Passeggiate morbegnesi

Alla ricerca di testimonianze pittoriche settecentesche nella chiesa della Beata Vergine Assunta e di San Lorenzo, a Morbegno

La chiesa dell’Assunta o “il santuario”, come è più comunemente nominata, sorge nella periferia est del paese e val bene una visita.
Momentaneamente messe da parte le tracce rinascimentali, in questa passeggiata si vogliono seguire le testimonianze pittoriche settecentesche, in bilico tra il gusto tardo barocco e la pregevole leggerezza rococò. Ne sono interpreti artisti lombardi e locali quali, ad esempio, Pietro Bianchi detto “il Bustino” e Gian Pietro Romegialli, attivi anche in altri edifici cittadini.

Il presbiterio

L’attenzione di chi entra in chiesa è subito attratta dall’atmosfera dorata, generata dalla cinquecentesca ancona lignea; tutt’intorno, la policromia degli affreschi è soffusamente illuminata dalle poche finestre.
Gli affreschi della volta del presbiterio, attribuiti a Pietro Bianchi che li avrebbe eseguiti tra il 1703 ed il 1706, celebrano la “storia” della Vergine: la Natività della Vergine è rappresentata nel medaglione di sinistra, sovrastata da una stella con la scritta latina «provocat orta solem» (è la stella che, appena appare in cielo, fa sorgere il sole); la Transitio Virginis, cioè il Assunzione suo passaggio dalla vita terrena a quella ultraterrena, è nel medaglione di destra, sovrastato dalla luna piena con la scritta «et latet et lucet» (ora si nasconde, ora splende); al centro della volta è dipinta l’Assunzione, che è il momento trionfale al quale questa chiesa è dedicata.
Maria è accostata ad una stella, alla luna, ed al sole, che si può notare sull’arcone trionfale più interno dove è anche la scritta riferibile alla Vergine: «aemula solis» (sempre più simile al sole).

I motivi architettonici dipinti con effetto di “trompe l’oeil” sulle pareti del presbiterio sono stati eseguiti nel 1768 dal quadraturista milanese Giuseppe Porro. Costui, milanese di nascita, fu attivo a Morbegno nella seconda metà del Settecento anche nella quadreria del palazzo dei Malacrida, dove eseguì quadrature e paesaggi.

Martirio di san Lorenzo

Sulla parete destra del presbiterio è dipinta la scena del Martirio di san Lorenzo; dipinto attribuito a Pietro Bianchi che ci mostra il martirio in atto ed il fuoco che arde sotto la graticola. Lo richiama anche la scritta tratta dall’Antico Testamento, Levitico 6,2: «Ignis autem in altari semper ardebit» (Il fuoco dell’altare sarà tenuto acceso).
Pietro Bianchi e la sua bottega sono molto attivi a Morbegno durante i primi trenta anni del XVIII secolo: inizialmente qui nella chiesa della Beata Vergine Assunta e di San Lorenzo, poi forse nella cappella del Rosario nella chiesa di Sant’Antonio, quindi nella chiesa di San Pietro e nella parrocchiale di San Giovanni Battista.

Gli arconi che scandiscono il presbiterio portano 10 medaglioni dipinti, con volti di santi, tra i quali san Giovanni Battista che abbraccia la croce, san Francesco d’Assisi nel suo saio marrone, san Giuseppe con il giglio fiorito.
Sui pilastri compaiono le figure, dipinte come fossero statue, di quattro re divenuti santi, il cui nome compare sul piedistallo: il re mago Gaspare, che adorò il Bambino nella capanna di Betlemme, Enrico II imperatore (972–1024), Leopoldo d’Austria detto il Buono (1073–1136) e Ludovico o Luigi IX di Francia (1214– 1270).
Ludovico porta sulle spalle un manto azzurro con gigli oro, colore e segno della Francia; Gaspare, uno dei re magi, indossa un turbante e porta in mano un bruciaprofumi di foggia orientale; Enrico indossa un’elegantissima corona ornata di perle e mostra il bastone del comando; Leopoldo è raffigurato come un giovane dal manto azzurro e senza corona, forse perché rifiutò la corona imperiale.

