3. Sulle tracce di una cultura locale della convivenza in comunità

3.3. Mutamento, dissenso, comunicazione

3.3.1. La contaminazione dei modelli

Tutti gli sforzi interpretativi che si sono considerati conservavano una notevole provvisorietà e una continua reversibilità, prova della flessibilità dell’immaginazione politica e sociale del tempo. Senza compiere scelte radicalmente alternative, i notai potevano assumere gli stessi modelli a volte in modo più forte, altre volte in forma più debole, usare lo stesso vocabolario di segni in modo ora più ricco e pregnante, ora più essenziale, fino a svolgere soltanto in forma di abbozzo i principi di organizzazione del documento che pure proponevano. In altre circostanze, invece, la tensione tra modelli era più scoperta.

Per riprendere alcuni casi già considerati, un singolo notaio poteva usare negli stessi anni e per la medesima comunità due schemi molto diversi: ad esempio, Pietro Pini documentò la vita assembleare di Grosio impiegando la lista nel 1532 e nel 1536 (ASSo, AN, 776, f. 260r., 1532.04.25; ASSo, AN, 777, f. 341r., 1536.05.07), tornando però, nel tempo intercorso, alla scrittura continua dei nomi sulla riga (ivi, f. 180r., 1535.04.18). Addirittura poteva usare i due schemi alternativi nello stesso istrumento, smentendo la nostra eventuale attesa che ad un documento corrisponda un unico principio ordinativo, nelle due stesure corrispondenti all’imbreviatura su quaderno e a quella su protocollo, come fece Donato Ruffoni rogando il verbale dell’assemblea che gli uomini di Gerola tennero il 28 novembre 1428 (ASSo, AN, 127, f. 274r., 1428.11.28;ivi, f. 274v.; ivi, ff. 17v.–18r.).

A sua volta la stessa stesura più avanzata, quella su quaderno, contaminava diverse soluzioni, quando il notaio iniziava un documento in forma di lista e poi lo continuava compilando in modo continuo le righe successive. Così fece Baldassarre Mandelli che per Ardenno dispose la sequenza nominale, con qualche approssimazione, a seconda della residenza dei capifamiglia, assunta come cognome, ma senza un’elaborazione grafica complessa della lista, che a un certo punto della stesura abbandonò (ASSo, AN, 76, f. 227r., 1424.03.19; ivi, f. 227v.). Diverso mi pare il caso di Artuichino Castelli di San Nazaro impegnato a Morbegno (ASSo, AN, 670, f. 413v., 1527.01.01; ivi, f. 414r.) o di Pietro Curtoni a Gerola (ASSo, AN, 318, f. 144v., 1466.01.26; ivi, f. 145r.), che abbandonarono la forma della lista dopo averne sfruttato le potenzialità espressive, una volta, cioè, che avevano reso evidenti in questo modo i nomi degli uomini più prestigiosi, i domini della prima realtà e, come si è detto, i magistri e i figli di magistri della seconda.

Donato Ruffoni, almeno nella circostanza ricordata, Pietro Pini e Baldassarre Mandelli fecero un uso debole della lista, cui non affidarono pregnanti disegni classificanti; per questo è assai probabile che abbiano avvertito l’opzione per uno schema o per l’altro come priva di particolari implicazioni. A proposito di Artuichino Castelli di San Nazaro e Pietro Curtoni si potrebbe parlare invece di un uso estremamente specializzato della lista stessa, in vista di un obiettivo specifico: la visibilità da assicurare al solo segmento iniziale dell’elenco nominale. A volte, però, si confrontarono da vicino, affidate a diversi modelli grafici, interpretazioni forti, ma radicalmente contraddittorie della comunità.

Tali differenti rappresentazioni potevano essere la proposta avanzata in documenti tipologicamente diversi. A Grosio la combinazione tra due tendenze – l’affermazione di un’identità e di una fisionomia istituzionale propria delle contrade da un lato e il loro concorso nel comune dall’altro – non fu problematica come altrove: allora si può comprendere come i proemi degli statuti siano venuti accentuando la visibilità della contrada (ASCG, Statuti, 1, fasc. 6, 1545), mentre i verbali delle assemblee di vicinanza l’abbiano sacrificata a vantaggio dell’esaltazione dell’unità collettiva (ASSo, AN, 776, f. 260r., 1532.04.25; ivi, ff. 260v.–261r.; ivi, ff. 261v.–262r.).

Talvolta l’urto tra opposte concezioni della comunità fu ancora più ravvicinato e avvenne all’interno dello stesso tipo di fonte. La precoce e ampia valorizzazione delle potenzialità analitiche della lista nei ritratti delle comunità federali, per tutte le ragioni che si sono considerate (§ 2.4.3), non escluse il ritorno all’elenco ininterrotto sulla riga. Giacomo Castelli d’Argegno adottò quest’ultima soluzione (ASSo, AN, 71, f. 371r., 1416.10.18) proprio negli anni in cui Domenico de Carate proponeva le sue liste ben spaziate (ASSo, AN, 68, f. 235r., 1415.09.28; ivi, f. 235v.). Soprattutto, l’opzione era ancora in campo all’inizio del Cinquecento (ASSo, AN, 639, f. 52r., 1507.01.01; ivi, f. 52v.), dopo oltre un secolo di sperimentazioni perlopiù in senso opposto. A Bema nel 1428 la parentela aveva trovato la sua massima valorizzazione nell’atto steso da Donato Ruffoni (ASSo, AN, 127, f. 275v., 1428.12.02; ivi, f. 276r.). L’anno dopo si tenne una riunione in cui i partecipanti si impegnarono collettivamente a nome di tutti i loro vicini; nella circostanza l’agnazione era un criterio di classificazione sociale e ordinativo del documento completamente trascurato dal notaio Giovanni Mazzi (ASSo, AN, 118, f. 324r., 1429.06.19). Dopo il primo accenno di Giacomo Castelli d’Argegno alle divisioni interne al comune di Cosio (ASSo, AN, 71, f. 348r., 1416.03.25), tre anni prima del documento con cui Baldassarre Mandelli rappresentò in modo più elaborato le identità di parentela che si erano enucleate (ASSo, AN, 77, f. 111r., 1431.05.21; ivi, ff. 111v.–112r.), sempre Giovanni Mazzi stese una lista che non ordinava le designazioni né sulla base del cognome, né della residenza (ASSo, AN, 118, f. 59r., 1428.02.02; ivi, f. 59v.), una soluzione cui si mantenne fedele nel tempo, lavorando esclusivamente per accrescere il nitore del prodotto grafico (ASSo, AN, 122, f. 185r., 1449.01.01; ivi, f. 185v.).

I precedenti casi mettono a confronto documenti stilati da mani diversi, ma pure il percorso del singolo notaio non è lineare: pochi mesi dopo aver prospettato la prima immagine documentaria delle fratture interne di Cosio (ASSo, AN, 71, f. 348r., 1416.03.25), Giacomo Castelli d’Argegno compilò un elenco dei convenuti all’assemblea di vicinanza straordinariamente denso, che enfatizzava la coesione, non certo le spaccature del comune (ivi, f. 382r., 1416.11.29). Anche la ricostruzione della parabola professionale di Artuichino Castelli di San Nazaro risulterebbe appiattita, se non ricordassi che, mentre veniva rifinendo le sue liste gerarchiche degli uomini di Morbegno (ASSo, AN, 669, f. 340r., 1523.11.29), propose pure in età matura sequenze compatte dei loro nomi, senza raccogliervi e anteporvi i domini (ASSo, AN, 670, f. 314r., 1526.07.01; ivi, f. 314v.).


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