Evangelina Laini fotografie Vincenzo Martegani Morbegno, Comune di Morbegno, Biblioteca Civica Ezio Vanoni, Ad Fontes, 2009 (Morbegno, Grafiche Morbegnesi, 2009). |
Quando avevo progettato – e sono ormai trascorsi tre anni – uno scaffale che avrebbe dovuto ospitare i libri di cultura locale indispensabili, quelli da tenere sempre a portata di mano, da sfogliare costantemente e da sottolineare con passione per fissarne le parti più significative, non potevo ancora immaginare che vi avrei collocato anche una guida turistica. Invece, una felice operazione editoriale mi ha costretto a cambiare idea. Un volume di piccolo formato – ricco però di 150 pagine – si è guadagnato di diritto un posto tra i “magnifici” quindici. Si tratta di Passeggiate a Morbegno: una guida (2009). Testi di Evangelina Laini, fotografie di Vincenzo Martegani, editore il Comune di Morbegno insieme alla giovane e dinamica associazione culturale Ad Fontes. Dopo averlo sfogliato, letto e utilizzato più volte non ho avuto un attimo di esitazione. Infatti, mi son detto: «Avessi trovato una guida come questa a Sestri Levante o a Finale Ligure, ma anche a Ferrara o in altre città titolate, il godimento del viaggio sarebbe stato di certo più completo». Godere un viaggio …
Un proverbio cinese afferma «Non metterti mai in viaggio con le scarpe nuove». Cioè «Non metterti mai in viaggio senza esserti prima preparato». Infatti, come le scarpe nuove possono rivelarsi strette e fastidiose, un viaggio al buio si trasforma quasi sempre in una fatica, un peso, una spesa impari al risultato, un girovagare senza requie.
Ma, come intraprendere un viaggio? E, soprattutto, come far sì che la sua preparazione divenga un piacere, un gioco? Non ho personalmente ricette adatte a tutti gli usi e per tutte le persone, però l’esperienza di viaggiatore – ma soprattutto di accompagnatore di persone in un viaggio – mi permette di esporre alcuni semplici suggerimenti. «Caelum non animum mutant qui trans mare currunt».
Già duemila anni fa, il sommo poeta Orazio, in uno dei versi eleganti delle sue Epistole, è riuscito a condensare interi trattati sulla psicologia di coloro che viaggiano. Una traduzione libera potrebbe suonare così: «Quelli che intraprendono un viaggio devono ricordarsi che incontreranno luoghi nuovi, ma che porteranno con sé la propria visione della vita». In poche parole: se uno si annoia regolarmente, se uno è privo di curiosità e di entusiasmo, trascinerà queste catene indistruttibili anche quando viaggia.
Andare in giro insieme può cementare amori amicizie affetti, ma può anche crudelmente distruggerli.
Esistono persone che non dovrebbero mai spostarsi dall’appartamento dove abitano: sono un peso insopportabile per i compagni di viaggio e danneggiano se stesse. Sempre scontente di ogni cosa, non riescono a osservare la meravigliosa varietà dei luoghi e dei popoli, dei modi di vivere con quel po’ di interesse che rende bella la vita. Largheggiano di giudizi sprezzanti, invece di investire in emozioni, in esperienze e in ricordi. Che il viaggio le porti a Parigi, a Monaco di Baviera, a Milano … tutto è banale, tutto è scontato, non vi trovano niente di quello che si aspettavano. E non le sfiora il sospetto che la ragione della loro – continua – delusione non sta nel viaggio, ma si trova – con radici profonde – nel proprio animus. Sì, proprio come cantava Orazio vent’anni prima della nascita di Cristo. Perché anche il viaggiare è un sapere, e se uno vuole gustare un viaggio, deve mettersi di buzzo buono e imparare tante cose. Viaggiatori non si nasce, si diventa. E, facendo un notevole salto temporale – venti secoli, tutti d’un colpo – scopriamo che un romanziere contemporaneo di successo, il francese Daniel Pennac, ha iniziato un suo scritto (Come un romanzo, 1993) in questo modo: «Il verbo leggere non sopporta l’imperativo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo amare … il verbo sognare». A questi tre ne aggiungerei un altro: viaggiare. Anche questo non ammette l’imperativo.