Superate le balaustre, ci si trova nella campata più interna

L’organo e la cantoria sono inseriti in un composito ciclo pittorico parietale attribuito a Pietro Bianchi, avente per tema lo Sposalizio della Vergine a sinistra, e l’Immacolata che schiaccia la testa al serpente, a destra, eseguiti a monocromo nella fascia inferiore; nella fascia superiore, a sinistra, in corrispondenza dello Sposalizio della Vergine, un elegantissimo re Salomone ed a destra, il re David. La frase riportata in corrispondenza di Salomone è tratta dal Cantico dei cantici: «de Libano sponsa» («Vieni con me dal Libano, o sposa»). Salomone tiene in mano una penna bianca con la quale ha appena scritto su una tavola retta da un putto: «ab aeterno ordinata sum. Proverbi 8» («dall’eterno sono stata costituita. Dal libro dei Proverbi 8») mentre David regge una tavola con la scritta: «quaeretur peccatum illius et non invenietur. Psal. 9,36» («Si cercherà il suo peccato, ma non si troverà») con allusione profetica alla immacolata concezione di Maria.

Sulla parete di fronte è collocata un’edicola che contiene la statua di Sant’Anna con la Vergine bambina, a sinistra; quella di Santa Lucia, a destra.

In alto, ai lati della finestra, compaiono gli affreschi attribuiti a Pietro Bianchi, che rappresentano due temi tratti dall’Antico testamento: a sinistra Mosè dinnanzi al roveto ardente, ed a destra il Sacrificio di Isacco. Il roveto che arde senza consumarsi è stato interpretato come allusione alla verginità di Maria che rimase integra prima, durante e dopo la divina maternità. Il tema del sacrificio di Isacco è un inno alla vita che Dio vuole per chi gli si affida anche nelle prove più dure e lo ama più delle realtà più care.

Sulla stessa parete di questa stessa campata corre un fregio attribuito a Pietro Bianchi, costituito da tre medaglioni con episodi della vita della Madonna: il tema del medaglione centrale è la Presentazione di Maria al tempio; ai lati i due medaglioni monocromi con, a sinistra, l’Annunciazione ed a destra il Congedo della Vergine dai genitori Gioacchino ed Anna.

Apoteosi della Confraternita L’affresco che ci sovrasta, nella volta di questa campata, celebra l’Apoteosi della Confraternita, uomini e donne, al cospetto della Vergine assunta. Tutto il ciclo è stato dipinto nel 1768: il morbegnese Gian Pietro Romegialli realizzò la scena centrale; il quadraturista milanese Giuseppe Porro – già autore delle finte architetture affrescate tutt’intorno all’ancona – dipinse le architetture prospettiche: colonne a fusto liscio e capitello ionico reggono una trabeazione spezzata e intervallata da due balaustre; vasi di terracotta, vuoti o riempiti di tralci verdi, poggiati sui ripiani, abbelliscono e muovono le linee di contorno che incorniciano la scena celeste. Su una balaustra gli angeli hanno appoggiato i loro strumenti, un violino ed una tuba, mentre volteggiano acrobaticamente controluce: uno indica l’Assunta che accoglie i confratelli, l’altro distende e mostra la tunica bianca dei disciplini. Un piccolo angelo regge, con ben espressa fatica, il bastone del priore; un altro svolge un flessuoso nastro rosso. Due spettatori, un anziano ed un giovane realisticamente veri, sono affacciati ad una balaustra; in modo diverso, ciascuno assiste, osserva e si emoziona davanti alla scena.

