Pergamene sciolte dell’Archivio notarile di Sondrio.

1. Introduzione

1.2. Osservazione della raccolta

1.2.3. La seconda fase

Nei casi di riuso, a questa prima fase della storia della membrana ne seguì una seconda, che si relaziona ad un mutato contesto [37]. Essa appare di rottura rispetto alla precedente. Lascia infatti trasparire un cambiamento nell’orizzonte di senso socialmente riconosciuto nei confronti di una scrittura [38], esito di «pratiche di appropriazione culturale come forme differenziate di interpretazione» [39]. Si tratta della fase del reimpiego (riscontrabile, lo si ribadisce, in 631 casi dei 918).
Fu allora prodotto un riadattamento del formato; venne predisposta la legatura archivistica. Sul piatto, che in età moderna era usualmente quello anteriore, fu apposta una intestazione in vista dell’identificazione del protocollo: con titolo indicante il nome del notaio proprietario del quaternus, con indicazione degli anni dei documenti conservati nel quaternus stesso, con apposizione del segno distintivo del notaio (il signum tabellionis). In qualche caso il notaio vergò pure l’emblema gentilizio della sua famiglia e –spesso– inserì anche dei motti, con funzione, per lo più, ben augurante.

Entro la prospettiva interpretativa suggerita da questa fase di storia delle pergamene, il complesso delle membrane non costituisce una collezione, ma si configura piuttosto quale parte integrante della serie dei protocolli di imbreviature: la coperta visualizza e formalizza dati di pratica strumentalità identificativa; talvolta è supporto integrativo dove vergare annotazioni, scrivere conti, o imbreviare documenti, con rapporto ‘simbiotico’ rispetto al quaternus stesso. Talora può fungere anche da supporto sul quale è vergata una scrittura destinata ad essere vista con finalità di autorappresentazione del notaio [40], laddove il notaio indugia in preziosismi grafici o inserisce un surplus di elementi decorativi. Un chiaro esempio è presentato nella sottostante figura 10.

Fig. 10: ASSo, Perg. 485

Fig. 10: Perg. n. 485. Particolare del piatto anteriore del primo protocollo del notaio di Bormio Simone Sermondi, relativo agli anni 1559–1567 (vol. 1386). Centralmente, entro a uno scudo verde sorretto da due putti, spicca l’emblema gentilizio dei Sermondi, mentre l’intestazione risente di modelli grafici oltralpini. I decori, realizzati a pennello, rendono la coperta assimilabile a quelle scritture usualmente definite come ‘esposte’.


Una analisi attenta ha potuto evidenziare che tra la prima e la seconda delle fasi descritte non vi è un rapporto di estraneità: non si tratta di due percorsi disgiunti. La lettura dei dati emergenti nelle due fasi presenta un reciproco arricchimento, veicola ulteriori significati.
Questo aspetto viene analizzato in uno specifico contributo interpretativo dei dati emersi da questo lavoro [41]. Qui basti il rilievo che le legature vennero per lo più realizzate con materiali reperiti in loco, presso il contesto operativo del notaio, nell’esercizio della ‘libera’ professione o al servizio di istituzioni, come le comunità.
Pertanto la fase I consente quasi sempre di entrare nel mondo del notaio, di ‘frugare’ nel suo armamentario professionale, di ritrovare le eredità di saperi e di carte a lui giunte da parte degli antenati, di scorgere in controluce il suo contesto operativo e di conoscere il suo background.

Propongo in questa sede due casi esemplificativi di particolare evidenza.

Tra le Pergamene sciolte si trovano nove frammenti degli statuti Bormiesi, confermati e convalidati («confirmamus, convalidamus et approbamus prememorata statuta») dal cancelliere della comunità Iohannes Enricus, in data 20 aprile 1510 [42]. Tutti i frammenti sono provenienti dalla medesima unità codicologica ed attualmente si trovano conservati tra i nn. 795 e 803.
Purtroppo soltanto la perg. n. 798 presenta il nome del notaio responsabile del riuso, apposto però da una mano riferibile all’Archivio Notarile e non ricavabile da una intestazione originale. Tale annotazione collega il frammento a un protocollo di Baldassarre Zuccola (il frammento fu staccato dal vol. 3949 relativo agli anni 1622–1628). Per gli altri otto frammenti statutari non vi è la certezza della medesima provenienza. Quel che è certo è che un notaio al servizio della comunità, per la sua attività professionale e/o per il servizio politico prestato, come nel caso dello Zuccola –bormiese eminente alla guida del borgo e professionista al servizio dell’istituzione comunitaria– poté disporre liberamente del codice smembrato degli statuti, per un uso materiale necessitato dalla pratica della professione.

Fig. 11: ASSo, Perg. 799

Fig. 11: Perg. n. 799. Un bifolio tratto dagli statuti della comunità di Bormio e reimpiegato come coperta di un quaternus imbreviaturarum. È chiaramente intuibile la modalità di riuso, con il bifolio doppiato e la pagina a destra, erasa e scurita per l’usura, posta esternamente.


Un’analoga situazione si riscontra nel caso dei quattro bifolî di quaterni datorum et receptorum [43] del comune di Chiavenna. Il bifolio oggi numerato 770 conserva delle riscossioni relative all’anno 1267. Se ne poté avvalere per usi di confezionamento Pietro Nasali fu Giovanni, di Chiavenna, per il suo quaternus professionale relativo al 1470, come appare dall’intestazione apposta dalla mano dello stesso Pietro (pergamena staccata dal vol. 328, 1463–1470).
Il Nasali utilizzò anche altri due bifolî (in questo caso con registrazione delle uscite), forse tratti dallo stesso quaternus dell’amministrazione comunitaria chiavennasca, o forse da altri pure del XIII secolo (pergg. nn. 429 e 430). Li usò per coprire le proprie imbreviature rispettivamente del 1471 e del 1472 (ora staccate dal vol. 329, 1471–1474) [44].
Anche Bartolomeo Lupi, un altro eminente professionista del borgo, si avvalse di un bifolio di un quaternus datorum del medesimo comune (perg. n. 769) e ne rilegò le proprie imbreviature del 1472 (vol. 371, 1467–1482).

