La figura di san Giovanni Battista nel tempio maggiore di Morbegno a lui dedicato

Introduzione

I messaggi generati dall’intreccio ’Arte e Fede’ vengono codificati, abitualmente, col registro della narratività figurativa. È il procedimento che agevola –mediato dalla fruizione visiva– il rimando ai temi dottrinali e ai contenuti della memoria culturale. Tuttavia, quale ars variante o complementare della organizzazione di densi messaggi di fede, si pone l’impiego di codici alternativi della comunicazione (parola, luce, strategie dell’uso spaziale…). Si tratta di una ars subtilior: con calibratura di significanti si può renderla atta ad annunciare autonomamente dei messaggi, oppure a concorrere a integrare–armonizzare–potenziare con sapienza un insieme di elementi pittorici o plastici, per ottenere più raffinati e persuasivi impasti retorici. I colori dell’arte non sono solo quelli attinti alla tavolozza o prodotti dallo scalpello, e le potenzialità di eloquenza perfezionano quelle già offerte dalla dispositivo architettonica e dalla modellatura plastica.

Questa premessa è necessaria a giustificazione della presente indagine, in parte un poco insolita [1]. Infatti intenzionalmente si preoccuperà di integrare nella interpretazione dell’edificio sacro –prendendoli in specifica considerazione– i contenuti della verbalizzazione affidata alla mediazione grafica dei cartigli che si riferiscono a san Giovanni Battista, ideati in tempi e situati in spazi differenti.
Nelle seguenti pagine viene privilegiata la lettura dei messaggi ’dottrinali [2]’ che scaturiscono dalle singole forme di figurazioni, ma in quanto configurano la significante ’forma totale’ del tempio, esito di una stratificazione sapientemente armonizzata.
Infatti, in continuità col tempio precedente [3], la nuova edificazione iniziata nel 1680 volle conservate la dedicazione a san Giovanni Battista della chiesa parrocchiale precedente ma, nello sviluppo dei lavori, si decise di inglobare, con un’evidenza a tutto campo, la caratteristica di santuario della reliquia della Santa Spina, ivi già collocata ma in posizione non eminente. Oggi, di primo acchito, non è facile che un comune visitatore riesca a percepire l’identità propria del grandioso edificio sacro; occorre superare l’apparente dicotomia tematica e ritrovare l’organicità di una sintesi quale è stata realizzata negli anni.

In particolare –ed è questo l’aspetto più nuovo dell’indagine– si vuole attirare l’attenzione sui cartigli che, all’interno, commentano quello evidenziato sulla maestosa facciata. Due si trovano inseriti nella festa cromatica dell’affresco del presbiterio (1–2) [4]. Quattro sono al centro della navata e ad essi spetta il primato contenutistico e cronologico (3–6); e altri otto sopravvengono a fregiare la fascia dipinta che percorre tutte le pareti sotto il cornicione (7–14). Questo corpus di realizzazioni rischia di apparire mero elemento decorativo, una catena così poco vistosa da passare inosservata; eppure l’intenzionalità sottesavi concorre in modo decisivo a definire l’unità bipolare che caratterizza il tempio stesso. Si tratta, perlopiù, di citazioni che, utilizzando l’Antico Testamento, propongono un cumulo di connotati circa la figura del Santo dedicatario nella sua relazione a Cristo Agnello pasquale [5].


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note

[1] Insolita, in effetti, è soltanto la prospettiva di osservazione, in quanto mira ad inglobare entro una lettura complessiva vari elementi ’minori’ che rischiano di sfuggire, e intende dare proporzionato rilievo anche a particolari che una visione puramente estetica può reputare privi di interesse.
Per quanto riguarda la storia dell’evoluzione del tempio e l’analisi delle sue opere d’arte, esiste già una dotta documentazione ed un’abbondante letteratura. In particolare, si rimanda alla ricca Antologia tratta da ’Le vie del Bene’ (1926–2001) e confluita nel volume a cura di G. PEROTTI, Scritti d’arte su Morbegno e la Valtellina. Un altro opuscolo ricco di documentazione, redatto a più voci al termine dei restauri della facciata, al titolo Christo Deo et Praecursori, apparve come supplemento a ’Le vie del Bene’ nel maggio 2004. Un ulteriore originale recente tipo di approccio in: E. LAINI, Passeggiate a Morbegno. Una guida, Morbegno, Città di Morbegno–Ad Fontes, 2009, pp. 2–19.

[2] Con ciò si dichiara il limite imposto all’indagine, che prescinde dalla rassegna analitica di altre ricchezze insite negli spazi delle cappelle e degli altari, con varie dedicazioni, che rimandano a singole storie di patronati e di orizzonti di spiritualità.

[3] L’erezione del ’vecchio San Giovanni’ risaliva all’1517 e assumeva il ruolo di chiesa parrocchiale nel 1559, in sostituzione della chiesa di San Pietro che dovette essere affidata ai Calvinisti. Consacrato da mons. Archinti nel 1615, ospitò il culto sacro fino al 1690 circa.

[4] Per facilitarne il reperimento le scritte sono state numerate secondo l’ordine espositivo che le commenta, e una tavola indicherà la loro esatta collocazione nel tempio.

[5] Nei nostri templi l’uso di far interagire parole della Sacra Scrittura con immagini o con loro riferimenti (metodo preso a prestito principalmente dalla Liturgia) è in armonia con una tradizione esegetica antica, nutrita da un profondo ’sentire’ ecclesiale. Si basa sulla certezza di fede dell’unità della Storia della salvezza, documentata dalla totalità della Bibbia (A.T. e N.T.). Sono pertanto autorizzate delle ’riletture’ nelle quali è intravvisto un surplus nei confronti del senso storico e letterale delle affermazioni citate. Tali trasposizioni non tutte e sempre hanno lo stesso valore teologico, ma vengono riscattate entro totalità significanti.