La "stüa" nella Rezia italiana
Die Stube in italienischen Rätien.

coordinamento Guido Scaramellini

Sondrio, World Images, 2011.

La copertina del libro

Il volume La "stüa" nella Rezia italianaDie Stube in italienischen Rätien, il quarto pubblicato dall’Accademia del Pizzocchero di Teglio per le Edizioni World Images, è la prima ricerca del genere condotta in modo sistematico ed è interamente dedicata a documentare questi suggestivi ambienti, presenti sia nelle dimore contadine, sia in quelle nobiliari delle valli della Rezia dove si parla italiano, cioè in Valtellina e Valchiavenna in Italia, in val Bregaglia e val Poschiavo nel Canton Grigioni. Frutto dei contributi di dodici autori, dopo la presentazione di Rezio Donchi e Gianfranco Avella, rispettivamente presidente e socio onorario dell’Accademia del Pizzocchero, si apre con tre schede generali, che – come tutti gli altri testi – sono in lingua italiana e tedesca, per consentire la divulgazione anche al di là dei nostri confini.
Nella prima scheda, La "stüa" fra necessità e armonia, lo storico Guido Scaramellini ne ricostruisce la storia, ne spiega i caratteri e la funzione e accenna alla sua diffusione nelle Alpi, dalla Valle d’Aosta al Veneto e all’Austria e, più tardi, anche a nord. Oggi, in provincia è sopravvissuto un unico esemplare di stüa antica: risale al "XV secolo, precisamente al 1442, come si legge sull’ingresso della stüa mata di Trepalle" (l’aggettivo mata probabilmente vale inusuale, in quanto priva del rivestimento ligneo interno).
Purtroppo, tra Otto e Novecento, "la modesta disponibilità finanziaria dei proprietari, gli allettanti introiti..., la scarsa considerazione in cui erano tenuti questi retaggi del passato, la non adeguata preparazione culturale...", spinsero molti proprietari a vendere le stüa in altre parti d’Italia, spesso in Europa e persino in America. Resta ignoto il nome degli abili ebanisti che le costruirono, intagliarono e intarsiarono, che però si possono forse identificare negli artigiani–artisti che nelle chiese hanno ornato gli altari, gli stalli del coro, i confessionali, ecc. Nella stüa "immancabile era, e talvolta è ancor oggi,... il massiccio parallelepipedo della pigna in muratura con grossa pietra superiore, dove scaldarsi, magari salendo da scaletta laterale...".
Ne Il grembo del caldo buono il glottologo ed etnografo Remo Bracchi, spiega l’origine di stüa – "dal latino tardo *estuva, a sua volta da un più antico *extup(h)a "stufa a legna", poi "stanza riscaldata"..." – e ne ripercorre la diffusione da occidente a oriente attraverso le "varianti di forme e di contenuti semantici, di volta in volta adattati ai ritocchi che hanno innovato il manufatto, per rispondere in modo più pragmatico alle esigenze locali". Pur nell’apparente aridità della linguistica, qua e là si manifesta l’animo di Bracchi poeta e questo è forse il passo più bello e profondo: "Nel suo complesso... la stüa è il cuore della casa, il nido nel quale ognuno è diventato adulto al tepore della carne, dove ci si riunisce al termine del giorno, quando il clamore delle cose si spegne, per ritornare a essere famiglia. Fra le sue pareti che relegano all’esterno l’umidità e il freddo delle sere invernali e attenuano tutti i rumori che non gorgogliano dal cuore, filtrandoli come da lontananze surreali, ognuno si sente avvolto dal caldo buono che sembra prolungare quello che fu un tempo del grembo materno, il solo capace ogni volta di generare di nuovo alla vita. Da questo soggiorno terreno nella stüa si migrava verso l’abitazione che non si sgretola più". E, allora, "nelle antiche case della Valfurva e del Livignasco, al momento della transumanza, veniva aperto al fensc’trin da l’ànima, perché lo spirito potesse prendere il suo volo libero verso la luce dell’oriente".
L’architetto ed etnografo Dario Benetti firma la terza scheda intitolata Il punto di fuga della casa, dove dapprima la stüa è vista come "spazio ideale", "luogo particolare della casa che va oltre le semplici funzioni della vita quotidiana; uno spazio sacro che rimanda alle più arcaiche e profonde tradizioni della cultura indoeuropea in cui la casa ha sempre un punto di collegamento con l’infinito e con il mondo spirituale"; poi, Benetti ne indaga la struttura architettonica, mettendo in luce le differenze tipologiche tra le diverse zone del territorio provinciale.
Nelle pagine successive, ancora Guido Scaramellini, coordinatore dell’opera, cura le schede che illustrano le principali stüe del Contado di Chiavenna, tra cui quella della casa natale di san Luigi Guanella a Fraciscio di Campodolcino; Leza Dosch invece ne descrive due che un tempo erano state a Chiavenna: la "Stüa Pestalozzi–Castelvetro" che, venduta nel 1890, ora fa la sua bella figura allo Schweizerisches Landesmuseum di Zurigo, e la "Stüa Pestalozzi–Quadrio" che, venduta nel 1899, ora si trova al Hessisches Landesmuseum di Darmstadt in Germania.
Di seguito, gli storici Diego Giovanoli e Patrick Giovanoli si occupano delle stüe della val Bregaglia svizzera; Cristian Copes, Augusta Corbellini e Luigi Garbellini presentano nell’ordine quelle del Terziere di sotto, del Terziere di mezzo e del Terziere di sopra; Urbano Beti e Dario Monigatti quelle della Valposchiavo; infine, Stefano Zazzi quelle del Contado di Bormio. Un ricco apparato bibliografico completa il volume magnificamente illustrato da oltre 450 scatti del fotografo Livio Piatta.

Pierangelo Melgara




Data di pubblicazione il 12 febbraio 2013.


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