo furono valorizzate identità sociali ulteriori rispetto alla più inclusiva appartenenza comunitaria, come quella del lignaggio o del vicinato; di conseguenza, i percorsi delle diverse comunità si differenziarono notevolmente a seconda del tipo di appartenenza localmente più avvertita e dalla misura in cui essa interveniva a regolare i rapporti fra gli individui. Decisivi nell’imprimere sulle varie configurazioni comunitarie tratti riconoscibili e caratterizzati furono sia il lento accumularsi di fattori d’ordine strutturale, sia le innovazioni istituzionali e sociali approntate nelle diverse località in particolare tra la fine del XIV secolo e l’inizio del XV, per fronteggiare le dure prove della peste e del conseguente spopolamento, nonché di un periodo di guerre incessanti.

Per quanto riguarda il primo aspetto, un processo di articolazione sociale e istituzionale si svolse all’interno del comune rurale. Nel XIII secolo, come si è detto, questo era costituito dai soli «rustici», slegati per di più da solidi ambiti di appartenenza ulteriori (§ 2.1). Dalla metà del Trecento i ceti privilegiati che ne erano rimasti estranei, cominciarono a integrarsi nell’istituzione comunale, a partecipare delle cariche e a definire la propria posizione anche all’interno di una, per loro nuova, appartenenza residenziale. L’osmosi, tuttavia, non sfociò in un’indistinzione di ruoli e prerogative; piuttosto, l’assimilazione dei nobili nel comune rurale impose una più sofisticata articolazione e indicazione degli status. Tale esigenza di distinzione fu indotta anche da robusti processi di mobilità sociale, che differenziarono le condizioni dei vicini e fecero di alcuni di loro uomini di superiore prestigio. Così, il rango e la dignità personale, segnalati pubblicamente da titoli quali dominus e ser, divennero connotati sempre più importanti della posizione del soggetto nella comunità, anche al di là del ceto, cittadino, nobiliare o vicinale, cui egli era ascritto. Negli stessi secoli la parentela emerse come un quadro importante di corresponsabilità e di azione collettiva: la discendenza patrilineare condizionò più profondamente la divisione e la trasmissione del patrimonio familiare, nonché il riconoscimento del diritto di accedere ai beni collettivi, i cognomi trasmessi nelle generazioni sostituirono identificativi personali prima più precari, conferendo visibilità al gruppo agnatizio e alla sua durata nel tempo. La contrada, l’unità sub–comunale di residenza, fu rafforzata come nucleo identitario dalla localizzazione degli orizzonti relazionali, dell’investimento economico e del radicamento patrimoniale, fenomeni dal profondo impatto sulla società rurale degli ultimi secoli del medioevo; inoltre la dislocazione di funzioni assistenziali, sacramentali e religiose presso i singoli villaggi, con la fondazione di nuove chiese e la diffusione di pratiche della carità che sostenevano i soli poveri che vi abitavano, accrebbe le responsabilità decisionali che i vicini condividevano e consolidò il profilo istituzionale della loro organizzazione.

Nel corso di questo processo, come accennavo, agirono degli acceleratori: la peste e la guerra resero incerti o pleonastici i meccanismi formali dell’autogoverno, mentre coagularono più robuste lealtà al livello delle parentele e dei singoli villaggi che costituivano i comuni policentrici. In più, le guerre di fazione e la permanente instabilità politica della fine del Trecento e dell’inizio del Quattrocento, offrirono opportunità di legittimazione normalmente negate ai soggetti dalla più sfumata definizione istituzionale: segmenti sociali o territoriali dei comuni, come i ceti, le contrade, le parentele. I connotati di ciascuna esperienza di convivenza locale ne uscirono più marcati e si cominciarono a distinguere comuni in cui la determinazione del rango era decisiva e altri più egualitari, comuni costituiti come federazioni di parentele e altri in cui l’agnazione aveva minore peso politico, comuni funzionanti come costellazioni di contrade e altri in cui l’unità complessiva del territorio, inclusiva dei vari insediamenti che l’articolavano, era più sentita.

Oltre che una fisionomia più peculiare, dal XIV secolo le singole località assunsero anche un ruolo più specifico nel territorio e la società rurale valtellinese fu solcata da distinzioni più nette. I centri maggiori concentrarono funzioni economiche e politiche, attrassero artigiani, professionisti, cittadini e nobili locali, divenendo i perni della produzione manifatturiera, dei circuiti creditizi e della politica locale, mentre i comuni minori a vocazione prevalentemente agricola si trasformarono nelle loro periferie. All’interno dei comuni maggiori, i capoluoghi divennero la residenza dell’élite locale e la sede delle attività economiche e politiche che qualificavano il ruolo del comune stesso nella valle, i villaggi del loro territorio restarono la residenza di contadini e modesti artigiani e si abbassarono in una posizione di chiara subalternità.

In questo quadro, anche il panorama delle immagini documentarie delle comunità vide la drastica rottura dell’omogeneità del primo Trecento. Si aprì allora la fase, prolungatasi fino alla metà circa del Quattrocento, del massimo sperimentalismo e della più netta identificazione, in forme peculiari, delle culture della convivenza, quando pressoché ogni comune sembrava cercare, per tentativi che non si irrigidiscono mai in una risposta definitiva, una propria soluzione organizzativa. A questo punto, dunque, diventa necessario ripercorrere le parabole differenziate lungo le quali si mossero le diverse esperienze locali e le connesse rappresentazioni che abbiamo visto così simili tra loro fino all’inizio del Trecento (§ 2.1).


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