A Pietro Bianchi oppure ai collaboratori della sua bottega verrebbero assegnati anche i motivi decorativi dei quattro pilastri su cui è impiantata la cupola. Dalla parte del pulpito è raffigurato Bernardino da Siena vestito col saio francescano; lo sovrasta un cartiglio con la scritta: «Memento congregationis tue» intendendo qui quasi dare credibilità alla tradizione (tuttavia non documentata) che san Bernardino sia stato l’istitutore della confraternita locale dei Disciplini, nei primi decenni del Quattrocento.
Al vertice del pilastro gemello, che insieme introduce alla cappella di Sant’Anna, un medaglione contiene il ritratto di Adriano VI – papa dal 1522 al 1523 – che concesse privilegi alla confraternita dell’Assunta.
Di fronte, al vertice di due omologhi pilastri sono dipinti due medaglioni con i ritratti di due papi che, a loro volta, concessero privilegi alla confraternita dell’Assunta: a sinistra, Leone X (papa dal 1513 al 1521) e a destra il comasco Innocenzo XI (papa dal 1676 al 1689).
Essi introducono alla cappella della Beata Vergine Assunta, ancor più spesso detta cappella delle reliquie oppure cappella di San Prospero.
La denominazione di cappella delle reliquie è legata all’apertura di un vano sopra l’altare, destinato a contenere delle reliquie donate da un confratello nel 1614; tutto l’impianto dell’altare risale al 1617.
Trionfo delle virtù teologali tra schiere di santi Ai lati dell’altare, due telamoni per parte, eseguiti a monocromo ad imitazione del marmo, sorreggono una cornice marcapiano a linea mista, da cui parte la volta celeste. Il ciclo di affreschi è opera documentata di Pietro Bianchi, eseguita tra il 1703 ed il 1706. Nel catino absidale appare il Trionfo delle virtù teologali tra schiere di santi; personificate secondo le tradizionali convenzioni iconografiche, le tre virtù si librano in cielo attorniando san Prospero: elmo per il capo e torcia in mano. La Fede, al vertice di un ideale triangolo compositivo, regge il calice con l’ostia e lo solleva come fosse un faro luminoso; la Speranza è affiancata da un putto reggente un’ancora; la Carità nutre ed accoglie due piccoli. Tutt’intorno, schiere di santi tra i quali si possono riconoscere sant’Agata, che mostra su di un piatto le mammelle recise nel martirio; santa Lucia, che mostra gli occhi escissi dal carnefice; santa Caterina d’Alessandria, elegante e con il capo ornato da una principesca acconciatura.

Nel 1743, però, al centro vennero realizzati due settori: in quello inferiore fu collocata l’urna con il corpo di san Prospero, ch’era stata donata da un confratello nel 1676; nel settore superiore, venne collocata la preziosa statua lignea della Vergine con il Bambino, donata dal canonico Pietro Antonio Gianio, priore della confraternita. Questa statua, detta della Madonna Assunta, viene portata in processione il 15 agosto.
La denominazione dell’altare venne affidata alla targa collocata al culmine della cuspide spezzata della cornice, dove è scritto: «Hic ossa divi Prosperi ac plurium SS. Martirum reliquiae apostolico indultu sacrae huic aedi concessae asservantur» («Qui si conservano le ossa di san Prospero e di molti santi martiri, per concessione pontificia affidate a questo sacro tempio»).

La cupola

La sistemazione della cupola, così come ci appare, è dovuta alle maestranze ticinesi che intervennero sulle strutture cinquecentesche tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo. Tra il 1706 e il 1708, Giovanni Battista e Martino Adamo procedettero alla modificazione delle forme del tiburio ed alla ridipintura delle pareti esterne dell’ottagono, cancellando gli affreschi cinquecenteschi. I recenti restauri hanno rimosso le decorazioni del ‘700 dilavate e malridotte ed oggi vediamo gli intonaci rinascimentali reintegrati in sottotono nella parte bassa del tiburio; la decorazione settecentesca rimane, invece, nella parte più alta.
Nella fascia intermedia, dove è una serie modulare di tre archetti ciechi, nell’archetto centrale sono rimaste le decorazioni settecentesche, il cui motivo decorativo dominante è un vaso contenente fiori, diversi archetto per archetto, alludenti alle virtù di Maria.

All’interno, il catino della cupola è profondo e slanciato.
Gli autori del ciclo decorativo furono il pittore Giuseppe Brina di Bergamo – aiutato dal garzone Ignazio Zuccotto di Ponte in Valtellina– ed il quadraturista Giovanni Batista Pozzi di Porlezza. La loro collaborazione si concretizzò negli anni tra il 1709 ed il 1711.

