La figura di san Giovanni Battista nel tempio maggiore di Morbegno a lui dedicato

I complementi ottocenteschi

Il più e il meglio di Giovanni Battista era oramai stato detto con le scritte esaminate, sobrie ma esaurienti, sebbene aperte ad ulteriori evocazioni. Non si può negare qualche perspicacia nella scelta di altre otto citazioni, tratte da vari libri biblici [50], allorquando si pensò al nuovo abbellimento del tempio. L’intento fu quello di conferire anche spessore di annuncio ad un progetto fondamentalmente decorativo. Vi trapela solo –a mio avviso– qualche piccolo inconveniente di disposizione spaziale in rapporto ad una coerenza tematica sul filo della quale corre il presente discorso. La numerazione dei cartigli contenenti queste citazioni allegorico–agiografiche facilita una rilettura contenutistica più coerente e forse anche più significativa in ordine alla sintassi dello spazio sacro [51].

Dominus ab utero vocavit me

Dominus ab utero vocavit me
(collocazione n. 7)

"Il Signore dal seno materno mi ha chiamato", fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome (Is 49, 1). È ciò che si legge in fondo alla navata, sul fianco sinistro di chi entra in chiesa, all’altezza dell’organo.
Uno dei tratti rilevanti messi in luce dalla Bibbia circa importanti figure della Storia della salvezza, è quello della divina ’predestinazione’ circa la loro sorte. E il nostro testo, desunto dal ’secondo canto del Servo’, mette in luce la prescienza di Dio e la gratuità assoluta dell’elezione di Giovanni [52]. È chiamata speciale quella che fonda la vocazione di uomini di cui Dio vuole servirsi in modo peculiare per lo svolgimento del piano divino della salvezza; è dono che precede, previene e accompagna ogni operare collaborativo. Anche nel N.T. questa chiamata ’per nome’ definisce la missione apostolica [53]. Noi proverbialmente affermiamo: Nomen est omen; ma pronunciato da Dio il nome è qualcosa di ben più che ’presagio e augurio’, perché diviene costitutivo di una identità personale che trasforma il chiamato in vivente strumento, con un compito di singolare mediazione. Il nome Giovanni significa ’Dio fa grazia’. Questo viene imposto al bambino per volere divino (Lc 1, 59–63): veramente un "nome nuovo" (cfr. Ap 2, 17).

Formans me ex utero
(collocazione n. 8)

Formans me ex utero

L’affermazione non è che la ripresa della precedente, e appartiene al medesimo testo e contesto, anche se collocata (intenzionalmente?) a distanza, sopra la porta della sacristia maggiore. Il profeta Isaia (Is 49, 5) pone sulle labbra del Servo di JHWH questa dichiarazione: "Il Signore mi ha plasmato suo servo dal seno materno" (per ricondurre a Lui Giacobbe e a lui riunire Israele).
Anche del profeta Geremia la Scrittura dice: "Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato" (Ger 1, 5).
Viene ribadito il tema che ogni vocazione è ’elezione’ del libero e gratuito Amore, con una provvidenziale preferenza accordata a Giovanni, che "è ripieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre" (Lc 1, 15).

Exultavit in utero

Exultavit infans in utero meo
(collocazione n. 9)

Spiritu oris eius omnis virtus
(collocazione n. 10)

Spiritus oris eius omnis virtus

Le scritte riferite al Battista che sovrastano le due cappelle maggiori abbandonano le fonti della letteratura profetica. Correttamente sembrò d’obbligo la ricerca di un’armonizzazione con le dedicazioni delle cappelle stesse. L’operazione è splendidamente riuscita.

Ecco allora un riferimento evangelico –l’unico di natura narrativa– che viene ad integrare scene mariane ivi affrescate. Siamo a destra, nella cappella della Madonna.
Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino "sussultò nel suo grembo" (Lc 1, 41). e fu ripiena di Spirito Santo. Dichiarò lei stessa il mistero, quando, dopo avere benedetto Maria, aggiunse: "Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo". Anche Davide aveva danzato di gioia al passaggio dell’Arca dell’Alleanza. E alcune parole pronunciate dalla Visitata madre di Giovanni riprendono l’interrogazione di Davide: "Come è possibile che l’Arca del Signore venga a me?" (cfr. 2Sam 6, 1–13). È l’inizio della festa messianica. Giovanni sarà dispensatore di gioia: "Molti si rallegreranno della sua nascita" (Lc 1, 14). Giovanni dichiarerà pubblicamente l’inondazione della gioia messianica, percependola realizzata come festa nuziale: "Lo sposo è colui a cui appartiene la sposa, ma l’amico dello sposo, che è presente e lo ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena" (Gv 3, 29–30).

