Figure di comunità

Presentazione

Una serie di problemi si pone oggi all’attenzione dello storico: assumere come oggetto della sua analisi i quadri formalizzati dal diritto, nel nostro caso i comuni rurali, oppure smontarli, per osservarli dall’interno e vedervi all’opera individui, gruppi di parentela e di vicinato; assegnare il ruolo di protagonista del proprio racconto alla comunità e ad altri soggetti istituzionali o sociali in quanto attori collettivi o invece decostruirli, facendone semplicemente il campo aperto in cui singoli e gruppi dispiegano la propria iniziativa; concentrarsi sulle relazioni interpersonali o sulle identità; trattare queste ultime in modo forte o debole.

Uno degli scopi della presente ricerca è riportare tutte queste alternative nel dibattito vivo dell’età studiata. La fonte attraverso la quale si è tentata la ricostruzione del confronto politico e del suo contesto è quella notarile, in particolare i verbali delle assemblee delle comunità, esaminati però non come testi, ma come prodotti grafici, come documenti non solo da leggere, ma anche da guardare. Per questo si è elaborato un testo in formato digitale, associandogli le riproduzioni degli atti dei notai mediante una serie di collegamenti ipertestuali, risorsa che l’edizione su supporto cartaceo non avrebbe offerto.

È noto, infatti, come in particolare dal XII secolo in Europa la pagina manoscritta, nei libri su cui lavoravano le nuove figure intellettuali, venne ad accompagnare lo sforzo di concettualizzazione e di memorizzazione compiuto dal lettore, grazie ad una più chiara delimitazione delle porzioni del testo: la divisione in capitoli, l’assegnazione a ciascuno di essi di un titolo, magari vergato in inchiostro rosso, la decorazione delle loro lettere iniziali, i segni di paragrafo scandivano l’argomentazione e ne segnalavano gli snodi salienti. È stato inoltre identificato da più studiosi un elemento comune fra gli schemi (ruote, alberi, scale e via dicendo) che nel medioevo affiancavano e illustravano il testo sulle pagine dei codici, gerarchizzando vizi e virtù, identificando le parti del sapere enciclopedico o articolando i passaggi di un sillogismo, le immagini dipinte che riprendevano i medesimi modelli, le figure che aiutavano la memorizzazione, sempre allo scopo di dare sostanza a realtà non percepibili dai sensi, stabilire rapporti fra entità astratte, ordinare oggetti e concetti entro griglie tassonomiche. Invece non si è forse considerato appieno in quale misura anche il lavoro dei notai abbia partecipato di tale pratica visuale e diagrammatica di organizzazione del pensiero. Invece, pur nella diversità di obiettivi ed esiti, la divisione del testo in diverse porzioni e la riorganizzazione di parti del testo in forma schematica (grazie a liste, graffe e riquadri) sono essenziali anche nei loro documenti, al fine di illustrare le relazioni sociali, le gerarchie fra gli individui, le identità di gruppo, di riconoscere i tratti connotanti delle diverse esperienze politiche locali.

È risaputo, poi, il percorso delle cifre indo–arabe e del metodo di calcolo posizionale, che si diffusero in Italia fra XIII e XIV secolo. Ancora una volta, meriterebbe un maggiore approfondimento l’incontro fra la scrittura notarile e quella contabile, che dovette far intravedere anche agli estensori della documentazione che qui interessa le opportunità espressive offerte dalla specializzazione spaziale della pagina e dal «mettere in colonna» porzioni di testo.

Tali modelli, recepiti in modo sperimentale e creativo in sede locale, indussero, specialmente nel corso del XV secolo, una specifica e nuova attitudine dei notai a pensare i rapporti politici e le appartenenze sociali sulla e attraverso la pagina scritta, non considerando la quale lo storico difficilmente potrebbe spiegare la trasformazione degli stessi funzionamenti concreti delle istituzioni comunitarie e la messa a punto del modello corporativo che li legittimava. Elenchi di consiglieri e uomini in forma di lista e dalla struttura tabulare servirono infatti a identificare con inedita nitidezza concettuale le parti (le parentele, le contrade o, nel caso delle università di valle, gli stessi comuni) e a ordinarle nella superiore unità della comunità, a fare di quest’ultima più una sintesi articolata di singoli elementi che un tutto indistinto, ad illustrare le forme del coordinamento e della mediazione politica nelle più estese federazioni rurali emancipatesi dal controllo urbano.

Grazie al bagaglio dei loro saperi tecnici, messi a disposizione delle comunità che li ingaggiavano, i notai concorsero insomma alla riflessione sviluppatasi localmente attorno ad aspetti cruciali dell’esperienza della convivenza organizzata: la fisionomia dei ceti e dei gruppi definiti da consanguineità, co–residenza, genere o età, il rapporto fra tali gruppi, l’individuo e la collettività, il riconoscimento pubblico che meritava la reputazione del singolo presso i suoi vicini, il compromesso che era opportuno e possibile stabilire fra le unità istituzionali definite giuridicamente e i segmenti sociali che le costituivano. Un’analisi della cultura politica contestualizzata nello spazio e nel tempo svela così l’imponente sforzo di elaborazione intellettuale che ha animato pure una periferia dell’Italia del Rinascimento: l’alta Lombardia rurale, dove furono prodotte le fonti in esame. E mostra come alcuni dei fenomeni che la storiografia pone da tempo al centro del mutamento politico nella Penisola alla fine del medioevo (l’identificazione via via più netta dell’eminenza sociale, la corporativizzazione delle comunità urbane e rurali), siano stati accompagnati da un dibattito assai ampio, che ha visto si può dire in ogni borgo e in ogni villaggio la formulazione di proposte innovative e peculiari, il loro aggiornamento, vivi scontri d’opinione e ripensamenti che i notai, fra gli altri, hanno saputo osservare, esprimere e proporre in modo persuasivo nelle forme grafiche dei loro documenti.

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