Viaggiare deve essere un desiderio, non un ordine.
Intanto, uno strumento essenziale per apprezzare un viaggio – anche quando ci si sposta per pochi chilometri da casa – è senza ombra di dubbio una guida, intendendo un libro. Ma, come tutti gli strumenti, va usato con intelligenza.
Ad esempio: va portato in viaggio, ma va assolutamente letto prima di partire, sottolineandone le pagine che ci colpiscono, evidenziandone in particolare tutto quello che ci dispiacerebbe lasciar da parte.
Ma come selezionare una guida adatta alle nostre esigenze? La visita a una biblioteca ci offre una possibilità notevole per operare la nostra scelta, escludendo subito il tipo di guida che non ci ispira. Dalle paludate guide rosse del Touring alle spensierate Routard, dalle famose Lonely Planet alle simpatiche e verdi Michelin …
Il ventaglio di proposte, nel campo delle guide, è oggi sovrabbondante. Individuata la guida che fa per noi, bisogna entrare in una libreria per acquistarla (sennò come facciamo a sottolinearne le parti che ci interessano?).
A questo punto è di grande saggezza farsi consigliare da qualcuno che, viaggiando, ha già sperimentato l’utilità di questi manualetti. Non è detto che tutte le guide di una collana abbiano le stesse qualità. Talvolta sono indispensabili per andare in Patagonia e mediocri compagne di viaggio se uno va a Roma. Intanto, un consiglio pratico.
Incredibile, ma vero, proprio a Sondrio esiste un’ottima libreria specializzata in libri di viaggio: La libreria del viaggiatore (ha, tra l’altro, un notevole sito internet, con un catalogo aggiornato). Ecco, prima di partire, val la pena di farci una visitina e sentire un consiglio da un professionista appassionato come Ennio Vanzo.
Ma, come diceva Mastro Pathelin – in quella esilarante farsa, capolavoro della letteratura francese medievale – revenons à nos moutons, torniamo al nucleo centrale di questa recensione, riprendendo in mano la guida di Morbegno uscita dalla penna di Evangelina Laini. Un’insegnante di storia dell’arte nelle scuole superiori – oggi si gode un meritato riposo –, donna di grande sapere e di vasta erudizione, uniti a una profonda umanità.
Possiamo prender le mosse da un’affermazione lapalissiana: non tutte le guide sono uguali. Solo alcune sono in grado di farti cogliere l’intima natura di un luogo.
Posso dire con certezza di aver cominciato a scoprire Milano e a guardarla con occhi nuovi soltanto una ventina di anni fa. E questo grazie a un libro che, letteralmente, mi ha preso per mano guidandomi in un modo prodigioso alla scoperta di questa straordinaria città. Milano, una straordinaria città? Certo, e una buona guida lo dimostra senza ombra di dubbio. Noi dobbiamo semplicemente aggiungervi le nostre qualità di viaggiatori: la voglia della scoperta e la curiosità. Ma vorrei presentare degli esempi concreti per dimostrare come una guida, degna di questo nome, rappresenti lo strumento principe per scoprire, conoscere e ammirare un luogo. Per Milano non vi sono dubbi. La guida insuperabile, la più originale, è Milano in mano di Guido Lopez e Silvestro Severgnini. I casi della vita mi hanno offerto la fortuna di conoscere uno dei due autori, Silvestro Severgnini, un amico prezioso e indimenticabile. Una figura straordinaria di intellettuale, vivace ancora negli ultimi mesi della sua lunghissima vita (se n’è andato da questa valle di lacrime a 100 anni nel 2006). Dei suoi scritti parlava sempre con understatement, alieno com’era da qualsiasi ostentazione. Eppure la mia scoperta di Milano è legata indissolubilmente a lui e alla sua guida. Ancora oggi la consulto attentamente, prima di affrontare un angolo affascinante di questa città rumorosa e frenetica. E Milano in mano non mi delude mai. L’opera più bella di Silvestro Severgnini è rappresentata dai tre volumi Alla Scala con … , nei quali vengono proposti, in modo sintetico ma con uno stile indimenticabile, una serie di personaggi legati al mondo della grande musica.
