La visita pastorale di Gerardo Landriani alla Diocesi di Como (1444–1445)

a cura e con introduzione di Elisabetta Canobbio

Milano, Edizioni Unicopli, 2001 (Materiali di storia ecclesiastica lombarda – secoli XIV–XVI).

La copertina del libro



La totale fruizione di certi testi, che consegnano all’editoria l’esito di ardue ricerche, è ovviamente possibile solo ad una élite di studiosi, specializzati in determinati settori: proprio come l’altezza di certe vette è raggiungibile solo da provetti alpinisti. Eppure, come si può effettuare –da valle– un emozionante appropriarsi di avventurose scalate –attraverso l’ascolto o la visione fotografica del loro attuarsi– così l’informazione su alcuni lavori scientificamente condotti ed il contatto almeno parziale col loro contenuto produce un allargamento di fiato in ogni persona sanamente curiosa di contenuti meno effimeri di quelli della cronaca quotidiana.

Questa osservazione sembra attinente al rapporto che un pubblico intellettualmente aperto –seppure di persone ‘non addette ai lavori’– può stabilire con un prestigioso volume di portata universitaria, inserito nella collana dei ‘Materiali di storia ecclesiastica lombarda (secoli XIV–XV)’ come n. 4, e che è apparso alcuni anni orsono: La visita pastorale di Gerardo Landriani alla Diocesi di Como (1444–1445), a cura e con Introduzione di Elisabetta Canobbio, Edizioni Unicopli, Milano 2001.

Una pregevole fonte archivistica, che offre uno spaccato di storia della Chiesa comense, è così ad agevole portata di mano: sicura per il rigore scientifico che la caratterizza e ricchissima per la quantità e la qualità documentaria delle informazioni che la corredano.

Ben ottantotto sono le pagine introduttive redatte dalla curatrice: una sorprendente riserva di notizie che –dopo l’inquadratura contestuale della vicenda– organizzano e sintetizzano, con scorci tematici, i contenuti delle relazioni visitali presentate nella seconda parte (pp. 91–212), in originale lingua latina.

Qui si insiste sulla Introduzione che, con lo sgranarsi dei suoi capitoli e paragrafi, espone le linee del governo riformista del vescovo Landriani. Il presule tuttavia –ed oggi sembra paradossale– non percorse personalmente la diocesi, ma si avvalse di fidati vicari e delegati visitatori. Di ciascuno di questi protagonisti vengono tratteggiati i connotati e sono evocate le attività sia entro l’ambito diocesano e che in relazione agli itinerari della visita pastorale. Si ritrova ‘ricostruito’ il tipo base dei questionari serviti per l’indagine da svolgersi: ne vengono indicate le finalità generali e le attenzioni prevalenti. Il panorama si anima con la presentazione del percorso storico–geografico: si ha così modo di rendersi ragione delle strutture territoriali della cura d’anime, nel periodo particolarmente difficile che registrò nelle nostre terre la crisi dell’organizzazione plebana e il configurarsi dei nuovi assetti parrocchiali. Ciò poneva delle irte problematiche inerenti alla situazione (pastorale, culturale e morale) del clero –ormai legato ad una stabile residenza isolata nei vari centri– e attinenti alla riorganizzazione del sistema beneficiale. Altre questioni sorgevano dalla collaborazione o dalla interferenza dei laici, soprattutto in rapporto alle risorse patrimoniali delle chiese.

Noto che una importanza equivalente e talora superiore a quella del testo espositivo –il che vale anche in relazione alla seconda parte del libro– possiede il corpus delle note a piè di pagina, suffragate da puntuali riferimenti archivistici e avvalorate da supporti bibliografici, con riferimenti che spaziano oltre i confini della terra comense. La Canobbio, con acribia, sa corredare di essenziali informazioni la presentazione di ogni personaggio e donare notizie pertinenti ad ogni luogo citato. Il cumulo impressionante di tali apporti verrà poi organizzato e reso agevolmente rintracciabile nelle ben 34 pagine (pp. 217–251) dell’indice analitico.

Circa la scientificità della presentazione e della trascrizione del manoscritto è pleonastico spendere parole.

Mi preme notare il fatto che ci è stato offerto non soltanto un libro di storia, ma un libro utile a ‘fare storia’: è piattaforma solida per aperture esplorative, per operazioni di scavo, per filoni di ricerca in molteplici campi, oltre gli aspetti già magistralmente indagati entro la basilare inquadratura istituzionale ed ecclesiologica. Tra gli aspetti apparentenente ‘minori’, deducibili dalla fonte, vi sono molteplici notizie circa persone, cose e pratiche che furono di diretto impatto con la storia del vissuto concreto delle comunità religiose valtellinesi e lariane. Ad esempio: la preoccupazione dei responsabili per la sopravvivenza di pratiche superstiziose tra il popolo; la volontà di rimuovere atteggiamenti cultuali irriverenti da parte del clero; la determinazione per estirpare le piaghe di immoralità clericale anche se erano largamente tollerate. Per quanto riguarda gli edifici sacri è sotteso un programma visitale mirante alla funzionalità sacra, alla sicurezza, al decoro. Il loro cuore deve essere il tabernacolo –troppo spesso assente– e la lampada accesa deve indicare la presenza del Ss. Sacramento. I templi devono essere protetti nella notte –chiavi e porte chiuse– dai ladri ma, anche, durante il giorno dall’invasione di animali. Occorre una sufficiente dotazione di arredi sacri, di ‘onorabili’ paramenti, e particolarmente di croci significative. L’illuminazione deve essere sufficiente e la pulizia ineccepibile (mundas et purgatas). Una attenzione straordinaria è dedicata alla presenza e alla cura dei libri liturgici, strumenti di preghiera e sussidi del canto il quale deve caratterizzare soprattutto i giorni festivi. Si parla anche di comunione agli infermi, di funerali e cimiteri, della pratica del digiuno nei tempi penitenziali ….

In definitiva sono messi a disposizione tanti tasselli utili a delineare interessanti particolari del vasto mosaico, in sinergia con le testimonianze di altri settori (come quelli della architettura, della pittura, dell’arredo).

Emerge, dal complesso dell’opera, l’immagine di una Chiesa che viveva una esperienza storica assai difficile, marchiata da molteplici zone d’ombra e affetta da eredità patologiche; eppure non priva di spinte un per un ritorno alla luce. Le visite pastorali non ce lo ricordano, ma il Quattrocento vide, nella nostre terre, anche molte presenze di santità.

Ad ogni modo, per una vera generale ripresa ecclesiale ed ecclesiastica si sarebbe dovuto attendere ancora quasi un secolo e mezzo. Mi sia permesso assomigliare il periodo del Landriani, come descritto, ad una specie di preparazione del tipo veterotestamentario, con il prevalente ruolo attribuito alla legge. Anch’essa, comunque, faceva da ‘pedagogo’ ai tempi dello Spirito, il quale incessantemente soffia, in paziente divina attesa di poter diventare ‘legge nuova’ iscritta nei cuori e nelle istituzioni.

Felice Rainoldi

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