Pergamene sciolte dell’Archivio notarile di Sondrio.

1. Introduzione

1.3. Criteri di descrizione

1.3.1. L’unità di descrizione

L’unità di descrizione coincide con l’unità archivistica, quale giunta sino a noi.
Ogni unità archivistica viene identificata da un numero progressivo e univoco [49], accompagnato da tutte le antiche segnature, che consentono di ricostruire le fasi della sua storia documentaria.

Unità archivistica e unità documentaria possono coincidere, ma in molti casi ciò non accade.
Talvolta una unità archivistica conserva più unità documentarie, che vengono descritte quali sottounità disposte sequenzialmente con lettere minuscole dell’alfabeto: a, b, c….

Fig. 16: ASSo, Perg. 1

Fig. 16: Perg. n. 1. Sulla stessa membrana sono conservate due unità documentarie rogate in data 1254 febbraio 1, Teglio, da Iohannes de Cerveno de Tilio, fq. Mayfredi, notarius: a. Dotis, b. Pactum de non petendo seu de non acquirendo. Si tratta delle più antiche unità documentarie conservate in originale. Cfr. anche la fig. 23 per la visualizzazione della scheda descrittiva, con l’articolazione in sottounità.


In altri casi una medesima unità documentaria (o codicologica) è costituita da più unità archivistiche, le quali sono state ricollegate concettualmente durante questo lavoro.

Fig. 17: ASSo, Perg. 892
Fig. 18: ASSo, Perg. 893

Fig. 17–18: Pergg. nn. 892893 (recto e verso). Due distinti frammenti provenienti da una stessa unità documentaria.



La scelta metodologica di considerare l’unità archivistica quale unità di descrizione è stata determinata soprattutto dalla massiccia presenza di riusi nella raccolta.

Fig. 19: ASSo, Pergg. 501–515

Fig. 19: Pergg. nn. 501515. Particolarmente impegnativo è stata la ricostruzione virtuale di una unità documentaria nel caso in cui la scrittura di fase I fosse stata ritagliata in piccoli lacerti con funzione di braghette.


In questo modo, la numerazione della singola unità archivistica facilita la conservazione vigilata anche del frammento più piccolo e apparentemente insignificante [50].

Inoltre, nella scelta di numerare ciascuna unità archivistica, ha avuto un peso sensibile la considerazione che l’oggetto della descrizione ha in sé uno spessore diacronico: unire frammenti trasmessi distintamente avrebbe determinato una sorta di appiattimento dell’oggetto alla sua sola fase ‘nativa’. Così facendo, anche questa attuale descrizione avrebbe risentito di un approccio collezionistico, privilegiando la scrittura più antica e il suo contenuto. Ma non avrebbero avuto un adeguato rilievo i contenuti e gli aspetti materiali legati alla rifunzionalizzazione determinata dal riuso che –ad un certo punto della tradizione– rese la membrana parte integrante di un protocollo notarile, come si è avuto modo di sottolineare.

Per maggiore chiarezza, si prenda in considerazione il seguente caso esemplificativo. Sono attualmente conservate tre delle quattro peciae, originariamente cucite, che costituivano la medesima investitura episcopi Comensis per legale et condicionale feudum et iuramentum, conservata in originale (risulta attualmente perduta la prima pecia) [51]. Il documento fu rogato successivamente al 1413 e precedentemente al 1420 [52], a Como «in episcopali domo», da Baldassar de Rippa, fq. Alberti, publicus imperiali auctoritate notarius Cumanus et scriba episcopi et eius curie episcopalis. Tale scrittura sarebbe stata reimpiegata oltre due secoli dopo da Giovanni Antonio Quadrio junior, fu Luigi, notaio di Ponte in Valtellina. Il professionista scucì le peciae e confezionò tre distinte coperte per tre diversi quaterni imbreviaturarum. Sui dorsi dei documenti reimpiegati il medesimo Quadrio (o un suo prossimo discendente) scrisse l’arco cronologico delle imbreviature conservate all’interno dello specifico quaternus. La perg. n. 864, che costituiva la terza pecia dell’investitura, reca intestazione «74 – 75» e conservò le imbreviature rogate per l’appunto negli anni 1674 e 1675; la membrana risulta infatti staccata da quello che oggi è identificato come vol. 5172, che conserva le imbreviature rogate in quei due anni. La perg. n. 865 (quarta pecia) presenta l’intitolazione: «1694 | 1695 | 1696», ripetuto due volte sul dorso, e l’integrazione «1697 | 1700» vergata sul piatto anteriore; questa coperta venne staccata dal vol. 5179. Infine La perg. n. 863 (seconda pecia) reca intestazione: «1703 | 09» e fu staccata dal vol. 5181, con imbreviature relative a quegli anni.

Fig. 20: ASSo, Fig. 20: Perg. 865. (recto)
Fig. 21: ASSo, Fig. 21: Perg. 865. (verso)

Fig. 20–21: Perg. n. 865 (recto e verso). Si tratta della quarta pecia di una investitura episcopi Comensis per legale et condicionale feudum et iuramentum. Sono conservate altre due peciae del medesimo documento che funsero da coperte per altri quaterni imbreviaturaum di Giovanni Antonio Quadrio junior.



