La figura di san Giovanni Battista nel tempio maggiore di Morbegno a lui dedicato

"Circumposita nobis nubes testium" [21]

Giovanni era l’ultima voce dell’Antico Testamento (Mt 11, 13); "profeta dell’Altissimo" (Lc 1, 76), "più di un profeta" (Lc 7, 26). Erano pertanto adempiuti anche quegli annunci delle Scritture che lo riguardavano personalmente. Anch’egli, infatti, aveva avuto i suoi testimoni profetici. E il Ligari fu incaricato di ritrarne due, in tondi sorretti da angeli, monocromi dalle tinte sfumate, che sono delineati sopra le finestre, entro una cornice a ghirlanda composta da frutti.

Alla destra sta Isaia. Un volto pensoso e ieratico; gli danno risalto la barba e la fronte stempiata. Dal manto che ricopre le spalle emergono il braccio sinistro (il cartiglio è sostenuto col destro) e la mano che tocca il massimo di espressività nel dito puntato sulla parola profetica: "Vox clamantis in deserto": così il testo esibito (1). E con tutta verità, perché la identificazione inequivocabile e la portata attualizzante di questa "voce che grida nel deserto" viene proposta –addirittura– dall’Evangelo di Matteo (Mt 3, 2).

Vox clamantis in deserto
(collocazione n. 1)

Vox clamantis in deserto
Et prophetam in gentibus dedi te

Et prophetam in gentibus dedi te
(collocazione n. 2)

Alla sinistra la missione straordinaria di Giovanni viene sottolineata dal profeta Geremia: il suo detto oracolare suona: "Et prophetam in gentibus dedi te" (2). "Ti ho stabilito profeta delle nazioni" (Ger 1, 5). Giovanni alza la voce non solo per il popolo di Israele: e Gesù, il Messia di Israele, sarà Salvatore dell’intera umanità. Il profeta è ritratto con fattezze non troppo dissimili da quelle di Isaia, ma risulta persuasivo l’atteggiamento con cui il Ligari lo disegna: in posizione assai sciolta e connotante meraviglia; soprattutto le braccia allargate concorrono ad esprimere l’ampio ambito dei destinatari del vaticino. Si tratta di un dono in gentibus.

Poi l’attenzione è attirata sul versante del Nuovo Testamento, e l’annuncio messianico–cristologico si carica di spessore teologico–ecclesiologico. La rivelazione trinitaria avvenuta alla teofania sul fiume Giordano –vero inizio del Vangelo che è la stessa persona del Figlio di Dio rivelante– costituisce il cardine della fede tràdita dal magistero e professata dai credenti. La Uni–Trinità divina costituisce il ’mistero principale’ da contemplare con giubilo, la sorgente cui attinge l’evangelizzazione e il culmine celebrato nei santi Misteri.
Ecco apparire i testimoni della mediazione rivelante e divinizzante di Cristo.
A cominciare dai primi, ’le colonne’ Pietro e Paolo –patroni della città– che si affacciano ai lati, con la loro trasparenza vitrea [22]. Poi, a fresco, i grandi Dottori della Chiesa d’Occidente: sono Girolamo (†420) [23] e papa Gregorio Magno (†604) [24] (affiancati il primo a destra, il secondo a sinistra, dalla cornice dorata del Battesimo); poi Agostino (†430) [25] –a destra– ed Ambrogio (†396) [26], dirimpetto all’estremità opposta. L’attenzione può essere accattivata dai volti ispirati, dalla maestà delle posture, dalla finezza dei panneggi, dagli svolazzi degli abiti, dai simboli identificativi: ma ciò che questi Padri possiedono in comune è il ’volume’ della dottrina, emblema di quanto essi hanno saputo esplorare dei tesori della Sapienza e riversare sulle generazioni credenti: scritti vibranti di un cuore pastorale. Come la ’voce’ del Battista presentò il Messia, così il loro magistero intervenne a tessere gli splendori del Verbo del Padre e a narrare le meraviglie del Figlio dell’uomo, unica salvezza. Il messaggio è sempre identico: Ecce Agnus Dei. Tutti rimandano a Gesù, che ha dato carne al cuore del Padre, per dispensarne la misericordia. Lieta novella, che percorre le vie del mondo e riempie i tempi della Chiesa. Nella sacra traditio, continua l’oracolo divino, che già aveva fatto esultare il primo testimone: "Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è Lui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio" (Gv 1, 34).


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note

[21] "Noi, circondati da tale moltitudine di testimoni". Cfr. Eb 12, 1.