Tornando a Milano in mano, ecco tre brevi esempi che possono dare almeno una pallida idea di questo libro. Il primo permette di spalancare una finestra sulla Milano Liberty:
«Ora, prima di lasciare il Parco [Sempione] e il quartiere che gli è attiguo, sarà il caso – per chi si interessa alle manifestazioni dell’Art Nouveau, altrimenti detto Liberty – di camminare per queste strade, con l’occhio agli edifici, ai balconi, ai portoni, ai cancelli. A Milano l’Art Nouveau – questo primo autonomo segno stilistico della borghesia emergente dopo i bric–à–brac dell’eclettismo – si espresse con particolare signorilità per l’appunto nei nuovi quartieri fra le Grazie e il Sempione …».
In questo modo – guardando balconi portoni e cancelli – il curioso di Milano è pronto ad ammirare la Casa Stacchini, la Casa Bosisio e la Casa Laugier. E, nello stesso tempo, anche la scrittura si fa apprezzare per un evidente impegno nell’esprimere concetti profondi e complessi in modo chiaro (primo autonomo segno stilistico della borghesia emergente). Un altro segno della raffinatezza, della padronanza della lingua e della profonda saggezza, unito ad un pizzico di leggera ironia, lo scopriamo quasi per caso nella definizione della Torre Velasca, un grattacielo che ti salta agli occhi nel centro di Milano e che può lasciare perplessi. Ecco cosa troviamo a p. 271 di Milano in mano: «La mole modernissima, ispirata ai torrioni d’epoca viscontea e sforzesca, domina sul paesaggio dei tetti milanesi con la sua sagoma inconfondibile: variamente accolta, comunque uno dei pochi “segni” dell’architettura milanese del dopoguerra». Un rilievo arguto quel variamente accolta.
Una prodigiosa e sintetica espressione che calza proprio a pennello per qualche monumento spuntato a Morbegno in questi ultimi decenni: dall’Arengario alla Fontana a forma di cucchiaio, dal massiccio condominio Stelvio alla cupa stazione delle corriere … Non tutto quello che è moderno è brutto, ci mancherebbe! Morbegno ospita monumenti dell’arte contemporanea che possiedono una loro solenne dignità, come la Biblioteca Vanoni e la chiesa nuova di San Giuseppe. A quest’ultima Evangelina Laini dedica ben tre pagine, arrivando ad affermare che con questa chiesa «Luigi Caccia Dominioni consegna Morbegno alla storia dell’arte».
Infine, sempre sfogliando Milano in mano, ecco il terzo esempio. E’ la presentazione della Cappella Portinari. Anche questa volta vi è la conferma della ricercatezza sia nei dati offerti che nello stile; dopo aver percorso e visitato l’interno della basilica di S. Eustorgio:
«lasciata infine alle nostre spalle la nuda solennità un poco rozza dell’architettura romanica delle navate, ci troveremo come per incanto in un clima estremamente raffinato, tutto grazia e auree proporzioni: il clima e il gusto del committente quattrocentesco dell’ultima, quasi autonoma cappella, Pigello Portinari (…) In questo modo Milano (…) si arricchì della più pura espressione del Rinascimento fiorentino, sposata ad elementi decorativi lombardi (in particolare, le grandi finestre a candelabro) e all’arte tosco–lombarda del bresciano Vincenzo Foppa, che vi affrescò gli angeli, gli Apostoli, i Dottori della Chiesa, un’Annunciazione, un’Assunzione e quattro episodi della vita (e martirio, sullo sfondo delle brughiere del Comasco) di San Pietro da Verona».