Vergine che viene incoronata dalla Trinità Il ciclo decorativo generale, dopo un percorso pittorico e contenutistico ascensionale, si conclude con l’episodio della Vergine che viene incoronata dalla Trinità. La scena è preceduta e visivamente preparata da un coro di angeli disposti a cerchio, che tengono tra le mani spartiti musicali o suonano gli strumenti, e dalla spirale delle schiere celesti.
Sui quattro pennacchi di raccordo per la preparazione statica del tamburo, sono stati dipinti i Dottori della Chiesa d’Occidente: Gerolamo, accompagnato dall’inseparabile leone, tiene nella mano destra la pietra con cui si percuoteva il petto in atto penitenziale; Agostino accompagnato da un voluminoso libro evocante i suoi scritti; Ambrogio, in candido abito vescovile, è affiancato da un libro; Gregorio Magno, indossa la tiara papale ed è accompagnato dalla bianca colomba, simbolo della divina ispirazione.
Giuseppe Brina ha decorato il tamburo ottagonale con otto medaglioni monocromi nei toni del giallo ocra, intervallati da otto telamoni monocromi nei toni del viola; una lunga ghirlanda a fiori, foglie e frutti li unisce con le sue cadenzate spirali.
I temi degli otto medaglioni sono tratti dalla Genesi, dall’Esodo, dal I° e dal II° libro di Samuele.
Raccontano tappe importanti che rivelano la fedeltà di Dio nel guidare la storia come salvezza. Alcune di questi episodi hanno avuto una rilettura mariologica. Questi scorci di storia sacra vengono di seguito elencati in ordine cronologico secondo il testo biblico.
Il sacrificio di Noè dopo il diluvio (Gn 8, 18–21) è l’ episodio dipinto nel medaglione collocato in direzione della cappella di Sant’Anna. Narra di Noè che, uscito dall’arca, riunisce i suoi familiari attorno all’altare e celebra un rito sacrificale di ringraziamento a Dio, per la creazione che si rinnova dopo il diluvio e per la divina alleanza offerta all’umanità.
Abramo e l’apparizione di tre angeli alle Querce di Mamre (Gn 18, 1–15) è il secondo episodio, dipinto nel medaglione che segue andando in senso orario. Narra di tre angeli che compaiono ad Abramo, che li invita alla sua mensa. Uno dei tre predice al centenario Abramo che la sua sposa Sara, nonostante la veneranda età partorirà un figlio. Un anno dopo nascerà un figlio maschio che sarà chiamato Isacco.
Giacobbe carpisce la benedizione di Isacco (Gn 27, 1–29) è la scena collocata nel medaglione posto in direzione dell’ingresso della chiesa. Il vecchio Isacco convoca nella sua tenda il figlio primogenito per trasmettergli i privilegi del capofamiglia. Ma la madre, Rebecca, che vediamo aspettare dietro la tenda, gli manda il suo figlio prediletto Giacobbe che inganna il padre e ne ottiene la benedizione.