L’incontro esultante di Maria ed Elisabetta, tabernacoli viventi dei nascituri Gesù e Giovanni, fu il soggetto di una artistica pala della cappella della Visitazione, caratterizzante il vecchio San Giovanni; era prospiciente un’altra cappella laterale dedicata al mistero della Trasfigurazione [54]. Oggi questa festosa immagine si può contemplare nella cappella Parravicini, sul lato destro; ivi venne destinata dall’arciprete Gian Pietro Castelli Sannazzaro [55].

Pala dell’antica cappella della Visitazione

Pala dell’antica cappella della Visitazione

Il secondo testo evocativo: "del soffio della sua bocca" (Sl 33, 6). Tutto quanto esiste e sussiste è miracolo dello Spirito, anche se la terza divina Persona non appare in forma visibile, come nella scena del Battesimo: ’Soffio’ [56] è all’inizio, quando aleggiava sulle acque primordiali. Tutta la rivelazione e la dispensazione della salvezza sono opera sua: "Porrò il mio spirito dentro di voi" (Ez 36, 27). "Diffonderò il mio spirito sopra ogni carne" (Gl 3, 1). Il Messia sarà concepito di Spirito Santo e su di Lui si poserà in pienezza: in specie di colomba, come già notato, al principio della seconda creazione presso le acque del Giordano. È la sua "spiritalis unctio" [57] a definire il nome di Cristo e quello dei credenti in Lui.
Dello Spirito–soffio parla opportunamente l’intestazione della cappella della Pentecoste, anche se nel Cenacolo la sua più piena effusione è simboleggiata dalle lingue di fuoco. Quanto a Giovanni già la nascita e poi tutto, di lui, dipesero da questa animazione. "Sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua madre" (Lc 1, 15): sono le parole con cui Isaia aveva designato il servo di IHWH, l’eletto per eccellenza, tanto che Giovanni stesso sarà immaginato come ’il Cristo’. Dopo quella santificazione che lo aveva fatto esultare nel grembo della madre, nel silenzio del deserto, fino al giorno della sua manifestazione, Giovanni "si fortificava nello spirito" (Lc 1, 30) e "la mano del Signore era con lui" (Lc 1, 66). Il Battista anticipava la missione degli Apostoli nel loro lasciare il cenacolo di Gerusalemme; era apostolo, anche se non appartenente alla schiera dei Dodici. Il cuore della buona novella da lui annunciata riguardava Gesù, che avrebbe battezzato in Spirito Santo; e la salvezza donata era universale. Il Vangelo ebbe qui il suo vero principio. Lo ricorda san Luca (At 1, 21–22) narrando che dopo la defezione di Giuda Iscariota –e prima della Pentecoste– il collegio apostolico dovette essere completato da uno "tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto tra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni…". La catena dei testimoni della Chiesa inviata alle genti dopo la Pasqua–Pentecoste doveva essere annodata all’evento del Battesimo al Giordano.

Ecce dedi verba mea in ore tuo

Ecce dedi verba mea in ore tuo
(collocazione n. 11)

Quae mandavero tibi loqueris ad eos
(collocazione n. 12) [58]