Certo, non bisogna pretendere troppo da una guida. Non deve essere un’enciclopedia, e neppure una specie di elenco telefonico stipato di date e dati o di troppe indicazioni. Ma una guida, degna di questo nome, non può rinunciare a certe caratteristiche, come – ad esempio – contenere suggerimenti motivati per farci sostare davanti a un monumento o a un’opera d’arte, scelti fra tanti. Ma qui arriviamo a una domanda fondamentale. Per la piccola città di Morbegno era proprio necessaria una nuova guida? La cittadina del Bitto aveva già a disposizione – dal 1997, con traduzioni in inglese e in tedesco – Morbegno: guida alla città, un manuale egregio scritto da Giulio Perotti, storico e profondo conoscitore di Morbegno. Un testo utile e ben strutturato – 80 pagine ricche di ottime illustrazioni – che ha svolto il suo buon servizio per più di un decennio. Ora, però, bisognava pensare a una guida nuova, uno strumento simile a Milano in mano: vivace e stimolante, capace di informare, di incuriosire e che potesse offrire a tutti l’occasione di guardare Morbegno con occhi nuovi. Una guida che fosse in grado di moltiplicare il piacere del viaggio. E’ vero, molti sono attratti solo da luoghi lontani. Sembrerebbe, allora, che sia proprio la distanza quella che riesce a risvegliare interesse ed entusiasmo. E, di conseguenza, chissà perché il bello sotto casa appare molto meno attraente. Ma una buona guida, con un tocco di magia, è in grado di svelarci quanto di bello e di affascinante si cela anche nelle piccole località dove trascorriamo gran parte della nostra vita.
Le Passeggiate a Morbegno di Evangelina Laini fondono con notevole equilibrio scrittura e creatività. Che siano una guida veramente nuova, lo potrebbero dimostrare anche alcuni paragoni con due altre guide, pure ottime e autorevoli. Accanto al volume di Giulio Perotti (Morbegno: guida alla città) sfogliamo anche – alla voce Morbegno – l’ultima edizione, quella del 2005 (Lombardia), della guida rossa del TCI. Come tutte le altre “rosse”, si tratta di un libro ricchissimo di informazioni, ridondante di nomi e di numeri (altezze, larghezze, lunghezze, sezioni di colonne e via misurando), forse un poco asettico e talvolta notarile nell’esposizione.
Certo, un’opera seria, enciclopedica, utile soprattutto per chi è in cerca di notizie dettagliate o per studiosi che desiderano scandagliare minutamente i particolari della storia e dell’arte. Una guida, però, deve prenderci per mano e condurci a qualche emozionante scoperta. Al di là dei nudi dati e delle misure precise deve farci capire perché un quadro, una statua, un angolo della nostra città rappresentano testimonianze vive. La guida “rossa” del 2005, soprattutto se raffrontata con le precedenti, si presenta meno compassata. Sembra perfino che abbia insufflato nel testo una nuova vita. L’aiuta non poco la grafica: titoli in stampatello ed evidenziati in carattere rosso. Però … Ecco, ad esempio, la descrizione completa – proprio alla lettera – dell’interno della chiesa parrocchiale di Morbegno. Una citazione che ritengo necessaria per rendere ancora più evidente la peculiarità della guida di Evangelina Laini.
«Nell’interno, le paraste erano ornate sotto i capitelli corinzi da 36 tele ovali – rubate – di Giuseppe Petrini, Gian Pietro e Cesare Ligari. 2^ cappella d.: pala d’altare di Pietro Maggi, affreschi e tele laterali di Pietro Ligari (1724). 3^: affreschi di Giacomo Parravicino e, in basso, di Giovanni Gavazzeni. 4^: Morte di S. Giuseppe di Andrea Lanzani. L’altare maggiore è di Carlo ed Elia Vincenzo Buzzi, su disegno originariamente del Ligari, 1733–34; nel catino absidale, reliquiario della S. Spina, eseguito anch’esso su disegno del Ligari, al quale si devono pure gli affreschi dell’abside (sono ritenuti un suo capolavoro) e le pale esposte nelle cappelle 4^ (Deposizione) e 3^ sin. (Discesa dello Spirito Santo). Nella 2^, pala di G. B. Pittoni. In sagrestia, Miracolo di S. Vincenzo Ferreri del Petrini».
Undici righe fitte fitte contengono una lunga litania di nomi. Sono quattordici artisti; alcuni, per fortuna, si ripetono. E’ forte l’impressione di trovarci all’interno di una stanza troppo gremita. Essere informati che nella seconda cappella a sinistra c’è una pala di G. B. Pittoni è importante, ma perché – a questo punto – non descriverla e offrire una pur semplice indicazione culturale: come mai un quadro del famoso Pittoni a Morbegno? tanto per dare un’idea. Qui sembra quasi che lo scopo di una guida sia solo quello di fare un elenco di artisti e delle loro opere, invece di suggerire, stimolare, incuriosire e … guidare.