Rachele, figlia di Labano, al pozzo per abbeverare le pecore (Gn 29, 9–14) è la scena che segue, andando in senso orario verso la cappella della Beata Vergine Assunta. L’episodio narra di Giacobbe che incontra la cugina Rachele e se ne innamora con tanta forza da riuscire a spostare la grossa pietra che chiude il pozzo.
Giuseppe interpreta i sogni del faraone (Gn, 41, 1–36) è nel medaglione collocato in direzione della cappella della Beata Vergine Assunta; è stato, purtroppo, danneggiato da infiltrazioni d’acqua. Giuseppe, figlio di Giacobbe e di Rachele, venduto dai suoi fratelli, invidiosi dell’amore che il padre nutre per lui, vive in Egitto. Il faraone, tormentato da strani sogni, lo invita ad interpretarli e Giuseppe gli spiega che il sogno preannuncia un periodo di carestia.
Mosè salvato dalle acque (Es 2, 1–10) è l’episodio successivo, secondo la cronologia biblica, ma qui è invece collocato nella diagonale tra la cappella di Sant’Anna e lo spazio presbiterale. La madre di Mosè tenne nascosto il bimbo per tre mesi poi fu costretta ad abbandonarlo in una cesta, fra i giunchi, sulla riva del fiume Nilo. La figlia del faraone, recatasi al Nilo per fare il bagno, trovò la cesta e decise di adottare il piccolo.
Davide vittorioso sul gigante Golia (I Sam 17, 32–51). Il dipinto è purtroppo compromesso dal dilavamento di infiltrazioni d’acqua provenienti dalla cupola. Illustra l’episodio del giovane pastore Davide, che tiene in mano la testa del terribile filisteo Golia, decapitato dopo averlo colpito con il sasso scagliato con la fionda.
Il trasporto dell’arca a Gerusalemme (II Sam 6, 12–19) è l’episodio biblico rappresentato nel medaglione posto in direzione del presbiterio. Maria è «foederis arca» («Arca della nuova alleanza») glorificata nella sua festosa Assunzione.
Lungo il tamburo corre la fascia degli otto oculi circolari da cui penetra la luce che illumina la cupola; ogni oculo è coronato da due angeli a monocromo rosa, reggenti un cartiglio vuoto la cui cornice culmina con un trionfo vegetale. I sedici angeli sono disposti in posizioni sempre diverse suscitando una sensazione di animato movimento quasi a contrastare la staticità dei cartigli.
Negli intervalli tra gli oculi, il quadraturista ha dipinto un piedistallo monocromo ad imitazione del marmo, ornato da una piccola testa; su ogni piedistallo è collocata la personificazione delle virtù:
la Purezza oppure Verginità, che abbraccia l’unicorno è posta in direzione dell’ancona, tra i medaglioni di Mosè salvato dalle acque e del Trasporto dell’arca; segue, andando in senso antiorario, la Fede che regge una croce; la Giustizia, che impugna la spada ed una bilancia; la Temperanza versa l’acqua da una brocca ad un cratere, per temperare il vino con l’acqua; la Speranza regge un’ancora; la Carità allatta un piccolo e ne accoglie un altro; la Fortezza mostra una semicolonna; la Prudenza misura se stessa guardandosi in uno specchio.

