La figura di san Giovanni Battista nel tempio maggiore di Morbegno a lui dedicato

"Maior inter natos mulierum Ioanne nemo est" [42].

"Che sarà mai questo bambino?" [43].
Tale suonò l’interrogativo dei vicini di casa, presi da meraviglia e timore, quando videro i miracoli concomitanti la nascita del figlio di Zaccaria. Già si è accennato alla ricca biografia di Giovanni che i Vangeli hanno redatto e che è stata ispiratrice di ricchezza iconografica e innodica. Non così nel nostro tempio. La scelta operata si è mossa sulla linea della ’radiografia’, ovvero della presentazione scarna ma significativa di tratti spirituali e di mandati profetici attinti dalle Scritture e applicati al titolare. Un intreccio di referenze tipologiche e di rimandi allegorici, fissati sui dodici cartigli del fregio avvolgente il tempio. Come una specie di ritorno al deserto del Precursore, dove non vi sono figure se non dune di sabbia, ma in cui risuonò la sua ’voce’.

L’esame puntuale di questi elementi verbali fissati sul grigio di cartigli impone però un previo compito. È necessario operare tra di essi una distinzione che tocca sia la cronologia e la disposizione della messa in opera, sia la pertinenza dei contenuti. Risultano, invero, nettamente individuabili due stadi operativi, nonché uno ’scarto’ qualitativo tra la prima e la seconda fase di intervento [44].
I cartigli settecenteschi (contemporanei agli stucchi e ai capitelli delle lesene) sono quattro soltanto e recano delle scritte essenziali e organicamente concepite. Gli elementi per distinguerli sono: l’eminenza del loro posizionamento più elevato (come le cimase degli archi dei matronei della navata), la loro incorniciatura a stucco e, soprattutto, l’unità testuale del contenuto delle citazioni (tutte desunte dal profeta Geremia). Gli altri otto cartigli, invece, furono aggiunti nell’Ottocento: appaiono semplicemente affrescati, a scandire la probabile monotonia visiva dei fregi della fascia ornamentale [45]. Questo intervento fu eseguito dal pittore–imbiancatore Antonio Martinoli di Meda, nel 1871 [46].
La nostra rilettura risulta più corretta (anche se più faticosa) se si adegua a questo stato di cose, facendo risaltare, come prioritario, quanto si ritenne essenziale rievocare del Battista, nella linea profetica dell’A.T. e sul modello del profeta Geremia.


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note

[42] Lc 7, 28. "Tra i nati di donna non v’è alcuno più grande di Giovanni...".

[43] "Et posuerunt omnes, qui audierant, in corde suo dicentes: "Quid putas puer iste erit?"". (Lc 1, 66).

[44] Questa distinzione e questo ’scarto’ hanno il massimo grado di attendibilità derivante dalla lettura contestuale. Solo qualcosa della seconda fase di intervento è più chiaramente fondata su documenti d’archivio.

[45] Il disegno del fregio che si dispiega per tutta la navata è stato attinto a quello (ligariano?) che adorna la fascia del presbiterio, sotto il cornicione. Qui tuttavia appare con singolare eleganza, con parti in rilievo a stucco dorato.

[46] Cfr Scritti d’arte, op. cit., pp. 243–244. Nell’articolo viene messa in rilievo anche l’epocale ’contestazione’ (di natura estetica) dell’intervento. Esso avvenne sotto l’arcipretura di don Luigi Bettica (1866–1899), al quale spettò, se non l’incombenza di ispirare, almeno quella di approvare i contenuti biblici prescelti.