San Vittore Mauro

La Collegiata di Poschiavo attraverso i secoli

a cura di Daniele Papacella

Poschiavo, Società Storica Val Poschiavo, 2003 (Collana di storia poschiavina, 3).

La copertina del libro



I cinquecento anni del rifacimento di una chiesa di per sé potrebbero non essere particolarmente significativi, ma se l’edificio ha una storia di oltre mille anni e geograficamente si trova collocato nell’arco alpino e, per di più, in una posizione di confine, ecco che può suscitare interesse sotto diversi aspetti. È il caso della prepositurale dedicata a San Vittore Mauro nel centro del borgo di Poschiavo, che cinquecento anni fa, tra il 1497 e il 1503, venne riedificata in stile tardogotico. Per la ricorrenza, la Società storica di Val Poschiavo e la parrocchia cattolica di Poschiavo hanno pubblicato e presentato la scorsa settimana davanti a un numeroso pubblico il libro monografico San Vittore Mauro – La Collegiata di Poschiavo attraverso i secoli, nel quale sono raccolti i contributi di qualificati studiosi.

Anzitutto, però, bisogna dire, come opportunamente osserva il parroco don Cleto Lanfranchi nella Prefazione, che il valore dell’edificio sta nel suo essere «casa di una comunità di credenti», mentre solo in un secondo momento è «un museo da mantenere o un’opera d’arte da conservare». Infatti, la sua collocazione al centro dell’abitato, conservata anche dopo la ricostruzione tardogotica, non è dovuta a una scelta casuale o pratica, bensì esprime la volontà di porre «Dio e il nostro rapporto con Lui al centro della nostra vita quotidiana. Tale decisione è una chiara testimonianza di fede dei nostri antenati». Ecco, dunque, uno dei motivi di interesse della parrocchia prepositurale di Poschiavo, luogo di fede e di culto prima che di arte e di storia. È vero, però, anche che in un edificio sacro le diverse letture possibili sono raccolte insieme, quasi compenetrate in una sintesi inscindibile in cui ciascun particolare acquista pienezza di senso in relazione agli altri. Chi si arrogasse il diritto di isolare un elemento, decretandone il valore assoluto, incorrerebbe nel medesimo errore di coloro che all’inizio del ‘900 pretesero riportare l’edificio alla «bellezza originaria», col risultato di disperdere il patrimonio comunitario depositato nei secoli. Anche per questo il presente volume studia San Vittore da tutte le angolature. Ne risulta una lettura affascinante che, pur sollevando nuovi interrogativi, resta una pietra miliare per la conoscenza non solo della chiesa di Poschiavo, ma della religiosità e dell’arte di un’area alpina di confine.

A don Saverio Xeres, direttore dell’Archivio storico della diocesi di Como e docente di Storia della Chiesa, è stato affidato il compito di preparare l’introduzione, cosa che egli fa con la profondità di pensiero e freschezza di esposizione consuete, costruendo una lettura dei fatti storici, intrisa di allusioni utilissime al lettore, non solo scientifiche, ma anche spirituali. Si veda, ad esempio, il pensiero iniziale che inquadra l’ambito della ricerca: «Una chiesa non è mai un edificio qualunque. Attorno ad essa, anzi nella sua stessa struttura, come avviene per i sali che divengono cristalli, si concrezionano sentimenti e passioni, indifferenze e rimpianti di un’intera comunità locale. Studiarla è far riemergere, come da un corpo che porta impressi i segni e le ferite di tante esperienze, la vicenda di tutto un gruppo sociale che in quelle pietre e in quei legni, nelle loro strutturazioni, modifiche, dispersioni, sovrapposizioni e sostituzioni, ha trovato identificazione o preso distanza, restandovi comunque legato, come ed ancor più che a quel paesaggio nel quale si è snodata la sua esistenza, lungo le diverse generazioni». Più avanti, a sottolineare il male della divisione tra cristiani che si rende evidente nella comunità «proprio nel momento del suo radunarsi», scrive che, durante tutta la seconda metà del Cinquecento, San Vittore rimase «l’unico tempio vero e proprio del borgo». Tuttavia, se «identico è il luogo in cui ci si ritrova», entrano «prima gli uni poi gli altri; gli uni –se non sempre contro– comunque appartati dagli altri… E comunque le contrapposizioni, prima prevalentemente di lingua e di penna, poi anche di spada, ebbero presto a lacerare le sante membra di quel Corpo che Cristo, dalla croce, consegnò al Padre perchè restasse unito nello Spirito effuso al reclinare del capo… Così, mentre fino ad allora, abbracciando il borgo di Poschiavo con lo sguardo, lo si identificava immediatamente con il campanile di San Vittore…, d’ora in poi due saranno i campanili a distinguere il paesaggio, e a segnalare un’identità sdoppiata».

