I confini dei mercati

Territori, istituzioni locali e spazi economici nella montagna lombarda del tardo medioevo.

Presentazione

Nel basso medioevo i molti soggetti sociali e istituzionali attivi sulla scena pubblica si adoperarono per imporre i confini dell’appartenenza che essi delimitavano anche come perimetri della circolazione delle risorse. Il pluralismo politico–territoriale implicò, pertanto, una molteplicità di iniziative, fra loro in competizione, volte a proporre i confini degli spazi circoscrizionali come delimitazioni del mercato legittimo. Identificare i promotori di tali politiche all’interno delle società locali e il conflitto che animò il loro sforzo di determinare gli ambiti dello scambio è lo scopo del presente lavoro.
La storiografia ha sottolineato soprattutto la capacità dei principati e delle repubbliche oligarchiche dell’Italia tardo–medievale di integrare spazi di mercato tendenzialmente regionali, facendone un momento significativo della grande narrazione dello sviluppo, in termini di progressiva espansione dei mercati e divisione geografica del lavoro. In realtà lo stato regionale non ebbe una vocazione a sostenere l’espansione del mercato in sé; piuttosto, come tutti gli altri soggetti politici e sociali che hanno operato nello stesso periodo e nello stesso ambiente, ha inteso rafforzare il proprio profilo territoriale riempiendolo pure di contenuti economici; il fatto, poi, che fosse, nella penisola, il soggetto territoriale di taglia maggiore ne ha fatto il promotore di un allargamento del mercato. Fra Tre e Quattrocento, però, i suoi competitori cercarono di imporre altre ampiezze e altri limiti. La ricerca, quando si dedichi, piuttosto che alla generica decostruzione della nozione di confine, alla restituzione del dibattito sui molti confini da calare sulla relazione sociale, non coincidenti, promossi dai diversi attori individuali e istituzionali, può ricostruire un largo confronto di vedute e vere battaglie di interdizioni, dazi e privilegi, riguardanti le unità circoscrizionali da valorizzare in campo economico.
Nella Lombardia alpina, cui è dedicata l’indagine, si confrontarono soggetti più deboli e soggetti più forti, in ascesa o in corso di ridimensionamento. Norme, geografie daziarie, unità di peso e misura, distribuzione della proprietà fondiaria, circuiti matrimoniali (ovvero dei beni dotali) ne offrono una testimonianza. Lo stato certamente perseguì con una certa efficacia i propri intenti. Pure il comune rurale e di borgo, però, riuscì a proporre lo spazio che controllava come un ambito privilegiato per la circolazione di beni, l’instaurazione di rapporti fiduciari, l’accesso alle risorse ambientali. Decisamente più sbiaditi paiono i perimetri delle contrade (unità residenziali sub–comunali) e dei corpi provinciali intermedi (come le comunità di valle). Fra i soggetti sociali e non territoriali, la parentela dovette esercitare una capacità di coagulare relazioni economiche ben maggiore rispetto al ceto. Solo eccezionalmente l’impero poté proporre la propria vastitudo come un ambito di smercio dei prodotti. La signoria rurale e la città persero incisività. La prima, già colpita dall’espansione urbana del XIII secolo, nel periodo qui considerato fu incalzata soprattutto dagli uomini su cui si esercitava, e quando non venne riconosciuta in quanto feudo difficilmente poté far valere i propri confini sul piano economico. La città, protagonista fino al Duecento dei processi di integrazione economica, fu poi vittima, in particolare nella porzione centro–occidentale del nostro segmento dell’arco alpino, di una doppia pressione, dall’alto e dal basso, che frammentò alcuni circuiti (quello dei dazi, ad esempio), mentre ne ricomponeva altri ad un livello più alto (lo stato regionale).
La storiografia anche recente si è chiesta se l’infittirsi della rete dei confini economici e la crescita di esclusività degli ambiti che essi delimitavano, processi cruciali del tardo–medioevo, debbano essere interpretati come fenomeni recessivi. Induce ad una tale lettura l’assunto che lega, in termini generali, «libertà e sviluppo». La fondatezza di questi presupposti non basta comunque a chiudere il problema di quante siano, poi, nel tempo e nello spazio, le economie possibili, a dare per risolte le eventuali alternative fra sviluppo, equilibrio sociale, condivisione del benessere, e a predire le scelte delle popolazioni e dei gruppi dirigenti. Nel tardo medioevo il prelievo che gravava pesantemente sui consumi, la mobilità di animali, combustibili, materiali da costruzione, tessuti, derrate ha alimentato un’impresa fiorente, se raramente si incontrano membri delle élites signorili e borghigiane che non ne avessero parte. Intercettato dai comuni, ha inoltre attivato circuiti ulteriori, ad esempio di ridistribuzione caritatevole e di sollievo del bisogno, che hanno accresciuto la qualità della vita, o di committenza d’arte sacra e profana, che hanno soddisfatto domande – di prestigio monumentale dei simboli dell’unità collettiva, di decoro del culto – evidentemente sentite.
In termini più generali, infine, la discussione odierna sulla decrescita e lo sviluppo sostenibile, i dubbi emersi circa le prospettiva di una crescita illimitata, pongono il problema dell’inclusione della nozione di limite nel discorso e nella pratica economica. Nel basso medioevo il confine territoriale servì fra l’altro a questo scopo. Ebbe, infatti, molti usi. Operò senz’altro una logica esclusivistica, interpretata da una serrata normativa contro il forestiero. Sarebbe però fuorviante pensare che esso servisse a isolarsi dall’esterno tout court, poiché fu usato piuttosto per selezionare i soggetti sociali e istituzionali che potevano accedere preferenzialmente ai circuiti sovra–locali e anche per introdurre elementi equilibratori all’interno della medesima economia locale: contenere lo sviluppo di alcune aziende a vocazione commerciale a detrimento di quelle orientate alla sussistenza; scongiurare il rischio di carestie, provocate dall’eventuale scelta di pochi speculatori di esportare derrate alimentari nelle fasi in cui la domanda era più pressante; evitare uno sfruttamento eccessivo delle risorse, dal momento che il soddisfacimento delle necessità domestiche dei residenti di legname, carbone, calcina osservava limiti intrinseci che la collocazione degli stessi prodotti in un mercato indiscriminatamente aperto avrebbe scavalcato.

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