Una vita e tre incontri: ricordando don Giovanni Rapella

Terzo incontro

Poi, dovrà trascorrere più di un decennio prima che il ragazzino possa trovare l’occasione per poterlo rivedere. Don Giovanni, infatti, da quel giugno festoso, iniziava la sua missione di pastore d’anime, prima a Grosotto, dove resterà quattordici anni; in seguito, dal 1977, a Isolaccia come parroco. E il ragazzino? Intanto, dopo che il vetusto Sant’Abbondio era stato chiuso tristemente nel 1966, il seminarista, ormai sedicenne, aveva completato il ginnasio e stava cercando una sua strada. Certo, non poteva ancora sapere che dopo un lungo percorso pieno di sorprese (Monza, Firenze, Pavia, Zurigo, Roma, Parigi …) sarebbe tornato, alla fine, in uno dei luoghi da dove era partito tanti anni prima. Infatti, nel mese di ottobre del 1975, era approdato a Morbegno, per lanciarsi in una nuova grande avventura. Era l’inizio di una professione appassionante e impegnativa, ricca di stimoli sempre nuovi, all’interno di un’istituzione culturale che stava muovendo i primi passi. Ogni giorno veniva in contatto con centinaia di persone, studenti in gran parte, ma anche casalinghe, pensionati, operai, impiegati, insegnanti … Il ricordo di quei giorni è ancora vivo. E, tra i molti incontri, emerge quello con Rinaldo Rapella, il papà di don Giovanni. Rinaldo era lo storico locale. Da alcuni anni aveva iniziato a pubblicare una serie di articoli, con cadenza mensile, sulle Vie del Bene, il valoroso bollettino parrocchiale di Morbegno. Erano scritti che affrontavano, in modo divulgativo e con un linguaggio semplice, episodi della storia locale. Rinaldo Rapella si recava spesso nella Biblioteca “Ezio Vanoni” di Morbegno, per raccontare al bibliotecario i risultati delle sue ricerche, preannunciandogli talvolta cosa avrebbe scritto sul prossimo numero delle Vie del Bene.

Biblioteca “Ezio Vanoni”

[foto 6. La Biblioteca “Ezio Vanoni” di Morbegno]

E così, tra il giovane bibliotecario e l’anziano storico di Morbegno pian piano si era creato un rapporto di stima e simpatia. È probabilmente dovuto a questi incontri, sempre interessanti e mai noiosi, il sorgere – per il bibliotecario – di una passione per gli studi di storia locale. Nello stesso periodo avviene il terzo incontro con don Giovanni Rapella. Ma questa volta, finalmente, si tratta di un incontro che non conoscerà più interruzioni nel corso del tempo. Sono passati quasi tredici anni dall’ultima volta che il ragazzino l’aveva visto. Da allora in poi, invece, le occasioni si moltiplicheranno. Ci si trova a Sondrio, alle riunioni del settore cultura negli uffici dell’Amministrazione Provinciale. Nel frattempo don Giovanni, a Grosotto, è l’anima della biblioteca parrocchiale dedicata ai Mitta – due sacerdoti nati proprio a Grosotto – e dà subito inizio a quella sua speciale attività di promotore editoriale, indipendente al di là delle norme, che verrà interrotta solo dalla sua morte repentina. All’inizio recupera e stampa con mezzi semplici, diffondendole tra le biblioteche, una quindicina di tesi di laurea. Gli argomenti spaziano dal Movimento sociale cattolico in Valtellina alle pergamene dell’archivio parrocchiale di Gerola, dalla figura di Alberto De Simoni a quella di Giovanni Visconti–Venosta. Tutto questo esce con l’indicazione: Grosotto, Biblioteca popolare Luigi e Giovanni Mitta. Il motore è sempre don Giovanni. Nel 1977 viene promosso parroco di Isolaccia. Nonostante la distanza, arriva regolarmente in biblioteca, a Morbegno, di solito con il suo pullmino. È sempre carico di pubblicazioni, che regala generoso. Ogni volta si intavolano lunghe conversazioni; si parla di progetti editoriali e culturali.

