Feliciano Ninguarda riformatore cattolico

a cura di Giulio Perotti e Saverio Xeres

Sondrio, Società Storica Valtellinese, 1999 (Collana Atti e Documenti, 9).

La copertina del libro


Le manifestazioni culturali tenutesi a Morbegno in occasione del quarto centenario della morte (1995) hanno dato un prezioso contributo nel delineare la figura e l’operato del domenicano e vescovo fra Feliciano Ninguarda, una delle personalità di maggior spicco del nostro secondo Cinquecento. Ora (1999) escono gli atti del convegno nel volume Feliciano Ninguarda, Riformatore cattolico, curato per la Società Storica Valtellinese da don Saverio Xeres e Giulio Perotti nella Collana Atti e Documenti.

Ne emerge un uomo ricco di zelo spirituale, profondamente preoccupato delle sorti della Chiesa negli anni di grande travaglio seguiti al Concilio tridentino, del quale tuttavia ancora molto resta da studiare e da scoprire sulla base di una nuova e più ampia coscienza documentaria utile a ricostruire taluni episodi o linee di azione.
Figura di grande umanità e saggezza, egli volle una consulta episcopale convinto che come dice il sapiente nei Proverbi «Falliscono le decisioni prese senza consultazione, riescono quelle prese da molti consiglieri». Il Ninguarda, vissuto in quella difficile età di rinnovamento, acceso di intimo e profondo zelo per la propria missione sacerdotale, adempì con sagace dedizione qualunque compito si trovasse a svolgere su incarico dei papi.
In Austria si distinse soprattutto come doctor theologiae, poi nei territori tedeschi come commissario e quindi nunzio apostolico, dimostrandosi capace anche di una sottile attività diplomatica oltre che di un’intensa opera di riforma.
Nel 1583, con la salute ormai compromessa, ottiene di rientrare in Italia, nominato vescovo a Sant’Agata dei Goti.
Nel 1588 è trasferito alla cattedra di Como e l’anno successivo compie la famosa visita pastorale in Valtellina, dove da 48 anni i governanti grigioni avevano impedito ai suoi predecessori di recarsi.
La morte lo raggiunge a Como nel 1595, dopo aver compiuto altre missioni diplomatiche ed aver continuato attività di riforma, sempre operando coerentemente con quanto aveva scritto: «Il vero senso della riforma non è tanto riformare gli altri e prescrivere agli altri delle buone leggi, cosa facile a farsi, ma dare esempio agli altri, come Cristo cominciò prima a fare poi ad insegnare». Significativamente questa frase, tratta dal Manuale visitatorum del 1589, è posta in apertura del volume da cui emerge un personaggio ben più complesso di quello fino ad oggi conosciuto, «di poliedrica imponenza, di perenne attualità: frate dell’ordine dei Predicatori osservanti, teologo eruditione piissima, maestro e scrittore di grande autorità, consigliere ricercato, ‘perito’ conciliare, nunzio incaricato di delicate missioni, pastore zelantissimo e paterno, pur col necessario rigore».

La questione degli atti e il pastore buono

«Alla fine dell’800 il sacerdote Santo Monti –spiega don Saverio Xeres, direttore dell’Archivio Storico della Diocesi di Como– pubblicò i cosiddetti Atti della visita Ninguarda, giustamente noti e famosi, ma che si possono definire il censimento e la descrizione delle parrocchie. Rileggendoli con attenzione, si coglie però tra le righe che il codice sul quale ha lavorato il Monti non è quello oggi conservato in Curia, smembrato e neppure completo. I veri Atti del Ninguarda non sono quelli ed esistono, dunque, due diversi manoscritti. Tra l’altro nell’introduzione, egli dice di essere mosso dalla preoccupazione di consegnare a chi governerà dopo di lui un’informazione precisa sulla diocesi. Anche questo rivela il suo interesse profondo per la Chiesa e la sua intelligenza pastorale, che lo portano a voler conoscere il territorio prima di governarlo, atteggiamento innovativo rispetto alla pratica comune dei vescovi del tempo e frutto della preziosa esperienza maturata attraverso gli incarichi precedenti».

Il nuovo volume, dunque, rende giustizia a questo grande vescovo, animato dallo slancio dello spirito tridentino, pastore buono e preoccupato delle sue pecore ad immagine di Cristo, ed allarga gli orizzonti delle conoscenze sulla personalità e l’operato anche nella diocesi di Como. La pubblicazione del Monti, al contrario e sia pure involontariamente, lo aveva ridotto quasi a mera fonte di notizie storiche. «La nuova figura di Ninguarda –prosegue don Xeres– emerge più che dagli Atti quali oggi li conosciamo, dal suo lavoro in Germania, dalla corrispondenza con la Santa Sede, dalle opere a stampa in cui espone anche le riflessioni sul ministero, sulla Chiesa, sui compiti del vescovo. Tutti documenti non ancora studiati in connessione con la sua formazione spirituale, non a caso domenicana dell’Osservanza e preoccupata della pastorale della Riforma. Occorre ricostruire i collegamenti interni, mentre si è sempre studiato il diplomatico, mai il teologo o il frate (egli continuò a chiamarsi fra Feliciano anche quando divenne vescovo).
In tal senso, bellissimo e nuovo di questo volume è lo studio delle iniziative pastorali intraprese negli anni del breve episcopato nella diocesi di Santa Agata dei Goti. Ninguarda vi compì ripetute visite, interrogando più volte gli ecclesiastici e provvedendo a rimettere ordine tramite editti e l’indizione di due sinodi locali».

Tale forte passione per la Chiesa egli portò anche adempiendo al nuovo incarico nella diocesi di Como e, conclude don Xeres, «mi piace ricordare, anche perché siamo in fase di completamento della causa di beatificazione, che il Rusca fu spinto dal Ninguarda a venire come arciprete a Sondrio per succedere a Francesco Cattaneo, prete intruso e pertinace. Il Rusca, e l’ho scritto nella positio, corrisponde perfettamente al modello tridentino. Essi, pur essendosi incrociati solo in quel momento, l’uno alla fine, l’altro all’inizio della sua carriera, condividevano lo spirito della Riforma cattolica che precede e accompagna il Concilio di Trento. Infatti, dopo le generazioni di cui fanno parte il Ninguarda o il Borromeo, la Chiesa Tridentina andò progressivamente irrigidendosi, mantenendo solo le strutture giuridiche ma non lo spirito della Riforma».

Attraverso la rilettura dei documenti, redatti a quattro secoli dalla morte, la figura del frate domenicano viene ridisegnata, ne emerge un pastore zelante e profondamente preoccupato delle sorti della Chiesa. Profondo conoscitore della diplomazia, è stato inviato in vari Stati dal Papa, ha sempre mantenuto una grande umiltà fino alla morte. Suo il merito di aver convinto il Rusca a divenire arciprete di Sondrio.

Indice dei contributi

Pierangelo Melgara



(Questa recensione è apparsa a stampa in Settimanale della diocesi di Como, 27 maggio 2000, p. 29).


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