La prima campata

Tutta la decorazione parietale di questa campata risale al Settecento ed è opera attribuita al pittore Pietro Bianchi detto il “Bustino”, attivo in questa chiesa – come già accennato – tra il 1703 ed il 1706.
Lungo le tre pareti della campata corre un fregio continuo sormontato da lunette, con la rappresentazione di otto episodi tratti dalla vita della Vergine, chiusi in sei medaglioni a monocromo giallo ocra e due medaglioni policromi.
Il fine cromatismo dei due medaglioni a colori è addirittura un precoce rococò, molto vicino alla decorazione della chiesa di san Pietro, dove il Bustino lavorerà a partire dal 1712–1713. Le fonti dei contenuti sono quelle solite: il Nuovo Testamento, i Vangeli apocrifi e la Legenda aurea di Jacopo da Varazze.
Ogni episodio è sormontato da uno scudo contenente un elemento floreale o arboreo; sono rappresentate le piante care alla simbologia mariana: l’albero simboleggia l’elemento di congiunzione tra la terra (le radici e il tronco) e il cielo (la chioma) ed è l’immagine della vita nella sua totalità. La vita cristiana prende linfa anche dal culto alla Vergine, che è il tramite tra la terra e il cielo. La sequenza di immagini vegetali raffigura un brano biblico direttamente riferito alla Sapienza (Sir 24, 17–23), ma nella liturgia della Chiesa applicato alla Madonna.
Nella fascia superiore del fregio il pittore ha disposto degli angeli musicanti: ciascuno con un proprio strumento e la propria voce. Il Bianchi dipingerà una festa di angeli musicanti anche nella controfacciata della chiesa di san Pietro. Non si poteva rinunciare a tale diffusa tradizione iconografica, come appare anche nella lunetta di Gaudenzio Ferrari sulla facciata della chiesa di Sant’Antonio.
Sulla parete di sinistra guardando l’ingresso, nel primo medaglione sono rappresentate Le nozze di Cana; sovrasta uno scudo con la vite (in alcuni dipinti la Vergine viene raffigurata allattare all’ombra di una vite, alludendo alla futura passione di Cristo). Segue l’episodio di Gesù ritrovato nel tempio tra i dottori, che è realizzato in policromia, sovrastato dallo scudo con un mazzo di gigli: il giglio vuol dire candore, purezza, come quella di Maria.
Il terzo medaglione contiene il Ritorno della sacra famiglia a Nazareth, coronato dallo scudo con una palma. La palma è un simbolo di grandezza. Senza dimenticare che la sacra famiglia, come si legge negli apocrifi, si riparò, durante la fuga in Egitto, sotto una palma e si nutrì con i suoi frutti.
Ai lati dell’oculo della facciata appaiono gli episodi della Fuga in Egitto, a sinistra, e della Purificazione di Maria a destra; l’albero dipinto nello scudo posto sopra il primo episodio potrebbe essere un platano oppure più probabilmente una pianta d’alloro; l’alloro è simbolo di eternità perché sempreverde, e di castità perché le sue foglie sono a lungo intatte, non si deteriorano. Nello scudo sopra la Purificazione è rappresentato l’ulivo: talora, anche se raramente, nell’Annunciazione compare nelle mani di Gabriele – invece del giglio – un ramo di ulivo. L’ ulivo allude anche all’orto degli ulivi e all’inizio della passione di Cristo.
Adorazione dei pastori Sull’ultima parete, a sinistra l’Adorazione dei Magi ha nello scudo un albero non facilmente riconoscibile; al centro è collocato il medaglione con l’Adorazione dei pastori, eseguito in policromia, con un mazzo di rose dipinto nello scudo: nella simbologia mariana, la Vergine è «rosa senza spine» perché priva del peccato originale; nel Paradiso terrestre, le spine sputano dopo il peccato originale. Nell’Adorazione dei pastori sono interessanti dei tratti di realismo, quali la culla di Gesù bambino: un cesto di stoppie intrecciate, come tante culle delle case contadine; poi la posizione del pastore che spia, curioso, dalla finestra; e ancora, i gesti enfatici dei pastori. In sintesi un quadretto di quotidianità familiare, che accomuna la Sacra famiglia all’ esperienza delle comuni famiglie. Nell’ultimo medaglione è raffigurata la Sacra famiglia ed un cipresso è dipinto nello scudo: il cipresso cresce ‘fino il cielo’.

Le testimonianze pittoriche settecentesche nella chiesa della Beata Vergine Assunta e di San Lorenzo si concludono, anche cronologicamente, con l’affresco della volta della prima campata, realizzato nel 1768 da Gian Pietro Romegialli con la collaborazione di Giuseppe Porro.
Il quadraturista milanese incornicia il cielo con una balaustra ornata di vasi, cartigli, ghirlande accartocciate, conchiglie, fiori e frutti; il pittore morbegnese ‘inventa’ il trionfale arrivo in cielo di due santi: è la Gloria dei santi Lorenzo e Bernardino da Siena.
Particolare della Gloria dei santi Lorenzo e Bernardino da Siena Lorenzo e Bernardino sono l’uno contitolare della chiesa e l’altro patrono della confraternita; Lorenzo veste una preziosa tunica damascata mentre Bernardino indossa il saio francescano. Più vistoso il trionfo di Lorenzo, la cui graticola è sollevata da due angeli: tra la sventolante dalmatica e l’ala dell’angelo, due cherubini intonano un inno leggendo lo spartito musicale.
È nella complessa decorazione di questa campata che si possono accostare ed apprezzare i caratteri stilistici del gusto settecentesco non ancora aperto alle istanze neoclassiche: i colori pastosi e la composizione teatralmente concreta di Gian Pietro Romegialli esprimono le note conclusive di un trascinamento barocco; Pietro Bianchi invece volge la propria pittura in leggerezza, cromatica e narrativa, soprattutto nelle narrazioni policrome del fregio, aperta al decorativismo del rococò.

Evangelina Laini

Fotografie di Vincenzo Martegani

Data di pubblicazione: 14 aprile 2009



documento pdf scarica il pdf della passeggiata

torna sutorna su