Frammenti di musica.
Testimonianze di canto medievale nell’Archivio di Stato di Sondrio (secoli XI–XIV)

1. Antifonario dell’Ufficio (sec. XI)



Orizzonti: dall’ ‘arca del cuore’ alle ‘codificazioni della memoria’ (secoli X–XI)

Gli antichi codici liturgico–musicali sono i testimoni di una orchestrazione accurata della preghiera della Chiesa. Progetto –più che sussidio– per una azione coinvolgente della carne umana che vibra in vocalità orante, capace di denotazione semantica, di connotazione evocativa, di gestualità oblativa, di compromissione affettiva. Il primato appartiene alla densità biblica del Logos della creazione e della rivelazione divina: ma esso, seminato nelle Scritture, è interpellanza e dialogo: germinando da terreni antropologici divinamente seminati, nuove parole si coniugano con i riti di una Liturgia che è scambio colloquiale, movimento di danza, dialogo d’Alleanza traente il più intimo impulso da un ‘cuore a cuore’.
Il canto liturgico nasceva così come un’etica e una estetica del sensibile atte a proclamare la verità, a ridirla nella lode della creazione redenta, a sussidiare l’esperienza dell’incontro di fede impastandola di santa emozione, a sorreggere i voli della speranza che si protende alla pienezza.

La comunità credente, nella sua corporeità, costituiva il codice vivo, storico custode dei linguaggi della Pentecoste. Erano le sue membra (un tessuto di corpo che respira e spira) a vibrare esprimendo relazioni di amore. E i cantori –investiti di un vero e proprio ministero– erano custodi di tali gesti sonori, e loro araldi. Lo scritto successivo, sulle membrane tratte da animali, sarebbe stato –riflesso di questa originaria esperienza– uno dei sussidi della memoria cristiana, chiamata ad essere ‘memoriale’ vivo per l’oggi ed il domani.

Vennero allora (dopo il primi libelli) i codici liturgici. Per fissare i testi letterari si utilizzarono vari moduli grafici, prima di adottare come fondamentale la minuscola carolina, pur caratterizzata da numerose varianti.
Per la tradizione grafica dei suoni, ogni centro ecclesiastico/culturale forgiò una propria grafia. La profonda differenziazione locale che si determinò, fu data da più fattori oltre a quello cronologico. Dopo l’anno 800 circa, i testi destinati al canto cominciarono ad essere localmente corredati, in vista della comunicazione sonora, con elementi diversamente configurati (a punti, ad accenti, a piccoli tratti lineari…), detti neumi. Essi indicavano, in un modo approssimativo, il movimento della melodia ed evidenziavano, a volte, degli aspetti dinamici per l’esecuzione (scorrevolezza, suono trattenuto, leggerezza...). Dal primo stadio di scrittura di neumi inseriti in campo aperto (adiastematica), si passerà gradualmente a sistemi più perfezionati: la tappa intermedia è quella di una diastemazia ‘imperfetta’, ove mancano ancora linee e chiavi, ma i neumi sono disposti ad altezze diverse; e si nota pure il perfezionamento delle forme neumatiche.
Comunque, a questo stadio, la notazione musicale non poteva essere letta se non da chi già conosceva a memoria le melodie, apprese per trasmissione orale e familiarità d’esercizio.
Il codice musicale non serviva al maestro cantore (e tanto meno ai coristi). Adempiva piuttosto una funzione ‘simbolica’; donava visibilità a vibrazioni impalpabili, quasi captando la loro fugace scorrevolezza sonora. Le membrane custodivano e tramandavano un repertorio sentito quale thesaurus: codificazione –anche come strategia di legittimazione politica– di un patrimonio che proveniva da lontano e idealizzato come paradigmatico, garantito dai carismi della cristianità romana (o dalla romanità cristiana), seppure aperto ad elementi di devota creatività locale; insomma: piattaforma identificativa per una trasmissione e consegna ad un lontano futuro. Il codice attestava pure il principio della dignità estetica del colloquiare con Dio, e spesso era anche indice di una nobile ricchezza comunitaria. Dal punto di vista funzionale, era un’arca di richiamo per la memoria dei brani e per la loro corretta successione (essendo qualche migliaio).
Varia fu la natura tipologica degli antichi codici musicali liturgici, così come richiedevano le celebrazioni della Chiesa di cui custodivano i testi, propri o comuni. Generalmente raggruppavano i materiali di settori rituali; talora sono compilati in relazione al ministero degli esecutori: schola cantorum o solista.


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Descrizione

Antifonario dell’ufficio

ASSo, Pergamene sciolte dell’Archivio notarile, n. 326 (lato pelo).


