Arte e Fede

Dalla parte delle committenza

Prospettive per una lettura sociale e devozionale dell’immagine


Sommario

L’intervento intende approfondire un aspetto della produzione dell’arte sacra, con particolare riferimento al basso medioevo, partendo dalla constatazione che, mentre in generale nella ricerca sta crescendo l’insistenza sui contesti sociali, culturali o antropologici e sulle committenze, i contributi relativi all’area valtellinese si sono articolati fino a tempi molto recenti soprattutto nel reperimento di dati informativi nuovi e nell’interpretazione stilistica.
Il linguaggio dei contratti notarili stipulati per il compimento delle opere, tuttavia, nel XV e XVI secolo, conferisce enfasi soprattutto alle figure dei committenti, che si rivolgono in modi nettamente dispositivi agli artisti; i cartigli che corredano gli affreschi menzionano i primi più spesso che i secondi. Le comunità locali vengono affiancate dal sacerdote, che però solo dal tardo Cinquecento, mutando i rapporti gerarchici e patrimoniali tra fedeli e clero, assumerà un inedito ruolo–guida nelle realizzazioni d’arte sacra. Tale configurazione, dunque, invita a portare maggiore attenzione sugli interessi e le aspirazioni di laici di varia estrazione sociale, comuni e contrade, confraternite che tali realizzazioni hanno voluto, sovvenzionato e guidato.
Ad emergere è l’intenzione votiva, nella logica di un’esperienza religiosa in cui centrale è la potenza del santo o della divinità, ringraziati con un’immagine dai fedeli dopo essere stati esauditi, resi propizi con un’invocazione o un segno graffito sul dipinto. Affiora, ancora, l’ispirazione devozionale, a proposito di figurazioni, come quella della sofferenza del redentore, capaci in questa età di forte coinvolgimento emotivo. Incisive sono anche le tensioni socio–politiche e la volontà di esibire status e ricchezza nello spazio sacro da parte di famiglie eminenti, comunità e gruppi interni alle comunità in competizione. Di chiese e ancone volute dalle comunità è a volte esplicitata la funzione di rivaleggiare con le opere visibili nei luoghi vicini. Cicli dipinti o scolpiti nelle chiese di borghi e contrade, croci astili con le loro placche, in cui i santi compaiono in qualità di titolari delle chiese vicine e patroni delle località circostanti, sembrano manifestare e regolare relazioni territoriali a volte aspre.
In ogni caso non sarebbe proficuo, come nell’uso storiografico che si sta affermando, estrapolare l’orgoglio locale e il conflitto sociale dai significati sacri. Il simbolo è polisemico e la stessa immagine (come la figura di un santo) può esprimere significati devozionali, propiziatori e identitari. L’ordine spaziale e l’ordine sovrannaturale vengono così strettamente connessi. In casi come quello della Valfurva, dove le intitolazioni delle chiese andranno a identificare i villaggi in cui esse sorgono fino a sostituire, nel corso dell’età moderna, i più antichi toponimi, gli affreschi e le ancone che attualizzano la presenza degli stessi santi nei vari oratori della valle dispiegano con la massima chiarezza una geografia sacra, di cui tanto i luoghi, quanto gli edifici di culto e i santi tutelari sono componenti organiche.

Riferimenti bibliografici

Gli esempi cui si è fatto riferimento sono attinti dalle situazioni più ampiamente illustrate dal relatore in Divenire comunità. Comuni rurali, poteri locali, identità sociali e territoriali in Valtellina e nella montagna lombarda nel tardo medioevo, Milano 2006, pp. 54–55, 487, 611; Le origini di una chiesa di contrada: devozione e identità locale, in La chiesa della Santissima Trinità di Teregua in Valfurva. Storia, arte, devozione, restauro, Milano 2011, pp. 17–97.
Circa uno dei casi presentati, l’ancona della chiesa di S. Matteo di Valle (Morbegno), v. recentemente anche G. VIRGILIO, Aggiornamenti sull’attività di Giovanni Ambrogio De Donati in Valtellina, in «Arte lombarda», 149 (2007), pp. 72–74, che tuttavia non propone un’analisi nuova del contesto di committenza, seguita da S. COPPA, nella recensione in «Bollettino della Società storica valtellinese», 61 (2008), pp. 312–313. V. anche F. PALAZZI TRIVELLI, Le ancone di Oga alla luce di un documento del 1538, in «Bollettino della Società storica valtellinese», 38 (1985), pp. 74–85; O. ZASTROW, Nuove prospettive per lo studio dell’oreficeria liturgica in provincia di Sondrio. Croci astili medievali in alta Valtellina, in «Bollettino storico alta Valtellina», 2 (1999), pp. 85–112; F. PRANDI, Gli affreschi di Sigismondo de Magistris nella chiesa della Madonna del Carmine di Montagna, in «Bollettino della Società storica valtellinese», 54 (2001), pp. 101–122.
Prospettive feconde sono state aperte, recentemente, da S. XERES, Istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa in Valtellina tra Quattro e Cinquecento, in Il Rinascimento in Valtellina e Valchiavenna. Contributi di storia sociale, Sondrio 1999, pp. 61–100; P. DAMIANI, L’oratorio dei confratelli di Civo. Religiosità popolare ed arte in Valtellina fra Quattro e Cinquecento, Sondrio 2003; F. RAINOLDI, Il santuario della Beata Vergine della Neve e di San Carlo in Chiuro, Chiuro[–Morbegno 2009]; In confidenza col sacro. Statue vestite al centro delle Alpi, a cura di F. BORMETTI, Como–Sondrio 2011.



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