Frammenti di musica.
Testimonianze di canto medievale nell’Archivio di Stato di Sondrio (secoli XI–XIV)

Significato e intento dell’incontro.

Per comprendere la natura e la portata dei frammenti liturgici è necessario accennare ad elementi della storia dei codici, che contenevano le preghiere e i canti per la celebrazione dei riti cristiani. La storia viva conosce dinamiche che postulano elementi di novità e di abbandono. Nel caso di libri liturgici pergamenacei, i due momenti possono convivere in molte forme.

Le cause della defunzionalizzazione che provocarono l’abbandono d’uso sono molteplici e di varia natura. Si richiamano qui le più evidenti.

Altre cause più numerose e frequenti consistono principalmente:

Tuttavia il fenomeno veramente ‘rivoluzionario’, che mutò la prospettiva in relazione all’abbandono degli antichi manoscritti va individuato nel programma di riforma liturgica indotta dall’evento del concilio tridentino (terminato nel 1563), la cui primaria preoccupazione era quella di reprimere abusi rituali e deviazioni dottrinali. Di fatto, però, questa pur necessaria revisione sfociò in un piano centralistico di uniformità secondo le decisioni dell’autorità romana. Con l’imposizione dei libri tipici rinnovati – anche se non costrittiva per le aree liturgiche in possesso di dispositivi rituali almeno bicentenari – di fatto i codici antichi vennero abbandonati: il contenuto canonico delle pagine aveva ormai il suo surrogato negli esemplari stampati. A Como i testi della tradizione liturgica locale ebbero la possibilità di una edizione a stampa con il Breviarium Patriarchinum nuncupatum secundum usum Ecclesiae Comensis (1585) e la Instructio seu Canon ad dicendas Missas servato ritu Comensis Ecclesiae iuxta novam reformationem (pure del 1585); ma tale autonomia già autorizzata non durò nemmeno per un ventennio, a causa della posizione giurisdizionale della diocesi legata al patriarcato di Aquileia il quale decise l’adesione alla linea romana.

I libri antichi su pergamena furono sostituiti, come già avveniva usualmente per le suddette motivazioni nella prassi delle Chiese. Ma soprattutto perché erano giuridicamente superati e il loro uso effettivo avrebbe persino costituito una forma di arbitrio e di insubordinazione. Fu avvertito pertanto come lecito il loro riuso, per utilizzi pratici in virtù della loro materialità o per vendita. E i notai, che di membrane necessitavano nell’esercizio della loro professione (soprattutto per il confezionamento dei protocolli di imbreviature), furono certamente tra i principali acquirenti; oppure quelle membrane funsero da ‘moneta di pagamento’ per i loro servizi prestati alle chiese locali in qualità di professionisti della scrittura. Così alcuni di questi reimpieghi di pergamene, usciti dal contesto di utilizzo primario, sopravvissero, perché caratterizzati da un supporto non solo in grado di resistere allo scorrere del tempo, ma qualificante per una loro ‘rimessa in gioco’ nelle varie modalità di reimpiego. I codici pertanto furono smembrati. Le pagine, conservate perché coriacee, vennero riutilizzate per farne coperte flosce o rinforzi di angoli e dorsi; furono tagliate, talvolta cucite tra di loro, per raggiungere il formato desiderato per il nuovo uso o per avere uno spessore maggiore. Talvolta vi furono sovrascritte intestazioni o numeri di segnatura relativi alla nuova sede di riutilizzo. La defunzionalizzazione ormai corrispose allo smembramento dei codici, alla frammentazione che valorizzava soltanto l’elemento materico.

Anche in diocesi di Como, questo contesto determinò la dispersione di un patrimonio locale assai ricco. Infatti in diocesi, se è minimale il numero di codici conservati integri o quasi (almeno allo stato attuale delle conoscenze), di contro l’elevatissimo numero di frammenti fa intravvedere la dovizia numerica e la varietà tipologica di codici esistenti e utilizzati per il culto. Un fatto di rilievo per la provvisione di codici, a partire dal XV secolo per le terre valtellinesi, fu la frammentazione delle pievi in parrocchie, che determinò la moltiplicazione di codici copiati da vari archetipi e in varie sedi: ad esempio il processionale–rituale di Postalesio, oggi conservato presso la Biblioteca Trivulziana di Milano (n. 364), che fu probabilmente copiato da un analogo codice conservato nell’antica pievana di Berbenno, a sua volta oggi attestato da alcuni frammenti custoditi nell’archivio parrocchiale. In altri casi i codici erano stati acquistati, come accadde a Delebio in seguito all’ordine della visita pastorale decretata da Gerardo Landriani (1437–1445) avvenuta nel febbraio 1445: «Item et quod emant pro ipsa ecclesia unum librum sacramentorum» (Canobbio, La visita pastorale di Gerardo Landriani alla diocesi di Como, Milano 2001, p. 138).

In sintesi: talvolta la storia sembra avere un flusso continuo; invece, a meglio riflettere, appare evidente la mutevolezza della memoria culturale dei tempi. Essa non si perpetua automaticamente ma continua ad essere tràdita, comunicata, riplasmata, adattata, rivitalizzata. Individui e culture la costruiscono interattivamente attraverso la ripetizione della ritualità sociale, la comunicazione linguistica, la ricchezza dei linguaggi non verbali (immagini, suoni, luoghi…). La storia non è una superficie liscia, ma è fatta di fratture, di “sganciamenti” (Michel Foucault): ogni frattura – come sottolinea Krzysztof Pomian – destituisce una certa classe di prodotti dalla loro funzione epocale e ne causa il decadimento a prodotto di scarto, l’abbandono e l’oblio.
Tuttavia la defunzionalizzazione dei codici può non essere, proprio in grazia ai reimpieghi, l’ultimo stadio della loro storia di trasmissione: con i frammenti continuano a vivere: tracce involontarie, residui ‘accidentali’ di memorie culturali. Tanto che in anni recenti è emersa la consapevolezza del valore di queste tracce; è in corso una riappropriazione del loro senso oltre alla materia, con il riconoscimento della ‘sostanza’ da essi tramandata, con la lettura in filigrana della memoria culturale che esse conservano.

Ed è questo il significato e l’intento della serata.
Essa contribuisce a ‘ridare senso’ a quattro frammenti che un tempo furono parte di antichi codici liturgici, ora conservati all’Archivio di Stato di Sondrio tra le pergamene di reimpiego. Apre qualche spiraglio sul vissuto da loro testimoniato e ridona risonanza a voci e messaggi.


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