Vite e vino in Valtellina e Valchiavenna.
La risorsa di una valle alpina.

di Diego Zoia

Sondrio, L'officina del libro, 2004.

La copertina del libro



Vite e vino in Valtellina e Valchiavenna. La risorsa di una valle alpina, edito da l’Officina del Libro con un pregevole apparato di illustrazioni a colori e in bianco e nero, è stato presentato ufficialmente a Sondrio in occasione del convegno mondiale sul Nebbiolo, «Nebbiolo Grapes», ma non è certamente uno scritto legato ad una circostanza, essendo la prima indagine storica completa e sistematica su un’attività che, se oggi dà segni di ripresa e forma una delle voci più significative dell’economia non solo agricola della provincia, per secoli in passato fu la più importante risorsa di vita e di lavoro.

Delle due parti di cui è composto il volume, la prima, Vite e vino nei secoli, tratta gli aspetti più propriamente storici e, attingendo alle fonti documentarie antiche, disegna per tratti essenziali la storia del territorio in rapporto alla coltivazione della vite e all’importanza che questa aveva nella vita della comunità locale. Il commercio del vino era soprattutto esercitato dalle famiglie più influenti della valle e trasporti di vino partivano dal versante retico, ritornando «carichi di ferro in verghe di Bondone o della Val Belviso, o di ferro lavorato, o di grani della Valcamonica, o delle valli bergamasche; in qualche caso il corrispettivo erano invece animali, formaggi, addirittura terreni. La principale via seguita era l’Aprica, all’epoca gli Zapelli de Abriga. Alcuni trasporti di vino valtellinese sono stati recentemente accertati anche sul Tonale». Ma i viaggi verso la Bergamasca avvenivano anche da Fusine attraverso la Valmadre e il passo di Dordona, mentre verso nord le direttrici erano la Valmalenco dal passo del Muretto, la Val Poschiavo, la zona di Grosio, mentre nell’Alta Valtellina il Bormiese nei secoli XV e XVI fu al centro di una ‘tumultuosa’ espansione commerciale grazie alle «esenzioni dai dazi per il trasporto di vino verso l’oltremonte», in Val Venosta, bassa Engadina e Austria.

Si raggiunsero fino a 1500 carri annui, circa 10.000 ettolitri: «Buona parte del prodotto proveniva dalla zona di Montagna, di Teglio e di Bianzone ed era probabilmente stoccato in Valdidentro nella località ancor oggi chiamata Pian del Vino». L’accurata ricerca negli archivi ha permesso all’autore di accertare anche che «il vino di Valtellina già da allora era trasportato in modo non episodico verso l’Europa centrale» e di ipotizzare che «già prima dell’assoggettamento alle Tre Leghe godeva di una fama indiscussa con tutta probabilità per la sua bontà e probabilmente conservabilità …. All’epoca, ad esempio, era sicuramente presente, probabilmente in modo non episodico, anche sulle mense imperiali». Né poteva certo mancare nel libro un capitolo interamente dedicato al rapporto secolare coi Grigioni, coi quali «il vino rappresentò sempre l’oggetto di scambio di maggiore importanza». Un cenno particolare è per la fiera di San Michele che, pur con vicende alterne, dopo il 1514 divenne sempre più un momento fondamentale di incontro e lì «il vino rappresentò con certezza, con gli animali, la fondamentale merce di scambio». Dal 1500 in poi crebbero anche gli acquisti di terreni da parte delle famiglie dei notabili grigioni, come i Salis-Zizers, che edificarono a Tirano il complesso residenziale più imponente dell’intera provincia, tuttora residenza della famiglia, che ha saputo trasformare la propria attività mantenendola al passo coi tempi e divenendo titolare dell’azienda vinicola «Conti Sertoli Salis».

Nelle pagine successive trovano ampia trattazione gli statuti comunitari a tutela delle vigne e le norme sul vino, e i grandi flagelli naturali che colpirono duramente la produzione vinicola soprattutto alla metà dell’800, facendola precipitare del 96% a causa della crittogama (Oic lium Tucheri). Ciò gettò nella miseria più nera un grandissimo numero di famiglie, tanto che nel 1858 il Regno Lombardo Veneto bandì una Lotteria pei poveri di Valtellina.

Si arriva poi al Novecento, secolo che ha visto il graduale abbandono delle coltivazioni a vigna per vari motivi, tra cui i più rilevanti sono l’antieconomicità della produzione di vino, il crollo dell’autoconsumo e le disposizioni normative che non tengono sufficiente conto della specificità della zona, tanto che in provincia la viticoltura sta vivendo un «momento assai delicato e i rischi di un suo ulteriore ed irreparabile declino sono molto gravi», nonostante le speranze suscitate dal rilancio della qualità e della specializzazione produttiva.

Forse proprio per questo motivo, per «contribuire a stimolare gli indispensabili interventi nel presente», la seconda parte è costituita da un’approfondita panoramica delle tecniche di coltivazione e di produzione vinicola, dalle forme tradizionali alle trasformazioni contemporanee, senza trascurare di ricordare quali sono i nemici, dalle condizioni atmosferiche avverse agli animali, ai funghi. Vi si parla anche della qualità delle uve, della varietà dei vini, dei derivati, della produzione, del consumo e della distribuzione del vino, di come vigna e vino siano presenti nella cultura e nella società locale, realtà che si percepisce finanche nei proverbi e nei modi di dire.

Infine, questa ricostruzione storica e tecnica ha il pregio di essere proposta nel modo più scorrevole possibile per facilitare l’approccio da parte di tutti i lettori, mentre quanti vorranno «avere ulteriori e più mirate indicazioni, potranno accedere al sito www.bancavalle.it, nel quale sono contenuti l’ampio apparato dei documenti e delle note di approfondimento e bibliografiche».

Pierangelo Melgara



(Questa recensione è apparsa a stampa in Settimanale della diocesi di Como, 3 luglio 2004, p. 32).

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