La figura di san Giovanni Battista nel tempio maggiore di Morbegno a lui dedicato

La facciata

Il tempio che domina la grande piazza reca la firma –inequivocabile– della sua dedicazione. Qui solamente per ragioni di ordine pratico si inizia a considerare il complesso esterno, che è di fattura posteriore al presbiterio [6]. Ambedue gli spazi, con un parallelismo differenziato dai contesti –solare e trionfante il primo, predisposto per far respirare un’atmosfera mistica il secondo– insieme dicono e cumulativamente celebrano quanto è essenziale della grandezza del Precursore.
Il registro, che venne adottato nella configurazione ornamentale all’aria aperta, rimase quello della pregnanza simbolica quale già esplicitata dalle recitazioni fissate nel coro da Pietro Ligari. Pertanto, chi osserva oggigiorno la facciata scopre degli elementi comuni a quella solenne ostensione di forme e contenuti che incontrerà nell’abside.

cupola

Titolo di dedicazine della Collegiata.

Ecco dunque, a sormontare il finestrone, il tondo recante la dicitura: "Christo Deo et Praecursori – MDCCLXXX". Un minimo di vocaboli per esprimere un massimo di spessore teologico. Di Giovanni non viene siglato nemmeno il nome, ma solo l’attributo che definisce il suo mirabile ruolo. È messa in evidenza la sua provvidenziale ’funzione’ in rapporto a Cristo. Tutto di lui fin dagli inizi è e sempre sarà relazione al Signore: dalla ’danza’ prenatale in Ebron nel ventre di Elisabetta, sino al martirio, con un programmatico libero ’crescendo di diminuzione’ [7]. In alto svetta "Cristo Dio" nella figura del Crocifisso–Trionfatore [8], reduplicato simbolicamente in basso (tra il portale e il timpano) in bianca veste di Agnello [9].

Tanto è fondamentale l’impostazione ’cristologica’, che è stata abbandonata persino la siglatura consuetudinaria: D.O.M (Deo Optimo Maximo). L’impaginazione della facciata propone il mistero della Pasqua redentrice, mistero di morte e di vita. Questo evento apice della storia salvifica viene annunciato dalle voci della Profezia (Mosè e Davide [10]) e testificato dagli apostoli Pietro e Paolo [11]. Integralmente pasquale è la presentazione di Cristo come Risorto e reggente la Croce sull’apice [12] , cui fa sfondo la volta del cielo. A lui complementare è l’Agnello pasquale, iconizzato nel tondo del portale [13]: vive eternamente il vero Agnello immolato [14], con i segni del sacrificio e della vittoria; sta sull’altare glorioso descritto dall’Apocalisse. I sigilli della storia sono nelle sue mani.

L’Agnello vittorioso.

agnello

Questi contenuti all’aria aperta costituiscono una pregustazione dei messaggi offerti dalle colorite immagini dell’abside, dentro il catino del presbiterio le quali offriranno al visitatore la possibilità di una osservazione–riflessione più densa e meditativa [15].


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note

[6] La costruzione della facciata venne ideata nel 1738 e conobbe un cambio di progetto, con ripresa di messa in opera nell’anno 1765. In realtà, l’eloquenza tematica dell’assetto definitivo è correlata a quella del presbiterio, che già si fregiava dell’affrescatura ligariana. Quest’annotazione diacronica è utile per osservare la dilatazione della fabbrica e soprattutto la continuità di un insieme di rimandi oggi sincronicamente leggibili.

[7] Cfr. Gv 3, 30: "Illum oportet crescere, me autem minui". "Lui deve crescere; io, invece, diminuire".

[8] La collocazione risale all’anno 1781: l’eminenza simbolica è inversamente proporzionale a quella artistica, se si considera la bellezza delle altre statue collocate nelle nicchie sottostanti.

[9] La figura dell’Agnello è pure presente sulla cuspide del tempietto dell’altare maggiore. Il disegno del bianco medaglione della facciata è attribuito al pittore Giovanni Pietro Romegialli, ma ha subito dei restauri filologicamente discutibili. Cfr. Scritti d’arte…, op.cit., p. 242.

[10] Le due statue, opera dello scultore Stefano Salterio, furono ivi collocate nel 1780. Gli originali oggi sono collocati nella cappella retrostante l’altare della Madonna del Carmine.

[11] Anche queste statue furono scolpite da Stefano Salterio di Laglio, unitamente a quelle della Vergine Assunta e di San Giuseppe.

[12] Il culmine della facciata reca la data 1779.

[13] La figura scolpita dell’Agnello pasquale, qui direttamente evocata come simbolo eucaristico, è reduplicata sul fastigio del tempietto sovrastante l’altare maggiore. Nel rito romano l’Agnus Dei è il canto proprio dello ’spezzare il pane’ che poi viene presentato ai comunicanti con le parole del Battista: "Ecce Agnus Dei" e dell’Apocalisse (Ap 19, 9), in dimensione escatologica: "Beati qui ad caenam nuptiarum Agni sunt vocati". "Beati gli invitati alla cena di nozze dell’Agnello".

[14] L’antitipo di Es 12, tanto importante nella teologia giovannea (cfr. in sintesi, Gv 19, 36, e poi l’Apocalisse), è cantato liricamente nel cuore della veglia pasquale: "…vere ille Agnus occiditur, cuius sanguine postes fidelium consecrantur" (Cfr. Missale Romanum, Exultei iam, n. 1283. Si cita il Missale romanum, Editio princeps (1570), a cura di M. Sodi – A. M. Triacca, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1998 (=MR (1570), d’ora in poi). "Questa è la vera Pasqua, in cui è ucciso il vero Agnello, che con il suo sangue consacra le case dei fedeli".

[15] Una ricchezza supplementare della facciata è data dalla presenza delle statue della Beata Vergine Maria e di san Giuseppe. Significativamente il tempio maggiore della città, oggi al centro dell’abitato, segnala e ’compendia’ in unità anche le principali altre chiese che attualmente sorgono in zone più periferiche: il santuario dell’Assunta, la nuova chiesa di san Giuseppe e l’antico tempio dei ss. Pietro e Paolo. Ai lati esterni di mezza facciata si trovano collocate (dal 1781) due figure femminili, la cui presenza è altamente simbolica. Esse si riferiscono a Cristo e al Precursore: Maria Maddalena è l’eminente testimone della Pasqua, e santa Elisabetta è la madre di Giovanni Battista. (Gli originali –mutili– sono conservati nella cappella della Pentecoste).