Quae mandavero tibi loqueris ad eos

"Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca" (Ger 1, 9).
La locuzione più tipica del linguaggio oracolare–profetico suona: "Così dice il Signore!"; e, parallelamente, il Signore si fa garante della veracità oracolare ’compiendo’ quanto annunciato. Profeta è l’uomo imbevuto dalla divina Parola o, ancor più, da essa generato. La vocazione supera i limiti umani, elimina ostacoli e scuse frapposte dai chiamati. Geremia (dal quale è tolta la citazione), aveva reagito: "Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane" (Ger 1, 6). Ma non hanno peso determinante l’inesperienza del giovane o la saggezza dell’anziano. Interviene il dono illuminante per una seminagione trascendente ogni concettualità e ogni infermità. Al chiamato è elargita la grazia di adempiere la missione, di trasmettere i segni dell’impensato o dell’inedito per i calcoli umani.
San Luca afferma che "sotto il regno di Tiberio Cesare […] la parola di Dio fu rivolta a Giovanni, nel deserto" (Lc 3, 1–2). Monti e colline, dune e sentieri risuonarono per quella voce, mentre un seme di novità penetrava la scorza dei cuori umani.
Categorico è l’imperativo del Signore riguardo alla vocazione profetica, come risuona nei due versetti antecedenti a quello citato (Ger 1, 7). "(Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò), e dirai tutto quello che ti ordinerò" (Ger 1, 7). Si comprende da queste parole che anche gli uditori dei profeti sono stabiliti dal Signore, il quale intende donare a tutti la sua misericordia. Salvo chiudere occhi, orecchie e cuore con quelli che, credendo di vedere, sono ciechi, oppure godono di essere ricchi di risorse che lasciano l’animo vuoto. Il messaggio trasmesso da Giovanni, come quello di tanti suoi predecessori e con altrettanta incisività –lo si è già notato– è contestazione di prospettive acquisite e ritenute quali verità. Smuove il torpore di consolidate abitudini, scuote la quiete degli accomodamenti, smaschera gli appigli degli arroccamenti farisaici. I suoi richiami grondanti sapienza dall’alto inducono ad abbandonare ingiustizia e violenza, a vincere l’egoismo, a rendere vivibile e fraterna la convivenza. Per chi li accoglie inizia il prodigio del deserto che fiorisce. "I pubblicani e le prostitute" arrivano a credere (cfr. Mt 21, 32).
Alcuni annunci del Battista addirittura anticipano il discorso delle beatitudini evangeliche. "Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto". "Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato". "Non maltrattate, non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe" (cfr Lc 3, 10–14).
Queste due scritte nella collegiata hanno una buona collocazione ambientale. Sebbene arretrate, sono prossime all’area del pulpito antico e all’ambone attuale: da qui insegnamenti e dettami salvifici continuano a risuonare. In ogni tempo gli ascoltatori (talora spettatori dell’oratoria sacra) dovranno saper cogliere, sia pur mediato dalla ’voce’ che scompare, il Verbo che viene per fermentare la vita.

Preibis enim ante faciem Domini parare via eius

Praeibis ante Dominu parare vias eius
(collocazione n. 13)

Dedit me in lucem gentium
(collocazione n. 14)

Dedit me in lucem gentium

La scritta numerata 13 in questa rassegna, è quella che si trova in fondo alla chiesa, a fianco dell’organo sulla parete destra. Sua fonte è il Vangelo di Luca, ove è riferito il benedicente e profetico cantico del sacerdote Zaccaria, padre di Giovanni: muto – per punizione – fino al tempo della nascita del bimbo, egli proruppe poi miracolosamente nell’inno di esultanza: "Benedictus Dominus Deus Israel" (Lc 1, 68–79). La Chiesa lo riprende ogni mattina come esultante annuncio della redenzione. Il testo è modulato sullo sfondo della memoria, del presente e dell’avvenire. "Andrai innanzi al Signore a preparargli le strade" (Lc 1, 76): il futuro del verbo suona vaticinio; ma esso, ormai attuato, suona –come l’insieme delle scritte – a modo di rimando e invito a coglierne tutta la portata nell’affresco del Battesimo al Giordano in presbiterio, vero punto focale dell’esperienza di san Giovanni.
Da notare che Gesù in persona citerà, con parziale modifica, questa espressione che derivava dal profeta Malachia: "Ecco io mando il mio messaggero davanti a te, per preparare la via dinnanzi a te" (Mal 3, 1). Giovanni –come ha ben evidenziato la tradizione iconografica– è colui che ha il ’dito puntato’ per mostrare l’Agnello di Dio. È tutto ’preparazione’: distoglie l’attenzione da sé, consapevole che, a "Colui che viene", egli non è "degno nemmeno di sciogliere il laccio dei sandali" (cfr. Mc 1, 7). Ha la consapevolezza che "nessuno può prendersi qualcosa, se non gli è stata data dal cielo" (Gv 3, 27). Dichiara: "Lui deve crescere; io, invece, diminuire" (Gv 3, 30). Sollecita i suoi discepoli a non indugiare alla propria sequela: devono affidarsi a Gesù. E tuttavia quel suo ministero battesimale esercitato al fiume, benché transitorio, era preparazione ’stabilita’ dal piano di Dio. Era così importante per il popolo che Gesù rimprovererà i farisei e i dottori della legge i quali, "non facendosi battezzare da Giovanni, hanno reso vano il disegno di Dio su di loro" (Lc 7, 31).