Le guides bleus francesi (Hachette editore) sono, da questo punto di vista, esemplari. Dati numerosi e precisi ma inseriti in un testo vivo e stimolante. Visto poi che in ogni guida si possono scoprire delle imprecisioni, anche le guide “rosse” di tanto in tanto rischiano di assopirsi. Indossando, controvoglia, l’antipatica veste del pedante e passando al microscopio la minuta descrizione dell’interno del San Giovanni di Morbegno, si scopre ad esempio che nella seconda riga si parla di Gian Pietro e Cesare Ligari, mentre poco dopo si parla di un Pietro Ligari (sarà Gian Pietro o un altro della famiglia? Noi lo sappiamo, ma lo studioso che consulta la “rossa” potrebbe restare ossessionato da un dubbio). Più avanti si parla ben due volte “del Ligari” (quale? Cesare o Pietro? Anche qui noi lo sappiamo, ma il visitatore potrebbe smarrirsi un poco). Lo so, sono soltanto delle considerazioni, ma sono riflessioni di un viaggiatore appassionato, che apprezza molto le “rosse” del Touring, ma che vuole dimostrare che non esistono guide perfette.
La guida del Perotti, invece, in confronto alla “rossa”, è più attraente quando ci presenta la parrocchiale di Morbegno. Proviamo ad entrare, con Morbegno: guida alla città nella chiesa di S. Giovanni Battista.
«L’interno, a croce greca, è dominato da una maestosa volta a crociera, mentre sopra l’abside, profonda e slanciata, s’innalza una cupola emisferica».
Detto questo, l’importante studioso di Morbegno, costretto dalla tirannia dello spazio a disposizione, descrive in poche righe – in una pagina – tutto l’interno della chiesa.
E, a questo punto, penetriamo in San Giovanni con Evangelina Laini:
«La prima sensazione di chi entra è di trovarsi in un luogo buio e cupo, perché effettivamente le poche finestre non introducono una luce diretta ma, alla maniera barocca, la fanno spiovere attraverso un gioco di aperture nascoste dai matronei e dalle aggettanti cornici marcapiano. Si direbbe che l’architettura complessiva della chiesa valorizzi visivamente l’ombra più della luce».
Detto questo, continua poi con altre 17 pagine a guidarci passo dopo passo, in modo suggestivo, alla scoperta della chiesa parrocchiale. L’edificio sacro viene studiato in ogni dettaglio e restituito con straordinaria vividezza. Ed è sempre così. Uno degli apici del bello stile Evangelina Laini lo raggiunge a pagina 74 e dintorni, quando invita il visitatore curioso a leggere le pareti del primo chiostro del convento di Sant’Antonio, con le storie di San Domenico, risorte dopo i restauri del 2007.
«L’impostazione stilistica di tutto il quadriportico è essenziale e severa, tuttavia comunica una profonda sensazione di armonia e leggerezza: lasciamo cantare il silenzio; lasciamo urlare il silenzio».
Un’immagine poetica di vivida efficacia. Evangelina Laini va incontro anche a chi ama le visite slow, per chi vuol far le cose con estrema calma. In questo caso, tanto per cominciare, ci si può accomodare pigramente su una panchina in piazza Tre Fontane, aprire il manualetto e farsi “guidare”. Il piacere della scoperta è immediato. La nostra prima curiosità viene subito appagata. Come mai la Piazza è chiamata popolarmente Tre Fontane, anche se noi di fontana ne vediamo una sola:
«(…) una sola, con due rubinetti; tuttavia, per i morbegnesi è la piazza del cuore e si potrebbe scriverne un romanzo. Tre fontane è il nome che assunse nel 1858–1859 quando, addossata alla demolita casa Buzzetti, fu costruita una fontana a tre bocche. (…) Tutt’intorno alla piazza si affacciano palazzi di prestigio ed abbondano (…) le testimonianze di un’antica frequentazione del posto».
Ma al viaggiatore curioso – proprio quando sta per abbandonare la panchina “panoramica”, quella che si trova davanti all’entrata dell’oreficeria Vitali – Evangelina Laini chiede di indugiare ancora un momento, riservandogli una simpatica scoperta:
«nascosto nel verde dei rampicanti (…) un piccolo balcone dall’inferriata “parlante”: al centro un serpente si attorciglia a un vaso (…) indica che qui c’era una farmacia».