Archivio di Stato di Sondrio, Pergamene dell’Archivio notarile, n. 326.
Frammento membranaceo, mm. 190 x 130 (pagina mutila nella parte superiore e in quella inferiore, leggibile sia al recto sia al verso).
Scrittura carolina. Diastemazia imperfetta, con neumi in campo aperto: notazione mettense–comasca (il testo a piena pagina, già predisposto con la spaziatura necessaria a ricevere la scrittura neumatica, è stilato con tratti meno eleganti in confronto a quelli di mano del notatore).
Inchiostro bruno per il testo, nero per i neumi. Capilettera e indicazioni rubricali in inchiostro rosso. Si rileva la presenza di un capolettera vergato in inchiostro bruno con decori in inchiostro rosso, giallo e bruno: «O (gloriosa)».
Il frammento costituì l’indorsatura di una legatura, come desumibile dalle pieghe e dalla zona scura attestante l’uso di colle. Venne staccato da un protocollo di Romano Giovanni Battista fu Gottardo, notaio di Bormio (vol. 1929, 1584-1586). Stato di conservazione cattivo; pergamena restaurata (Sassi, 1995).


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Contenuti

Il primo lacerto proviene da un Antifonario dell’Ufficio (Liturgia delle ore). Questo tipo di codice, nel rito romano, contiene le melodie delle antifone e dei responsori. Vi si possono trovare anche melodie integrali per il salmo invitatorio. Dei salmi, collegati con le rispettive antifone, viene segnalato solamente l’incipit testuale e viene notata la differentia (la più appropriata cadenza finale in vista della reintonazione dell’antifona). Raramente si riscontrano, come nel nostro caso, anche degli inni e perlopiù con il solo incipit o la sola prima strofa.
Siamo di fronte ad una delle più antiche testimonianze litugico–musicali conservate nella nostra diocesi. L’arcaicità del frammento è confermata, oltre che dagli aspetti materiali e grafici, anche dal tipo di contenuto calendariale, assai sobrio. Al recto è presente parte dell’ufficio di San Vincenzo (22 gennaio). Il verso contiene brani dell’ufficio in secundo (nell’ottava) di Santa Agnese (28 gennaio) e, alla terza riga, la data IIII Nonas segnala il vespro della festa della Purificazione di Maria (2 febbraio). Di quest’ora liturgica sono riportati solo gli incipit delle antifone (conosciute a memoria) e già utilizzate nell’Ottava del Natale. L’inno invece, tipico di questa celebrazione, viene messo in evidenza mediante capolettera decorato. E lo si ritrova nella sua versione arcaica (cfr. femina che sarà poi mutato in domina, come titolo giudicato più ‘degno’ della Vergine). È la seconda sezione di una composizione del secolo VII–VIII (Quem terra, pontus, aethera) di autore ignoto, ma spesso attribuita a Venanzio Fortunato.


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Esecuzione

Si presentano all’ascolto tre melodie, relative al frammento.
Delle due antifone, il cui testo è carico di evocazioni bibliche, nel codice è semplicemente segnalato l’inizio. Seguirà una parte dell’inno citato, la cui prima strofa in notazione è leggibile in fondo al lacerto. Il modulo metrico è quello degli inni di Ambrogio, che furono ispiratori della possibilità di una feconda sintesi di pensiero, di affettività, di coinvolgimento popolare. Questo materiale si presenta particolarmente adatto per inaugurare la nostra manifestazione, in un santuario mariano.


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Testi

Prima antifona (CAO 4441)

Quando natus es <ineffabiliter ex Virgine tunc impletae sunt scripturae. Sicut pluvia in vellus descendisti ut salvum faceres genus humanum; te laudamus, Deus noster>.

Quando nascesti dalla Vergine in un modo che non può essere descritto giunsero a compimento le profezie della Scrittura Sacra. Tu discendesti come rugiada sul vello per donare salvezza all’umanità. Ti lodiamo, o Dio nostro.

Seconda antifona (CAO 2941)

Germinavit <radix Jesse, orta est stella ex Iacob: Virgo peperit Salvatorem; te laudamus, Deus noster>.

La radice di Jesse produsse il germoglio; all’orizzonte è spuntata la stella di Giacobbe: la Vergine ha partorito il Salvatore. Ti lodiamo, o nostro Dio.

Inno (CAO 8257)

O gloriosa femina, excelsa super sidera, qui te creavit provide lactas sacrato ubere.
Quod Eva tristis abstulit tu reddis almo germine; intrent ut astra flebiles, caeli <recludis cardines.
Tu Regis alti ianua et porta lucis fulgida: vitam datam per Virginem gentes redemptae, plaudite>.

Donna gloriosa, la cui altezza supera quella degli astri, col tuo sacro seno provvedi ad allattare colui è il tuo Creatore.
Eva, la peccatrice, aveva distrutto la vita; tu, affinché quelli che piangono assurgano alle stelle, prepari benigna la via.
Tu, ingresso per il Re celeste, sei porta sfolgorante di luce. Scrosci di applausi, o genti riscattate, salutino la vita che la Vergine vi ha recato.


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