In questa ottica risalta l’eloquenza dell’ultima citazione, posta in alto sopra la porta della sacristia secondaria. Essa è desunta dal profeta Isaia (Is 49, 6): "Mi rese [59] una luce delle nazioni" perché porti la mia salvezza fino alle estremità della terra. Sono parole con le quali il Servo di JHWH dichiara la sua missione aperta a tutti i tempi e a tutti gli spazi. Sino a Giovanni le preparazioni messianiche, benché esplicitassero anche una prospettiva universalistica, erano concentrate su Israele: i beni promessi sembravano riservati ai figli della circoncisione. Ora non più, perché il Messia è sole che tutti e tutto illumina, come affermato nel Benedictus: "Grazie alla tenerezza e alla misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace" (Lc 1, 78–79). In quel momento di alba redentiva, di immediata maturazione della pienezza, anche Giovanni era apparso tanto splendente da poter essere identificato [60] col Cristo: "Sei tu il Cristo?" (Gv 1, 20). L’evangelista omonimo preciserà: "Non era lui la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce" (Gv 1, 8). Ma Gesù chiamerà il suo precursore "lampada che arde e risplende", rimproverando coloro che "solo per un momento hanno voluto rallegrarvi alla sua luce" (cfr. Gv 5, 35). Come missionario del Signore, del resto, il Battista era entrato in dialogo non solo con i connazionali, ma anche con i soldati dell’Impero, quasi primizia delle genti.


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note

[50] Altre due da Geremia, tre da Isaia, una dai Salmi e due dai Vangeli.

[51] Le osservazioni critiche che furono affacciate nell’Ottocento circa questo intervento furono prevalentemente di natura estetica. Pare che non ci fu preoccupazione di valutare le scelte programmatiche nell’organizzare l’eloquenza ornamentale degli spazi..

[52] Questa realtà stupenda è bene espressa anche dall’orante del Sl 139, 14–16.

[53] Cfr., ad esempio, la coscienza di Paolo espressa in Gal 1, 5.

[54]Visita pastorale di Sisto Carcano (1624): ASDCo, Visite pastorali, b. XXIX, p. 44.

[55] Cfr. G. PEROTTI, La "controversa" tela della Visitazione, in Scritti d’arte, p. 249.

[56] "Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito" (Gv 3, 8).

[57] Espressione dell’inno liturgico: Veni, creator Spiritus.

[58] Le scritta 11 si trova sopra la porta laterale della parete sinistra e la 12 la fronteggia, sopra la porta dell’antica sacristia.

[59] Letteralmente il testo biblico afferma: "Dedi te". "Io ti stabilii". Qui il testo suona come personalizzato, ovvero viene messo sulla bocca del santo stesso. Forse questa rilettura è stata introdotta per variare la scritta di Ger 1, 5 che è già presente nel monocromo del Ligari entro il presbiterio e che offre il medesimo contenuto: l’universalità della missione profetica: "Et prophetam in gentibus dedi te". "Ti ho stabilito profeta delle nazioni".

[60] Altra identificazione è con Elia, il profeta preparatore della venuta e del giudizio di Dio, che era stato rapito in alto dal carro di fuoco. Giovanni introdusse il Vangelo, "camminando davanti al Signore con lo spirito e la potenza di Elia" (Lc 1, 17). E Gesù dirà, rispondendo agli scribi: "Sì, Elia verrà e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto… Allora i discepoli compresero che egli parlava loro di Giovanni il Battista" (cfr Mt 17, 11–13).