Passando dai documenti notarili ai frammenti di codice, un secondo esempio di storia diversificata di trasmissione è relativo ad un codice liturgico il cui studio è in corso nell’ambito del progetto «Apes debemus imitari», guidato da Felice Rainoldi. Il riferimento è ad un antifonario dell’ufficio del XIII secolo, con scrittura musicale comasca [53]. Due bifolî sono conservati in questo corpus ai nn. 334 e 335; mentre altri lacerti, che provengono con certezza da questo stesso antifonario, sono attualmente conservati nell’Archivio della Parrocchia di Sondrio e costituiscono le coperte dei registri con segnatura 2/6/7, B–2/6/8, 2/6/9, 2/7/11, 1/3/7, 2/4/7 (incollati a lacerti provenienti anche da altri codici). Si tratta per lo più di registri appartenenti all’arciprebenda di Sondrio e furono funzionali all’amministrazione di beni. Tornando ai frammenti dell’ASSo, la perg. n. 334 venne certamente staccata da un quaternus di Paini Giovanni Battista fu Francesco, notaio di Montagna in Valtellina (vol. 2828, 1619–1624), come esplicitato da una nota vergata dagli archivisti del Notarile dipartimentale: "Paini Giovanni Battista figlio di Francesco". Un’ampia intestazione scritta su una etichetta evidenzia che nel quaternus erano conservati gli atti relativi all’amministrazione della Valle negli anni immediatamente successivi al cosiddetto ‘sacro macello’ di Valtellina [54]:

«Nota (lettura incerta) sull’offitio illustrissimi […………………] | Vallistellina cap(itan)ei et illustrissimo Antonii a [……….] | vicarii in eius [….] in calendis mensis iunii 1619, | quorum offitium finitum est die 9 mensis | iulii 1620 ob revolutionis status in | hoc […] pro causa continentur et agitata | per me post dictum tempus usque ad | ultimum anni 1620 et 22 maii 1621 (et – 1621 add. post.)».

Invece, la provenienza della perg. n. 335 da un altro quaternus del suddetto Paini, pressoché certa, non è tuttavia attestata da alcuna nota dorsale presente.

Fig. 22: codice

Fig. 22: Perg. n. 334 Bifolio di un antifonario dell'Ufficio. Altri frammenti smembrati dallo stesso codice si trovano attualmente conservati presso l'archivio della parrocchia di Sondrio.


Dagli esempi riferiti –due tra i molti possibili– appare il vantaggio euristico dell’identificazione e presentazione della singola unità archivistica individuata nel singolo pezzo conservato, con produzione di una descrizione aperta. Essa facilita la relazione con altri frammenti della medesima unità documentaria (o codicologica) di provenienza, lascia aperta la possibilità dell’integrazione con successivi e ulteriori ritrovamenti: sia con eventuali membrane adese (comunque vincolate ai protocolli o inserte) sia con riusi attualmente conservati in diverse sedi di conservazione (come nel secondo sopracitato esempio).


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note

[49] Tale numerazione non deve essere intesa come stabilizzazione di un ordine, ma come numero di corda indicante una collocazione, un numero che faciliti il reperimento, la conservazione e la tutela.

[50] Per questo stesso scopo era stata realizzata una ricognizione parziale del corpus (circa 200 unità) da parte di Francesco Palazzi Trivelli, che tra l’altro è autore di: Regesto delle pergamene di Grosotto conservate all’Archivio di Stato di Sondrio, Sondrio, Società Storica Valtellinese, 1993 (Atti e documenti, 6).
È stata inoltre effettuato un computo delle pergamene da parte di M. Aurora Carugo, coadiuvata da Nella Della Maddalena.

[51] Così è attestato anche dalla sottoscrizione del notaio: «in his quatuor pergameneis simul sutis presente computato».
Ad oggi non è stata individuata la prima pecia, ma non si esclude che uno studio puntuale dei reimpieghi ancora adesi utilizzati da questo notaio possa portare a riscontri positivi.

[52] L’anno è successivo al 1410, come si deduce da un rimando nel textum della seconda pecia conservata (originariamente la terza): «ut publico constat instrumentum ipsius investiture, rogato per me Baldassarrem de Rippa notarium et scribam infrascriptum anno domini millesimo quadringentesimo decimo indictione [tertia] die iovis undecimo mensis decembris». Tale dato va coordinato con gli anni di episcopato del vescovo Antonio de Turconibus («qui tunc dicebatur episcopus Cumanus») che resse la cattedra tra il 1409 e il 1420 (Helvetia sacra, VI/I, pp. 166–168).

[53] Frammenti di musica. Testimonianze di canto medievale nell’Archivio di Stato di Sondrio (secoli XI–XIV), a cura di F. Rainoldi e R. Pezzola, scheda n. 2

[54] WENDLAND, Passi alpini e salvezza delle anime, cfr. in part. le pp. 120–122; BESTA, Le Valli dell’Adda e della Mera, vol. II: Il dominio grigione, pp. 199–201.