Arno Lanfranchi, storico del Medioevo nella Valle di Poschiavo, si è occupato di indagare le origini della chiesa, di cui purtroppo si sono conservati pochissimi documenti relativi al periodo medievale negli archivi di San Vittore e del Comune di Poschiavo. L’indagine sull’intitolazione a un santo tipicamente milanese lo porta a ritenere probabile che «la diffusione del cristianesimo in Valtellina e in Val Poschiavo sia partita contemporaneamente da Como e da Milano. Sebbene la Valtellina appartenesse alla diocesi comasca, sono innegabili gli influssi come pure i tentativi di egemonia di Milano sui territori valtellinesi. Non vanno dimenticati ancora nell’Alto Medioevo i vasti possedimenti dei monasteri milanesi in Valtellina e la tradizionale forte presenza ecclesiastica e politica di Milano nella pieve di Teglio, percettibile fino al tardo Medioevo». Sono i diplomi carolingi dell’VIII secolo a dare la prima notizia certa dell’esistenza della pieve di Poschiavo e della sua chiesa battesimale, compresa nei possessi della ricchissima abbazia parigina di San Dionigi, insieme alle chiese di Bormio e Mazzo. Non c’è però la certezza che questa ecclesia baptismalis fosse dedicata a San Vittore: «Esistono comunque delle buone ragioni per ritenere che fosse effettivamente così», anche se gli scavi archeologici e i sondaggi finora effettuati sono stati «molto sommari» e «non hanno riportato alla luce resti o elementi di una chiesa di epoca carolingia». Il fatto che tuttora «la proiezione della navata nelle prime tre campate mostra vistose irregolarità», mentre le costruzioni gotiche richiedevano una precisione geometrica, permette al Lanfranchi di dedurre che «le pareti irregolari della chiesa siano anteriori, dunque appartenenti alla chiesa del Duecento (di questa si conserva solo il campanile), se non addirittura precedenti».

Della riedificazione di San Vittore in età moderna parla Nott Caviezel, docente di storia dell’arte all’Università di Berna, scrivendo che per questi rifacimenti furono chiamati maestri del Nord, Andreas Bhüler, originario della Carinzia che edificò il coro nel 1497, e Sebold Westtolf, che si occupò della ricostruzione della navata nel 1503. Quest’ultimo, subentrato per completare l’opera, potrebbe addirittura provenire dalla Westfalia. Del nuovo edificio tardogotico Caviezel mette in evidenza gli aspetti più caratteristici a cominciare dal coro su due campate «con le costole della volta che si intrecciano a raggiera, formando complessi motivi a stella». In questo «spazio riservato al clero, le due pietre al vertice delle volte sono decorate con un’immagine di Cristo sofferente e un’immagine del sole, simboli biblici della misericordia e dello splendore di Dio. Nella navata, in cui si riuniva il popolo, si riconoscono invece i simboli della comunità: le chiavi del comune e lo stambecco della Lega Caddea». Soffermandosi poi sugli elementi costruttivi, Caviezel annota i particolari che rendono unico il caso poschiavino, «esempio riuscito degli scambi culturali e della forza mediatrice delle regioni marginali nello spazio alpino… Che poi solo pochi anni appresso maestri lombardi abbiano decorato le pareti con dipinti chiaramente di gusto italico, che la chiesa sia stata dotata di una veste barocca nel XVII secolo, e che ancora un artista tedesco all’inizio del XX secolo le abbia ridato un’impronta neogotica, rientra nella logica delle cose e testimonia nuovamente la particolare situazione geografica, culturale e politica della valle».

Delle vetrate rinascimentali, in cui si concentrano «celeste policromia, luce divina e terrena bellezza», si è occupato Gian Casper Bott, storico dell’arte e collaboratore scientifico al Kunstmuseum di Basilea. Purtroppo, dopo la ricostruzione di San Vittore del 1903, esse non sono più in loco, ma conservate al Museo Nazionale Svizzero di Zurigo: «I cinque antelli vitrei… sono disposti a forma di croce. La vetrata centrale è dedicata alla Madonna col Bambino, quella superiore a Dio Padre, le due a lato rappresentano l’una san Giovanni Battista e l’altra san Pietro, mentre quella sottostante un gruppo di oranti… Pur non avendo una funzione liturgica, nella loro disposizione imitano un polittico a forma di croce latina». Le vetrate sono l’opera più rappresentativa e di maggior interesse del cosiddetto Maestro di Poschiavo, identificato con uno stretto collaboratore di Domenico Cazzanore (quest’ultimo, operoso nel cantiere del Duomo di Como e in Valtellina). Il loro spirito tutto lombardo manifesta ancora una volta che Poschiavo fu punto di incontro tra la cultura del Nord e del Sud.

Negli altri capitoli Letizia Scherini ricostruisce virtualmente San Vittore quale doveva presentarsi con gli arricchimenti architettonici e di arredo del Seicento; Gian Casper Bott illustra il portale settecentesco che ha sostituito quello tardogotico; il presidente della Società Storica, Daniele Papacella, oltre alla Presentazione del volume e degli affreschi rinascimentali, si occupa della riscoperta neogotica dello spazio realizzata nell’ultimo grande restauro novecentesco e delle nuove vetrate. Chiudono il volume l’analisi condotta da Andrea Paganini sull’affresco che raffigura il martirio di San Vittore, eseguito da Ponziano Togni nel 1939; la ricostruzione, per quanto possibile, di Arno Lanfranchi della successione dei preti e rettori della chiesa e, infine, una preziosa cronologia.

A conclusione, è bello costatare che lo studio della chiesa matrice della Val Poschiavo ha riunito cattolici e riformati, ritrovatisi anche insieme nella sala parrocchiale della chiesa cattolica, entrambe cose impensabili fino a pochi decenni fa.

Indice dei contributi

Pierangelo Melgara



(Questa recensione è apparsa a stampa in Settimanale della diocesi di Como, 13 settembre 2003, p. 31).


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