Dividersi per governarsi: fazioni, famiglie aristocratiche e comuni in Valtellina in età viscontea (1335–1447)

pubblicato in «Società e storia», XXII (1999), n. 86, pp. 715–766

INDICE

  1. La Valtellina nel dominio visconteo
  2. L’identità faziosa
  3. Fazioni di lotta e di governo
  4. Composizione e gerarchie: nobili e comuni nelle fazioni
  5. I confini delle fazioni: la dimensione territoriale dell’appartenenza politica
  6. Fazioni e conflittualità sociale
  7. Fazioni locali e famiglie cittadine
  8. Conclusioni

PRESENTAZIONE – English version

Le fazioni sono state intese, in molti giudizi dei contemporanei, nella tradizione erudita e, fino ad anni recenti, nella storiografia contemporanea, come fattori di disgregazione della convivenza e di perturbazione dell’ordinato svolgimento della vita civile. Se tuttavia invece che a valutazioni dall’alto ed esterne rispetto alle organizzazioni di parte, ci si accosta alle testimonianze documentarie che ne registrano più direttamente l’attività, le fazioni rivelano un volto diverso.
Quello della Valtellina, l’ampia valle alpina appartenente all’episcopato di Como e dal 1335 compresa nel dominio visconteo, è l’esempio di una società che si autogovernava tramite gli organismi di parte. Gli schieramenti dei guelfi e dei ghibellini erano infatti formazioni eminentemente locali (non al servizio cioè dell’egemonia urbana o del controllo visconteo, ma semmai in grado di strumentalizzare l’intervento dei centri di potere esterni), saldamente strutturate e gerarchizzate, che si prestavano ad organizzare la società della valle e a regolarne il conflitto.
Il campo di intervento delle fazioni era amplissimo: la lealtà di parte ispirava il dialogo con il governo visconteo e con le autorità sovralocali, in primo luogo la repubblica di Venezia. In sede locale, il criterio dell’adesione guelfa o ghibellina dettava la designazione dei magistrati di valle, la divisione e la riscossione delle imposte, il reclutamento militare di uomini a difesa dei confini del dominio milanese e condizionava pure aspetti più minuti della vita quotidiana.
L’appartenenza alle fazioni era capace di includere ogni altra appartenenza: pure l’organizzazione dei comuni rurali non era alternativa alle parti, ma vi era compresa. Agli schieramenti aderivano infatti non solo individui o parentele, ma le comunità nel loro complesso, in modi formalizzati e secondo opzioni che si mantenevano stabili nei decenni. I comuni, guelfi o ghibellini, mediarono quindi la partecipazione popolare alla politica delle fazioni, che risulta essere un aspetto fondamentale del loro radicamento locale. Il fatto poi che comuni rurali contigui condividessero – per ampi settori della valle – il medesimo orientamento politico, è alla base di una peculiarità delle fazioni valtellinesi: la loro compatta fisionomia territoriale. La Valtellina media e bassa si divideva infatti in un "terratorium partis gibelline" e un "terratorium partis gelfe", i cui confini andarono definendosi con crescente nitidezza nell’età viscontea.
Infine il filtro dell’appartenenza politica contribuiva a conferire alla convivenza tra i vari protagonisti della vita locale un pur instabile equilibrio: i rapporti tra le due formazioni di parte generavano tensioni che tuttavia esse stesse provvedevano a tenere sotto controllo, attraverso tregue e concordie incessantemente rinegoziate, esercitando un ruolo stabilizzatore riconosciuto e legittimato dal principe stesso, quando questi si rivolse a capiparte locali perchè pacificassero il conflitto politico.

torna su torna su