Subito dopo si può salire per poche centinaia di metri e scoprire che anche Morbegno ha un suo Piazzale (piazzèt) Michelangelo. Piccolo lo spiazzo ma da qui
«la visione dei tetti e dei monti è davvero emozionante, accompagnata da una leggera brezza profumata di glicine».
Le pagine deliziose sono proprio tante. A pagina 23, ad esempio, quando vengono descritti i caseggiati intorno alla via Ninguarda:
«In questa contrada sono numerosi le fughe prospettiche, gli angoli suggestivi di atmosfere del passato, i portali ed i cortili, le scale ed i balconi: case di pietra strette fra loro a proteggersi dal vento e dal freddo, un allegro chiacchiericcio fra i tetti».
Com’è bello pensare a degli edifici (tetti, chiese, strade, piazze, ponti) che scambiano quattro parole fra di loro e a noi raccontano la storia del passato. Sono queste le tracce antiche, le uniche rimaste, che ci permettono di intuire come vivevano le persone (alcune almeno) tanti e tanti anni fa, cosa pensavano, a cosa credevano, in cosa o in chi speravano. E sovente basta una piccola annotazione storica a dare colori vivi a una strada un poco dimessa, come la via Borgosalvo:
«Tra queste strette viuzze correva, ormai duecento anni fa, una ragazzina che sarebbe diventata la celebrata pittrice neoclassica Angelika Kauffmann. Johann Wolfgang Goethe scrisse: “Lei ha un talento incredibile e per una donna veramente straordinario”».
Per concludere, questa è una guida che non deluderà nemmeno i palati più esigenti. Il Santuario dell’Assunta è descritto in 27 pagine, con 8 illustrazioni (di cui tre a piena pagina). Chiesa e convento di Sant’Antonio vengono presentati con 22 pagine e 7 foto. Anche la grafica le assegna un valore aggiunto. Infatti, chi ha fretta, trova evidenziati in grassetto i punti fondamentali (luoghi, artisti, committenti). Intanto, accanto al testo corrono due colonnine, marcate con colori diversi – leggeri – a seconda della passeggiata (sei passeggiate, sei colori). E in queste colonnine il viaggiatore più esigente vi ritrova informazioni accurate su personaggi, santi, edifici. Una vera miniera insomma. Una fonte ricchissima che riserva tante sorprese. Ad esempio, fanno capolino qua e là numerosi riquadri a sfondo giallo che permettono discese ancora più profonde a chi ama addentrarsi nella cultura e vuol saperne ancora di più: la Sacra Spina, il catafalco, il formaggio Bitto, il ‘sacro macello’. Oltre a qualche scorreria nel mondo dei santi più popolari (S. Caterina d’Alessandria, S. Giorgio, S. Giuliano l’ospitaliere).
Le foto, tutte del bravissimo Vincenzo Martegani, poi, corredano in modo adeguato i testi. E alcune immagini emergono per bellezza, fissando nel tempo momenti di un fascino struggente. Due mi hanno colpito in modo particolare. Entrambe ricreano la magia di una nevicata ed entrambe sprigionano un’intensa carica emotiva. La prima con il santuario dell’Assunta sotto una coltre bianca che continua a scendere fitta, la seconda è uno scorcio del Ponte di Ganda che sembra riposare avvolto in un quieto biancore.
Evangelina Laini ci ha regalato una guida preziosa, unica nel suo genere, a un tempo profonda e leggera. Le sono tornate utili, sicuramente, le molte visite guidate realizzate nel corso degli anni a Morbegno (come membro attivo del gruppo Le Nevi di un Tempo), a Firenze, a Bologna. Ne è derivata un’esperienza fondamentale, che le ha permesso di guidare con efficacia le persone anche attraverso un testo scritto.
Passeggiate a Morbegno ti prende per la mano e ti accompagna sicura con le sue molte indicazioni e i suoi tanti consigli. Saranno, però, i nostri occhi e il nostro animo (ecco che ritorna il caelum non animum di oraziana memoria) a trasformare i percorsi suggeriti dalla guida in esperienze, emozioni e in una profonda ricchezza interiore.
Renzo Fallati
Data di pubblicazione: 28 novembre 2009