La Valtellina: terra fertile, militarmente debole

Il testo

De Bello Mediolanensium adversus Comenses, in Rerum Italicarum Scriptores (…), Mediolani, MDCCXXIII–MDCCLI, Ex typhographia societatis palatinae in regia curia, t. V, vv. 1527–1562, p. 446.

Vallis erat formosa satis, nimis apta colonis,
moribus ornata, est vallis Tellina vocata.
Arboris est illic vitum generosa propago,
fertilis est frugum, satis est ibi copia lactis,
castaneaeque multaeque, nuces ibi sunt quoque plures.
Somnia sed faciunt ibi plura papavera nata.
Hac in valle fures intrant subtiliter hostes,
depraedant villas, spoliant armentaque multa,
inde trahunt et ovesque, boves, capras, quoque vaccas.
Quodque vident equites in tali valle morantes,
conveniunt pariter simul et pedites properantes,
ante tenent cursum, quos contra proelia ducunt.
Inque via media properant contendere contra,
Barbennum iuxta concurrunt insimul una
partibus hi magna vi decertatur utrisque,
par parti restat, pugnat quoque dextera dexterae,
ensae sonat, mucro teritur mucrone corusco.
Conclamant omnes, resonat clamoribus aether,
decertant omnes, pugnantque viriliter hostes.
Isti pro vita, pro libertate tuenda,
Pugnant adversi, sola pro lite superbi.
Cognoscunt hostes, armis nec obesse potentes
esse vident illos.
Acriter insurgunt, hostes tunc undique sternunt,
conversi dant terga cito de valle coloni,
montes confusi statim repetunt pavefacti.
Ast hostes laeti tanta de caedi superbi
despoliant caesos, vivos vinclis ligatos
deducunt secum propriis armis oneratos,
carcere conclusos et dira compede strictos.
Sunt interfecti, saevo qui Marte perempti,
plusquam triginta sex, et capti amplius ultra.
At lugubres miseri tristes ex more coloni
dant tumulis caesos, redimunt de carcere captos.
In patriam laeti victores suntque reversi.


(V’è una vallata assai bella ed alquanto ferace per il sostentamento dei suoi abitatori: parlo della terra di nobili costumi che si chiama Valtellina.
La caratterizzano terrazzi di rigogliosi vigneti e fertili distese di campi di grano. Ma essa produce anche molto latte e, con altrettanta abbondanza, castagne e noci. Molti papaveri che vi crescono concorrono a conciliare il riposo degli abitanti.
Purtroppo questa valle è assai esposta ad insidiose incursioni di ladri nemici, che irrompono pronti al saccheggio degli abitati, avidi nel depredare armenti e greggi, sottraendovi buoi e mucche, pecore e capre.
I cavalieri che risiedevano in questa terra, insieme con i fanti, al vedere una tal sorte di misfatti, mossero contro gli invasori guerreggiando.
A mezza valle s’affrettano a battagliare. La zuffa s’accende presso Berbenno e da ogni parte infuria, sostenuta e vigorosa: ecco gli scontri corpo a corpo; le destre contro le destre a far risuonare il ripercuotersi delle spade; ed ogni scudo rilucente cozza contro scudo avversario. Per il clamore di tutti vibra l’aria, durante lo scontro d’ambo le parti condotto con pari virulenta inimicizia.
Ma mentre gli uni combattono a difesa della libertà, gli altri sono mossi da proterva ostilità. E questi nemici si rendono conto che i combattenti del luogo non dispongono di una sufficiente capacità di resistenza armata. Manca, al loro fianco, il sostegno della gioventù comasca. Con ardimentoso accanimento incalzano, pertanto, riuscendo ad abbattere i difensori valligiani da ogni lato.
Questi, atterriti, si vedono oramai costretti a frettolosa ritirata; cercano scampo sulle alture.
Frattanto i vincitori, soddisfatti e pieni d’orgoglio per la strage riuscita, spogliano i caduti e incatenano i sopravvissuti fatti prigionieri. Ora li incolonnano, gravandoli col peso degli armamenti; in fine li precipitano in carcere, i piedi legati con ceppi crudeli.
Più di trentasei fu il numero dei morti nella feroce battaglia; e assai superiore quello dei prigionieri.
Agli sventurati coloni, mestissimamente, toccò il prodigarsi per dare sepoltura ai defunti, secondo il costume; oltre all’impegno di pagamenti per riscattare i prigionieri.
I vincitori, invece, tornarono soddisfatti alle loro terre).


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