Arrivato a questo punto della narrazione, un racconto tessuto di tanti ricordi, posso passare direttamente dalla terza persona (un po’ troppo impersonale) alla prima persona. Così sono in grado di ricordare in modo più diretto alcuni momenti della mia vita, in cui ho sentito il calore prezioso della sua amicizia. Come quella volta che andai a Isolaccia, invitato dal Sistema Bibliotecario dell’Alta Valle per tenere una conferenza su Parigi. Don Giovanni era parroco del luogo. Era sera; la conferenza iniziava alle 21.00, nel teatro comunale. Don Giovanni aveva voluto essere presente. Si era collocato in fondo alla sala, bene in vista, su una poltrona, proprio di fronte a me. Non aveva voluto mancare, anche se era molto stanco. Infatti, lo guardavo di tanto in tanto dal mio tavolo di relatore e notavo che la sua resistenza fisica era ormai esaurita. Sarà stata colpa, forse, anche del tono della mia voce; sta di fatto che don Giovanni, dopo pochi minuti, dormiva beatamente. Si risvegliò soltanto, di colpo, al momento dell’applauso finale. E mi fece dei gran complimenti. Qualche anno dopo – era il 2005 – non posso dimenticare il suo moto schietto di gioia, quasi infantile, quando gli accennai che avevo intenzione di sposarmi di lì a un anno. Subito si offrì – meglio, si impose – come sacerdote celebrante. Mi colmò di saggi e paterni consigli, rivelandosi un vero amico, discreto e disponibile. Mi regalò alcuni volumi di storia. Una saletta nei sotterranei della biblioteca comunale diventò (per la prima e l’unica volta, credo) un luogo dove raccolse la confessione della mia futura moglie. E naturalmente concelebrò il mio matrimonio. Tutto questo avvenne nel 2006, un anno prima della sua scomparsa. Allora risiedeva definitivamente a Morbegno, per riposarsi e cercare di curarsi un po’. Intanto, le sue visite in biblioteca continuavano. Ogni volta mi esponeva, instancabile, i suoi mille progetti, soprattutto editoriali. E non si fermava alla carta stampata, volava senza problemi tra i DVD. Per quanto ho potuto, l’ho aiutato nel momento in cui decise di raccogliere e pubblicare in un solo volume gli articoli che suo papà Rinaldo aveva scritto per le Vie del Bene. Gli avevo suggerito di stampare un libro di piccolo formato («Così lo si potrà leggere anche durante un viaggio in treno!»). Non aveva accettato la mia proposta. Però fu subito d’accordo quando gli consigliai di dotare il libro di un indice analitico. E il libro uscì: grande formato, con indice analitico…

La notizia della sua morte arrivò inaspettata e violenta, in una calda giornata di luglio del 2007. Oggi sono trascorsi quattro anni dalla sua scomparsa, eppure per don Giovanni la frase di San Paolo «Defunctus adhuc loquitur» (Benché morto, parla ancora) risulta vera. Per me è stato un grande. Un sacerdote esemplare. Non badava certo all’eleganza o alle formalità; anzi, poteva dare l’impressione di un vecchio parroco di campagna, un po’ trasandato. E invece, lo ripeto, era un grande. Al di là di un’apparenza dimessa, c’era un sacerdote di fede salda, di ampia cultura e di grande disponibilità umana. La sua vita rimane per me un indimenticabile insegnamento. Penso a quanto dovesse soffrire per la malattia che lo aggrediva ogni giorno, che lo ostacolava nel camminare, che lo privava lentamente della vista … Eppure – e l’ho incontrato anche nei giorni ultimi – dalla sua bocca non ho mai sentito uscire un lamento per le sue sofferenze fisiche. Mi ha insegnato che la vita va vissuta pienamente tutti i giorni, senza lasciarsi travolgere dalle difficoltà, dai dolori e dalle prove. Ecco perché lo ricordo spesso ancora oggi e, quando posso, vado a salutarlo nel cimitero di Morbegno e mi soffermo davanti alla sua tomba dai vivaci colori.



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