Fig. 12: ASSo, Perg. 770

Fig. 12: Perg. 770. Bifolio di quaternus receptorum del comune di Chiavenna. Se ne servì il notaio Pietro Nasali fu Giovanni, di Chiavenna, per il suo quaternus professionale relativo al 1470.


Entro tale prospettiva interpretativa, non suscita stupore l’accostamento –in questa ricognizione– di schede di descrizione relative a scritture documentarie, ad altre relative a frammenti di registro, a codici, a scritture memoriali o a carte di natura personale.
Lungi dal creare un ‘guazzabuglio’ indifferenziato, la scelta di compiere una ricognizione completa e topograficamente sequenziale delle Pergamene sciolte dell’Archivio notarile risponde ad una precisa esigenza metodologica: intende rendere ragione del contesto nel quale il notaio si trovò ad operare e che collega le due fasi con un denominatore comune, stabilendo un vincolo funzionale tra le membrane e i protocolli, come si è detto e come è apparso chiaramente dai due esempi appena proposti.

Fig. 13: ASSo, Perg. 667

Fig. 13: Perg. n. 667. Tabula evangelii, utilizzata probabilmente come braghetta nella legatura di un protocollo di Marioli Lazzaro fu Gervaso – Bormio (vol. 250, 1484–1485). Si tratta di un raro pezzo di natura privata e devozionale.


È risultato prioritario in questa fase di descrizione e di primo studio creare cor–relazioni, senza setti eccessivamente rigidi tra documenti e codici. Si è stabilito di procedere con la descrizione congiunta di ‘materiali’ (uso appositamente questo termine) dalla storia strettamente intrecciata, legata alla professionalità del notaio di Valtellina. Toccherà ad una ricerca successiva il compito di una descrizione specializzata concernente i contenuti (al momento presentati in modo orientativo, secondo la natura propria di questo strumento ricognitivo).
Repertori e tavole riepilogative si assumono l’onere di una prima sistematizzazione delle tipologie rilevate, operando in primo luogo la distinzione tra documenti e codici, di natura liturgica o diversa.

In questa fase funzionale, le coperte (ma anche le braghette e le indorsature) sono state riferite alle rispettive imbreviature, e sono state riposizionate in successione cronologica virtuale in relazione ad uno stesso notaio responsabile del riuso. In tutti i casi possibili è stato praticato, ‘sulla carta’, il percorso opposto a quello del loro distacco [45].


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note

[37] Stefano Vitali si è occupato specificamente dei ‘confini’ del contesto archivistico in una giornata di studi tenuta a Parigi nell’ottobre 2004, che ha condotto alla pubblicazione di: VITALI, What are the Boundaries of Archival Context? The SIASFI Project and the Online Guide to the Florence State Archives, Italy, «Journal of Archival Organization», 3 (2005), 2/3, pp. 243–256. I temi sono poi stati ripresi dallo stesso Vitali nel workshop Sistemi informativi archivistici: strategie ed esperienze, tenutosi a Padova il 16 marzo 2005, nella relazione dal titolo Un sistema d’istituto, ovvero: quali sono i confini del contesto archivistico? (nel sito della Regione Veneto sono disponibili le slide dell’intervento).
In questi lavori Vitali ha approfondito i concetti di contesto «allargato», «decomposto», «plurimo», concludendo che «non solo il contesto di produzione ma anche i “contesti” di conservazione, uso e “attibuzione di senso” sono importanti per la comprensione e l’interpretazione di documenti e archivi; gli elementi del contesto o i contesti che contribuiscono a dare significato agli archivi possono essere molteplici; l’importanza relativa di ciascuno di essi è determinata in ogni singolo caso dalla natura e dalla storia dell’archivio», come si legge nelle citate slide.

[38] Archives, documentation, and institutions of social memory. Essays from the Sawyer Seminar, edited by F. X. Blouin Jr. and W. G. Rosenberg, Ann Arbor, University of Michigan Press, 2006. In particolare cfr. i saggi di: GEARY, Medieval Archivists as Authors: Social Memory and Archival Memory, pp. 106–113; KETELAAR, The panoptical archive, in Archives, documentation, and istitution of social memory, pp. 144–150.

[39] CHARTIER, Introduzione, in La rappresentazione del sociale, p. 22.

[40] Quest’ultimo aspetto è stato approfondito nella relazione citata nella successiva nota.

[41] PEZZOLA, Dalla frammentazione all’«archivio panottico».

[42] Il dato della convalida e la sua cronologia sono appurabili da un frammento conservato presso l’archivio del comune di Bormio, fasc. Statuti civili edizione definitiva latino, c. CXIIII (numerazione antica) – c. 47r (numerazione attuale).

[43] Per utili comparazioni, cfr. SALICE, La Valchiavenna nel Duecento.

[44] Da questi esempi relativi ai protocolli di Pietro Nasali emerge in modo particolarmente evidente l’arbitrarietà e la artificiosità con le quali gli addetti dell’Archivio notarile costituirono i nuovi volumi che riunivano i protocolli del singolo professionista.

[45] Talora il distacco risulta ben documentato, in particolare con note a lapis indicanti il numero del volume di provenienza; ma in molti casi l’unità di provenienza è stata ricostruita sulla base di tutti gli elementi disponibili (nome del notaio, anni di attività, numero progressivo del protocollo…).