[22] Le colorite vetrate di Pietro e Paolo sono di fattura moderna (inizio sec. XX, ad opera del laboratorio ginevrino di J. Jourdain). I soggetti –desunti dalla facciata– costituiscono uno dei legami attuali tra interno ed esterno del tempio.

[23] Girolamo è ritratto con il prestigio dell’età senile e l’evidenziazione della sua professionalità esegetica: egli vergò con la piuma migliaia di membrane stillanti dottrina, qui rappresentate dal grosso codice sorretto con l’aiuto di un vivace putto. L’altro angioletto tiene tra mano un galero cardinalizio, che sembra ironicamente disegnato a larga falda così da coprire non solo il capo ma anche le spalle del santo, eremita di Betlemme e austero penitente. Ma la stagione settecentesca, amante dello sfarzo ecclesiastico, ha preferito ritrarre il personaggio – in modo pertinente nel contesto– come un eminente porporato, in tenuta più adatta a sottolineare il prestigio dottorale.

[24] Gregorio Magno è l’unico papa tra i quattro dottori. A caratterizzare le sue icone è la presenza dello Spirito Santo, sotto forma di colomba, qui presso l’orecchio sinistro. La tradizione cristiana ha attribuito a divina ispirazione la salienza esegetica e l’afflato spirituale delle sue opere, alle quali allude il grosso volume custodito dall’angioletto ai piedi del santo. L’altro angioletto reca il pastorale doppiamente crociato, insegna metropolitico–patriarcale, alla quale si aggiunge la tiara papale (triregno). Il volto di Gregorio appare scarno, con espressione alquanto dolorosa, quasi segno delle tribolazioni interiori e delle lotte esterne sostenute in un’epoca difficile.
Il Ligari dona prova di equilibrio cromatico, di abilità nell’effetto spaziale (si veda la proiezione diagonale dell’ombra del pastorale e della figura stessa), di raffinatezza miniaturistica nelle figure iscritte nel piviale e nella stola. Nel quadro la compostezza statuaria del personaggio è animata, oltre che dallo svolazzo dell’angelo di sinistra, dall’atto dell’alzare la mano benedicente, nonché dal gioco dei panneggi dell’abito pontificale.

[25] Sant’Agostino è raffigurato come vescovo, ma con la sola insegna della mitria: sotto il piviale si nota il saio di monaco, quasi a dare visibilità al duplice stato di dignità gerarchica e di umiltà ascetica. Il volto è ispirato e l’occhio scruta rivolto in alto, perché ogni dono perfetto, come la sapienza, "discende dal Padre di ogni luce" (cfr. Gc 1, 17). Sono assenti altri particolari attributi simbolici se non il libro, compendio simbolico della sua monumentale produzione di maestro. La relativa sobrietà della raffigurazione, meno sgargiante di quelle centrali, è attribuibile forse anche alla posizione liminale dell’affresco, non direttamente visibile se non avvicinandosi al raggio della calotta absidale.

[26] Ambrogio venne acclamato vescovo dal popolo di Milano mentre, da laico, esercitava la carica di funzionario imperiale. Come attesta paradossalmente nell’opera De officiis, I, 1,4, egli si ritrovò ad insegnare prima di avere imparato. In realtà la sua preparazione culturale, che era stata alla base dell’ufficio di magistrato, si caricò di sostanza biblica, patristica e di afflato mistico, tanto che diventò il maestro di Agostino, ricercatore della verità tra le varie filosofie del tempo. Il curioso particolare identificativo che è evocato dall’affresco è la presenza dello staffile a tre corde, retto dall’angelo che accompagna il santo. Si tratta di un’allusione alla difesa, fatta da Ambrogio, del mistero trinitario nel contesto della lotta antiariana. Una leggenda tardiva, ma determinante per la successiva tradizione iconografica, narra che il santo apparisse a cavallo per mettere in fuga, staffilandoli, i soldati di Luigi di Baviera, che minacciavano la città di Milano, nel 1338. È mia convinzione che il santo –che ha il volto rivolto al basso (segno della sua attenzione pastorale alle vicende politiche stesse?)– reggesse il libro, che è comune attributo di tutti i dottori della Chiesa, tra quelle braccia che oggi –dopo il restauro effettuato– appaiono con una movenza piuttosto innaturale, quasi in un atto di intrecciarsi. Come per la figura di Agostino, in posizione spaziale corrispondente, il colore della composizione è più spento.